Scuola, il nulla dopo la tempesta

di Marina Boscaino Il Fatto Quotidiano, 30.1.2012

A che punto è la scuola italiana? Sembra scampata a un naufragio dantesco, sopravvissuta alla fase più pericolosa e travagliata della storia del nostro Paese dal dopoguerra a oggi. Una fase caratterizzata non da gambizzazioni o omicidi dei nemici di classe, ma dalla sospensione di tratti fondamentali della democrazia. La scuola è stata bersaglio di invettive e di disinvestimento.

La tempesta Berlusconi è passata; ma la successiva prolungata quiete soporifera non promette nulla di buono. Il senso di sollievo provato per lo scongiurato pericolo rischia di impantanarci in un’acquiescenza acritica e artificiale, che all’impegno e alla passione sui temi dei diritti collettivi antepone il compiacimento per una sorte scampata che avrebbe potuto essere ben più drammatica.

E ora siamo qui, esistiamo in un’Italia dominata dalla familiarità con lo spread e da una restaurata sobrietà, un po’ disorientati nel ricollocarci in una posizione alternativa a quella in cui la storia degli ultimi anni ci aveva destinato. Il silenzio è assordante, interrotto da una serie di annunci che sarebbe incauto voler veder realizzati, ma che per il momento rimangono strettamente legati all’intenzionalità. Assistiamo alla rappresentazione mediatica di drammi e tragedie concrete che svaporano nella reiterazione delle immagini. Zitti e ragionevoli.

Ci hanno detto che stavano arrivando i Buoni. E immaginavamo forse che questo arrivo sarebbe stato confermato da qualche concreta dimostrazione di cambiamento di rotta. Tra gli annunci di Profumo, abbiamo accolto con soddisfazione la dichiarazione che si è conclusa l’epoca dei tagli. E invece – in conseguenza della legge 111 / 11 – le Regioni sono chiamate a rendere esecutivi gli accorpamenti, in istituti comprensivi di minimo 1000 alunni, di scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di I grado, per risparmiare su segreterie e ausiliari, dirigenti, docenti. Non certo per far star meglio gli studenti, venire incontro alle famiglie, creare ambienti di apprendimento più favorevoli, individuare strategie didattiche che consentano l’estensione del successo formativo: possiamo chiamarlo “dimensionamento”, ma significa taglio.

Ci sono poi sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato che hanno rivelato precise illegittimità del governo precedente, nella determinazione degli organici, nell’applicazione di una riforma – quella delle superiori – considerata tale quando ancora non era testo di legge, per potersi affrettare a compiere l’atto finale della falcidia prevista dalla legge 133 / 08. Non una parola, invece, su quelle pronunce, nemmeno su quelle in merito a sostegno e inclusione, che pure negli ultimi anni sono stati oggetto di odioso risparmio da parte del Miur.

Abbiamo assistito piuttosto allibiti al valzer di notizie sull’eventuale accorciamento di un anno del percorso scolastico (da 13 a 12 anni): prima sì, poi forse, poi il decreto è già pronto, poi chissà, poi no… per ora; in un rimpallo di dichiarazioni tra Rossi Doria e Profumo che sa molto di un’antica maniera della quale speravamo di esserci sbarazzati. Intanto ci pensa l’Istat a riportarci con i piedi per terra e a richiamare la nostra attenzione obnubilata dalla sbornia di questa “liberazione”.

Nel rapporto “Noi Italia”, pubblicato il 19, si rivela che nel nostro Paese l’incidenza sul Pil della spesa in istruzione e formazione è pari al 4,8 % (2009), mentre nella media Ue è il 5,6 %. Circa il 45 % della popolazione tra 25 e 64 anni ha conseguito la licenza di scuola media inferiore come titolo di studio più elevato (media Ue, 27, 3 % nel 2010). La quota dei più giovani (18-24 enni) che ha abbandonato gli studi senza conseguire un titolo di scuola media superiore è pari al 18,8 % (media Ue 14,1 %). Sono alcuni dei dati della débâcle, che nell’inerzia attuale rischiano di passare inosservati.