L'importanza di un buon prof La Stampa, 10.1.2012 Caro Direttore, lei ed io abbiamo qualcuno in comune: Franco Falchetti. Ho appreso ora, purtroppo fuori tempo massimo per un ultimo saluto, che il nostro Professore di Greco e Latino è mancato alcuni giorni fa. Lo ricordo con affetto come un professore forse imperfetto e poco ligio alle regole (quante libere uscite e ritardi sull’inizio delle lezioni per colpa di un cicchetto al bar, o una sigaretta fumata nei corridoi!) e per questo ancora più caro ai suoi allievi ed ex allievi, ma anche come un valido insegnante, che possedeva il gran pregio di trasmettere la sua stessa passione per la materia. Con lui studiavi volentieri perché sapeva farti divertire; potevi dottamente chiacchierare sulla questione omerica e il trimetro trocaico catalettico e cinque minuti dopo ti ritrovavi a discutere animatamente di calcio; era serio, competente e giustamente puntiglioso durante compiti in classe e interrogazioni, ma non infieriva mai, e quando, ahimè, capitava il votaccio offriva sempre un’occasione per redimersi. Sapeva farsi ben volere per la sua umanità e per la sua schiettezza: mi chiamava «Lauretta», e mi affidava le chiavi del cassetto dove il mercoledì prima della versione nascondeva la fotocopia del brano scelto… incarico e fiducia, devo ammetterlo, abbastanza mal riposti, perché più di una volta siamo andati a sbirciare per poterci preparare per tempo, temendo un Seneca o un Demostene. Credo, però, che lui sospettasse qualcosa, e lasciasse un po’ correre (anche se di rado il voto di una versione, per quanto perfetta, superava il sette) perché in fondo si sentiva ancora un giovanotto di 18 anni: mentre gli altri professori erano spesso vittime inconsapevoli, e forse un po’ immeritate, dei nostri scherzi e delle nostre prese in giro, «il Falco» non veniva mai preso di mira perché era uno di noi, complice e amico. Il ricordo più bello che ho di lui non è propriamente un ricordo, ma l’augurio che mi fece via corrispondenza pochi giorni prima dell’esame di maturità: «fatti valere!», mi scrisse fiducioso. Conservo ancora quella cartolina, insieme alla viva memoria di quei tre anni pieni di risate e promesse, ed auguro a tutti gli alunni presenti e futuri di poter trovare anche loro prima o poi nella vita un Franco Falchetti che li accompagni. Laura, classe 3C, Liceo Beccaria, Milano
Pubblico questa lettera, in cui si ricorda il mio professore di italiano e latino del ginnasio (scomparso la settimana scorsa), perché mi è utile per ribadire quanto importanti siano i maestri e quanto possano lasciare il segno nelle vite degli studenti. Il mio professore, che non era immune da vizi ed era abbastanza irascibile, per un anno ogni sabato mattina ci leggeva ad alta voce i Promessi Sposi. Nessuno dei miei compagni se ne è dimenticato, tale era la passione che lui ci metteva dentro, e di tale intensità fu il viaggio che ci fece fare dentro le pagine di Manzoni. Finite le vicende di Renzo e Lucia utilizzò le sue ore del sabato per leggerci la Costituzione e in quinta terminò il programma ministeriale in anticipo perché volle prepararci lui alla Divina Commedia, convinto che si dovesse cominciare prima di entrare al Liceo. Ci accompagnò in gita di classe a Parigi e l’ultimo giorno, dopo tutte le visite di rito, ci portò in Place des Vosges e disse che il sogno della sua vita sarebbe stato di comprarsi un appartamentino lì, dove ritirarsi per la pensione, poi a bassa voce aggiunse: «Ma per permettermelo avrei dovuto fare un’altra carriera». Visto anche il numero straordinario di ex allievi che c’era al suo funerale, non penso che se ne sia mai pentito. |