Scuola e Viminale, partono i tagli
di Luca Cifoni da
Il Messaggero,
28.1.2012
ROMA - Si chiama spending review, revisione ragionata della spesa, e
nei testi di contabilità (pubblica o privata) è l’alternativa ai
dolorosi tagli automatici, a quegli interventi fatti in fretta e
spesso un po’ a casaccio che penalizzano una struttura e chi vi
lavora senza magari riuscire a rimuovere sprechi e inefficienze. In
Italia se ne parla da anni, e recentemente è stata inserita in ben
due leggi dello Stato. Ora però si dovrebbe iniziare a fare sul
serio: dalla prossima settimana partirà il lavoro concreto in due
ministeri, Interno e Istruzione, e in un Dipartimento di palazzo
Chigi, quello degli Affari regionali.
Obiettivo, individuare programmi di spesa, uffici o attività che
potrebbero essere soppressi o razionalizzati, evidenziare
inefficienze o leggi di finanziamento che microsettoriali che
potrebbero non avere più un senso.
Regista dell’operazione è il ministro dei Rapporti con il Parlamento
Piero Giarda, che ieri ha svolto una relazione in Consiglio dei
ministri ma che alla materia si era già dedicato nella veste di
coordinatore di un gruppo di studio sulla riforma fiscale voluto
dall’allora ministro Giulio Tremonti. Il lavoro, del quale si
occuperà un comitato informale formato oltre che da Giarda dal
ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi e dal vice ministro
dell’Economia Grilli, sarà presumibilmente non breve. Gli effetti
quindi non possono essere previsti in anticipo: secondo stime
ufficiose però i teorici benefici finanziari oscillerebbero tra i 5
e i 10 miliardi di euro. Non pochi, soprattutto in una fase in cui
il Paese è impegnato nel delicatissimo percorso verso il pareggio di
bilancio.
La storia della spending review viene però da lontano: già nel 2007
Tommaso Padoa-Schioppa aveva avviato un lavoro, che si era
concretizzato in un Libro verde sulla spesa pubblica, in cui la
filosofia dello spendere meglio veniva tra l’altro applicata a
quattro grandi settori dell’amministrazione centrale (giustizia,
sanità, università, pubblico impiego) ed alle uscite dei Comuni.
Questa ricognizione però non aveva poi avuto seguiti concreti.
Se ne è tornato a parlare quest’anno, quando già il Paese era
investito dalle prime avvisaglie della crisi del debito. A luglio,
nella prima delle manovre estive, il ministro Tremonti accanto alle
consuete riduzioni di spesa aveva previsto per i ministeri l’avvio
di «un ciclo di spending review mirata alla definizione dei
fabbisogni standard» e destinata anche ad individuare «le possibili
duplicazioni di strutture».
Poi a settembre, quando la situazione interna e internazionale si
era ancora aggravata, lo stesso Tremonti ha accolto un emendamento
alla successiva manovra formulato dal senatore del Pd Enrico Morando,
intitolato «Revisione integrale della spesa pubblica». Il testo
prevedeva che entro il 30 novembre fosse presentato un programma al
Parlamento: tra le linee guida «l’integrazione operativa delle
agenzie fiscali, la razionalizzazione di tutte le strutture
periferiche dell’amministrazione dello Stato e la loro tendenziale
concentrazione in un ufficio unitario a livello provinciale, il
coordinamento delle attività delle forze dell’ordine, l’accorpamento
degli enti della previdenza pubblica, la razionalizzazione
dell’organizzazione giudiziaria civile, penale, amministrativa,
militare e tributaria a rete, la riorganizzazione della rete
consolare e diplomatica.
Un piano decisamente ambizioso, che in alcuni punti (i rapporti tra
le varie forze di polizia, o la giustizia) tocca anche equilibri
delicati. La scadenza del 30 novembre è naturalmente passata, una
piccola parte del lavoro è stata avviata con l’unificazione
nell’Inps degli enti previdenziali. Il resto toccherà a Giarda.