Intervista a Profumo:
a ottobre concorso dei prof
aperto a 20mila nuove leve

di Carla Massi da Il Messaggero, 15.1.2012

E’ un ingegnere. Prima progettista all’Ansaldo di Genova, poi ordinario di Macchine e azionamenti elettrici al Politecnico di Torino, poi rettore della stessa università. Professore negli Stati Uniti e in Giappone. Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche e ora ministro dell’Istruzione, università e ricerca.
Costanza, Giulio e Federica i suoi tre figli. Cinquantotto anni, savonese, una moglie insegnante. E’ tra i più giovani del governo Monti.

Ora siede qui al ministero di viale Trastevere, ma lei che studente è stato?

«Mi sono laureato in ingegneria in meno di cinque anni. Direi uno studente normale. Amavo stare sui libri, non mi è pesato».

A proposito, lei ha detto che vuole contribuire a costruire un paese normale. Che vuol dire?

«L’ho detto, per esempio, a proposito dei concorsi che devono tornare nel mondo della scuola. Come si sa, è dal 1999 che non ne viene bandito uno. Bisogna ritrovare i meccanismi di regolarità anche per il reclutamento dei docenti».

Che significa?

«Fare concorsi almeno ogni due anni. Permettendo l’accesso sia ai precari, oltre 200mila in graduatoria, sia ai giovani, ventimila, che si sono preparati per fare gli insegnanti».

Quindi il prossimo concorso quando sarà?

«Nell’autunno di quest’anno. Potranno accedere anche le nuove leve, altri ventimila, che quest’anno seguiranno i tirocini formativi attivi».

I precari non saranno d’accordo, aspettano da tanto tempo...

«Dobbiamo dare la possibilità di accesso sia a chi è più grande sia ai giovani. Questi ultimi non possono sempre essere lasciati indietro. La scuola chiede anche docenti con età più vicina a quella dei ragazzi».

Già, lei ha notato che i prof sono troppo grandi. Vero?

«L’età media è alta, è assolutamente necessario immettere forze nuove. La scuola ha bisogno di un organico vicino alla cultura dei più giovani».

Ogni anno vanno in pensione almeno venticinquemila professori, dopo il decreto sul fine carriera i numeri saranno gli stessi?

«Stiamo facendo una ricognizione, potrebbero essere anche un po’ di più».

Lei, negli ultimi giorni, è andato a sedersi nei banchi di scuola tra i ragazzi. Che effetto le ha fatto questa nostra scuola?
«Sono tornato di nuovo tra i banchi di formica verde. Davanti a me la lavagna e l’insegnante che, in piedi, spiega. Mi sono reso conto che, da questo punto di vista, non è cambiato nulla dagli anni Sessanta.
Non è possibile! Basta con le lezioni frontali».

Le lezioni frontali?

«Andrebbe cambiata la disposizione nelle classi, è d’altri tempi il prof in fondo alla stanza davanti alla lavagna. Suggerisco anche di evitare di far stare gli stessi ragazzi per anni insieme. Meglio mescolare i gruppi, cambiare, spostarsi, affrontare nuove situazioni».

Ma che effetto le ha fatto questa scuola italiana?

«Un bell’effetto, ci sono grandi competenze e, nella maggior parte dei casi, si lavora sodo. Forse c’è bisogno di impegnarsi più sull’analisi critica che sulle nozioni. Quanti sanno che solo il 20% del sapere dei ragazzi arriva dai banchi di scuola?».

Monti ha parlato del miglioramento del capitale umano. E ha fatto pensare anche alla scuola. Siamo davvero così inferiori rispetto agli altri paesi nella formazione?

«Assolutamente no. Ce lo dimostrano i ragazzi che sono accolti con entusiasmo all’estero».

Già all’estero, pensa che nel campo della ricerca potremo continuare ad essere minimamente competitivi visti i nostri problemi economici?

«La realtà è che la capacità dell’Italia ad acquisire risorse è assai scarsa. L’obiettivo è quello di aumentare la competitività dei ricercatori e delle imprese italiane nell’accesso alle varie tipologie di fondi messi a disposizione della commissione europea. Sul fronte delle politiche di coesione, le percentuali di utilizzo dei fondi strutturali ci vedono al penultimo posto».


Vuol dire che questa università non è in grado di cooperare con gli altri e quindi ricevere fondi oltre quelli del nostro paese?

«Si devono creare gruppi di progetto con gli altri paesi. Non più aiuti per singoli programmi».

Pensa alla riforma della riforma per l’università?

«Vanno fatti i decreti attuativi di quella varata mesi fa. Nessuna riforma organica, ne abbiamo avute troppe. E’ il tempo della semplificazione»

La prossima settimana lei sarà a Napoli con il ministro della Coesione Territoriale Barca e il commissario per le Politiche regionali della Ue Hahn. Visiterà scuole per poi far arrivare fondi ad hoc per il Sud?

«Stavano per scadere i bandi per alcuni fondi Ue, circa un miliardo di euro. Sono stati rivisti i piani per la riqualificazione scolastica di alcune aree, Campania, Puglia, Sicilia e Calabria, e ora è possibile utilizzare i sostegni. Per l’avviamento al lavoro, le nuove tecnologie, i periodi di studio all’estero».

Si riparte dal Sud?

«Si riparte da tutti e, in particolare, da chi ha bisogno».