“In Campania l’infanzia è precaria”

Parla Marco Rossi Doria, maestro e sottosegretario all’Istruzione

di Alessandra del Giudiceda napolicittàsociale, 2.1.2012

Maestro dal 1975 ha insegnato come maestro di strada nei Quartieri Spagnoli ed è cofondatore del progetto Chance. Il neo sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria ha già lavorato presso il ministero dell’Istruzione, collaborando alla stesura delle linee guida sull’obbligo di istruzione fino a 16 anni. Si occupa da sempre di dispersione scolastica e ha condotto diversi studi ed esperienze sul campo per quanto riguarda il disagio e l’esclusione precoce.

Quali sono le problematiche più gravi che riguardano i minori a Napoli e in Campania, in particolare quelle emerse nel 2011?

Non sono relative al 2011 inmaniera particolare, perché purtroppo il tratto distintivo delle problematiche riguardanti l’infanzia e l’adolescenza in Campania è la costanza delle criticità. Comunque la Campania“brilla” per i più alti tassi di dispersione scolastica: sulla media nazionale dell’abbandono formativo del 20,9%la Campania ha il 34%; per il record dell’obesità infantile: sulla media nazionale di obesità infantile del 11,5% e di sovrappeso del 23,1%la Campania ha il 21% e il 27,6%; per l’assenza di verde dedicato a bambini e ragazzi; per il numero elevatissimo – il più alto d’Europa – di parti cesarei, più del 60 %; per il primato delle ore pro capite davanti a televisione e videogiochi: più del 59% vi trascorre più di 3 ore al giorno e per l’assenza di libri in famiglia: al Sud solo 4 minori su 10 leggono almeno un libro l’anno, in alcune zone del Nord 7 su 10. Ma se si dovesse/volesse trovare un centro del problema questo è senz’altro la percentuale di minori che vivono sotto la soglia di povertà, che è il più alto dopola Sicilia, ma che è concentrato nelle aree costiere urbane intorno a Napoli.

Cosa hanno fatto le istituzioni locali e il privato sociale per risolvere le problematiche relative ai minori? Quali sono, secondo lei, i progetti che hanno ottenuto buoni risultati e quali sono insufficienti o sbagliati?

La programmazione vi è stata fino a qualche anno fa, ma poi è gradualmente evaporata. Un elenco di priorità, con procedure partecipative e sulla base di valutazioni di impatto, non mi risulta che ci sia stato. Da questo punto di vista una cultura organizzativa moderna non si è potuta consolidare. La rivolta campana – “il welfare non è un lusso” - è stata una cartina tornasole del fallimento delle politiche pubbliche verso i più deboli e ha permesso di esprimere una giusta indignazione. In realtà l’indignazione non basta: sono personalmente testimone dell’emigrazione di decine di ottimi operatori del sociale verso le regioni del centro-nord e verso altre attività. Si è trattato di una perdita di risorse preziose per la coesione sociale in una delle regioni più povere dell’Europa. Per onestà intellettuale, v’è da dire che le cause di tale disastro sono da attribuire, in via prioritaria, a chi ha governato negli ultimi tre lustri e solo in via secondaria ai nuovi arrivati, i quali hanno certificato, a loro volta in modo brutale, la fine di una stagione che aveva costruito buone pratiche che erano state come tali riconosciute in tutta Europa. Inoltre, molte agenzie del privato sociale non sono ancora state pagate dagli enti pubblici per il lavoro svolto, e per questo sono esposte per molte centinaia di euro: un’anomalia assoluta.

Riguardo ai progetti che hanno avuto un impatto positivo, riconosciuto dal valutatore nazionale e anche oltre confine sono stati, in seguito alla legge 285/92 e poi alla 328/00, negli anni ’90 l’Educativa Territoriale e poi il Progetto Chance, i Nidi di Mamma, Fratello Maggiore e, sempre per la prima infanzia, alcuni dispositivi 0-6. Negli anni più recenti va citato Scuole aperte, anche se vi è stata una notevole differenza tra scuole e scuole.

Crede che i progetti che spesso si interrompono per mancanza di fondi siano sufficienti a sostenere situazioni particolarmente difficili o sarebbero necessari servizi stabili per l’infanzia a rischio?

