scuola

1. Ridurre le superiori da 5 a 4 anni?
Ecco come fare

Max Bruschi il Sussidiario 14.1.2012

Fa discutere la proposta, variamente rimbalzata sui mezzi di comunicazione e sui blog, di una nuova rivisitazione degli ordinamenti scolastici della scuola secondaria di secondo grado, tra l’altro appena varati, con l’intenzione di allinearne la durata a quello della maggioranza degli altri Paesi europei. Tradotto in soldoni, sembra di capire che si tratti di scorciare i percorsi del secondo ciclo, portando gli anni di durata da cinque a quattro. Abbracciare la cosa, sull’onda dell’Europa e della discontinuità, o respingerla con sdegno, sarebbe un ulteriore episodio dell’ottusità e della superficialità con cui questi temi sono trattati in Italia.

Si tratta di una ipotesi non nuova, che una parte dell’Amministrazione aveva sottoposto, buona ultima, all’ex ministro Mariastella Gelmini e, per competenza, al sottoscritto, che ebbe l’onere e l’onore di presiedere le due commissioni incaricate di disegnare i profili dei nuovi licei, profili poi entrati in ordinamento attraverso il Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89.

L’ipotesi fu scartata. Non con motivazioni di carattere sindacale (leggi: il pesantissimo taglio agli organici che ne sarebbe conseguito), ma con motivazioni di carattere culturale e didattico: le stesse che portarono in epoca morattiana ad abbandonare precocemente questa possibile strada. Eppure, il tarlo dei quattro anni è rimasto lì, come via non battuta, ma col suo fascino, come le gozzaniane rose non colte. Ed è un tarlo che mi porta a riflettere. Ridurre di un anno il percorso dell’istruzione secondaria di secondo grado, intendiamoci bene, si può fare. Ma non a cuor leggero.

Occorre mettere sul piatto della bilancia il rischio di una drastica riduzione dei “contenuti”, si tratti di contenuti culturali o di competenze, è bene precisarlo. Magari non quelli sulla carta, dove anzi sono state spesso di casa, nel nostro Paese, declaratorie tanto pompose e sterminate quanto impraticabili nella realtà scolastica, e mi limito alla voce “programmi Brocca”, ma quelli effettivamente offerti. Contenitore (quadri orari) e contenuto (profili in uscita e obiettivi di apprendimento) hanno una stretta interdipendenza. Una robusta sforbiciata delle prescrizioni “sulla carta” e la fine della logica dell’infarinatura all’insegna del “di tutto un po’” sono stati tra i punti di riferimento che abbiamo seguito nei lavori delle due commissioni. Se teniamo fissi quegli obiettivi, che rappresentano il nocciolo della licealità, è scontato che in un percorso di quattro anni si mostrino, nei fatti, inattuabili?

Forse sì, forse no. Perché esistono delle situazioni dove questi percorsi sono già, e non da oggi, realtà: le nostre scuole all’estero, i cui studenti, dopo quattro anni, affrontano gli stessi esami di “maturità” dei loro colleghi italiani. Ed esiste, ne parlo da tempo, la possibilità di una revisione coraggiosa del primo ciclo di istruzione, a partire dal fatto che gli istituti comprensivi sono stati resi ordinamentali. Una revisione che potrebbe portare a rivedere il ruolo e la configurazione della secondaria di primo grado, settore alla ricerca di una identità.

C’è però una qualche avvertenza metodologica da fare. Primo, occorre sterilizzare immediatamente la prevedibilissima resistenza sindacale, mettendo, mi si passi l’eccesso, “in Costituzione” che, se si abbracciasse questa ipotesi, l’organico rimarrebbe invariato, e che le “eccedenze” non sarebbero tali, ma andrebbero a comporre un utile embrione di organico di istituto. Dirlo subito significherebbe sgombrare il campo da una tediosissima discussione che nulla c’entrerebbe con l’esigenza vera di migliorare l’efficacia del sistema.

Secondo: la “riforma Gelmini” prevede che i percorsi siano monitorati e valutati. Mancano, a questo proposito, un paio di regolamenti attuativi, che possono essere adottati rapidamente. Perché, per una volta, anziché prendere, in un senso o nell’altro, delle decisioni di pancia, non si tiene adeguatamente monitorato quello che è stato e quello che verrà fatto? E’ mai possibile che ancora una volta, avendone gli strumenti o essendo in procinto addirittura di potenziarne alcuni (vedi alla voce Invalsi), si debba trasgredire al sacrosanto precetto einaudiano del “conoscere per deliberare” e a una pratica di enorme buon senso?

Terzo, si decide di scorciare l’istruzione secondaria? Bene, lo si faccia, voti il Parlamento sovrano. Ma sarebbe forse il caso che una simile scelta sia presa non alla fine di una legislatura, ma all’inizio, in modo da dare alla maggioranza di governo, di qualsiasi colore sia, e ai suoi tecnici il tempo necessario a mettere a regime una simile ipotesi.

Non è in questione, a mio parere, la legittimità ad operare dell’attuale dicastero: per me, qualsiasi governo, al di là delle etichette, è un governo politico, perché compie delle scelte in base alle regole del gioco, opera sulla “polis” attraverso i rappresentanti eletti. Ma ho vissuto sulla mia pelle il fascino e la complessità del processo di attuazione di una qualsiasi norma. E un’ennesima riforma ordinamentale, affrettata, è l’ultima cosa di cui il sistema scolastico ha bisogno.

Il che non significa rimandare l’ipotesi al tempo del mai. Anzi. L’occasione è d’oro. Una parte dei sostenitori del modello a “quattro anni” con i quali mi sono confrontato in questi giorni, postulano ad esempio la sua compatibilità con gli attuali profili in uscita e con le indicazioni nazionali per i licei (non spetta a me addentrarmi sulla compatibilità dei tecnici e dei professionali). Esistono, come già detto, le esperienze delle scuole italiane all’estero. Occorre valutarle, al di là del dato “secco” del voto all’esame di Stato.

Mi si dice, soprattutto, che le scuole migliori, quelle con un corpo docente disposto “a scommettere”, potrebbero farcela. Benissimo, dico io. Basta un articolo di legge, che ad esempio reciti “A decorrere dall’anno scolastico 2013/2014, le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione possono proporre la sperimentazione di riformulazioni quadriennali dei percorsi di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87, 88, 89. Dette sperimentazioni non comportano riduzioni nell’organico di diritto previsto per i percorsi ordinamentali. Le sperimentazioni sono autorizzate con proprio decreto dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sentito il CNPI, e sono monitorate da un apposito comitato scientifico che si avvale della collaborazione dell’Indire, dell’Invalsi e di un gruppo di dirigenti tecnici appositamente selezionato”.

Si dia, insomma, alla comunità scolastica la possibilità di “mettersi in gioco”, in scienza e coscienza, demandando la possibilità per le istituzioni scolastiche di attuare la sperimentazione di “compattamenti” quadriennali degli attuali percorsi ordinamentali, lasciando naturalmente l’organico invariato, facendolo operare fuori dalle gabbie dei quadri orari ma lasciando i risultati di apprendimento, i profili, le indicazioni nazionali e le discipline previste. Si compia la stessa scelta sul primo ciclo, creando dei raccordi possibili attraverso convenzioni tra istituzioni scolastiche. Si valuti, soprattutto, il tutto in corso d’opera e alla prova finale degli esami di Stato. E si traggano le conclusioni, senza preconcetti, ma guardando alla realtà. Questa sì sarebbe una scelta di buon senso e di libertà. E immediatamente praticabile.