I progetti, negli ultimi quindici anni almeno, non hanno ricevuto le dovute procedure di valutazione e soprattutto non sono quasi mai diventati servizi permanenti, mentre l’esperienza e la letteratura mondiali ci consigliano di trasformare i progetti che danno buoni risultati in servizi permanenti che devono essere costruiti anche grazie a valutazioni indipendenti. Questa situazione generalizzata ha costretto il privato sociale a rincorrere a fondi incerti, a costruire il proprio impegno sulle emergenze, ad affezionarsi, per poter sopravvivere, alle sigle progettuali anziché a servizi permanenti.

In altre regioni non è stato così e il privato sociale ha potuto contare su flussi regolari di denaro pubblico in cambio di servizi stabili. Questo ha consentito, a differenza che in Campania, una vita decorosa agli operatori del sociale che hanno potuto contare su un reddito normale, sulla costanza della formazione e della supervisione, su attese di sviluppo delle attività a partire da un minimo di certezze. Anche quando, come è adesso, il welfare subisce un ridimensionamento doloroso, nelle regioni dove si è potuto stabilizzare il privato sociale, i termini della contrattazione tra decisore pubblico e operatori rimangono più favorevoli.

Perché un progetto valido come Chance non è stato rifinanziato?

Non è stato rifinanziato perché la nuova giunta regionale ha deciso di sospendere tutti i dispositivi messi in cantiere dalla vecchia giunta. Ma questa decisione, presa sulla base di un pregiudizio e a causa dei tagli lineari del governo Berlusconi, non può nascondere una crisi precedente.

Chanceera partito come progetto pilota nazionale, il primo in Italia finanziato con la legge 285. L’interlocutore del progetto era stato il Comune di Napoli, uno dei dieci grandi comuni che nella 285 avevano fondi direttamente affidati, senza passare per la Regione. Noi abbiamo provato, per cinque anni, a far sì che i finanziamenti passassero al budget ordinario del Comune o della Provincia - come era capitato ai nostri cugini torinesi del progetto Provaci ancora Sam. Avevamo anche lavorato alla valutazione indipendente, ottenendola non solo dal valutatore nazionale della 285, ma anche dal Consiglio d’Europa e dai programmi di coesione sociale dell’Unione Europea, che ci avevano entrambi promossi come buona pratica europea, consigliando al decisore locale di immetterci nei servizi permanenti.

Parimenti, per quanto riguarda l’altra fonte di finanziamento – la dotazione di docenti di ruolo – avevamo raggiunto un preaccordo con il Ministero della Pubblica Istruzione perché diventassimo una scuola a statuto speciale simile a Scuola in ospedale oppure all’istituto Pestalozzi di Frienze, Rinascita di Milano, Don Milani di Genova. Quando, poi, i fondi 285 del Comune sono stati limitati siamo stati finanziati dalla Regione.

Gli accordi tra Regione e Ministero erano a buon punto, ma si rimaneva nell’ambito dei progetti e non dei servizi. E poi il Ministero non ha saputo o voluto regolarizzare la dotazione di organico docente. Il cambio di governo regionale e la decisione di chiudere Chance vengono dopo un percorso a ostacoli che si era a lungo trascinato. Insomma, l’esito negativo deriva da una decisione della nuova giunta, ma è l’esito di responsabilità anche precedenti.

Crede che gli insegnanti siano preparati e numericamente sufficienti per affrontare le problematiche di ragazzi in contesti particolarmente difficili?

Il vero tema è quanto le scuole possano recuperare i troppi ragazzi che cadono fuori da percorsi iperstandardizzati in zone di massiccia esclusione culturale e sociale. È evidente, a Napoli come in altre metropoli del mondo, che l’offerta di scuola-standard non conquista proprio le fasce più deboli della popolazione per le quali la scuola pubblica è nata. Da qui deriva la necessità di pensare a zone di educazione prioritaria con modalità di lavoro nuove con gli adolescenti esclusi.

Cosa è assolutamente necessario fare a Napoli e in Campania nel 2012 per cercare di risolvere le problematiche dei minori?

Stilare una lista condivisa di priorità: Regione, Provincia e Comune insieme. Non facile, ma indispensabile per far valere i bisogni complessi del territorio presso l’opinione pubblica e le istituzioni nazionali. Sarebbe auspicabile un momento di riflessione corale e di bilancio sulle opportunità perse nelle passate stagioni, un’assise che definisse cosa fare e come farlo. Il primo lavoro deve essere “legale” e “per apprendere”.