Non c'è crescita senza istruzione Per essere competitivi e far ripartire il Paese è necessaria una forte azione sulla scuola. Soprattutto quella professionale, tecnica e specialistica che è stata già troppo penalizzata dalla riforma Gelmini di Patrizio Bianchi l'Unità, 2.1.2012 Dopo i decreti «Salva Italia», ora è il momento degli interventi «Cresci Italia». Tuttavia è legittimo domandarsi se l’intero apparato produttivo italiano sia oggi effettivamente in grado di sostenere quell’accelerazione necessaria per tirarci fuori dal pantano in cui ormai da oltre quindici anni siamo finiti. È infatti dalla metà degli anni novanta che il nostro Paese presenta tassi di crescita annuali inferiori a quelli di ogni altro Paese avanzato. L’enfasi sulla finanza e sulla macroeconomia, che oggi tengono banco nel dibattito quotidiano, rischia di confondere la semplice verità dei fatti: se non ripartono produzione e lavoro non c’è crescita. Ma nel mondo d’oggi la crescita è legata alla capacità di essere competitivi, non solo sui prezzi,ma anche sulla qualità dei prodotti e questa è direttamente connessa con le competenze e le conoscenze delle persone. Ed è qui che il nostro sistema produttivo presenta oggi il suo deficit più significativo. I dati che abbiamo di fronte sono chiari: nonostante una significativa crescita delle esportazioni, il paese nel suo insieme non cresce, il che significa che gli esportatori sono troppo pochi per trascinarsi dietro tutto il paese. Secondo la Banca d’Italia le imprese leader, in grado di crescere anche in epoca di crisi, sono l’otto per cento del totale delle 65 mila imprese con più di 20 addetti. Nell’insieme occupano quasi un milione di addetti e quindi non si tratta di singole eccellenze,ma di un gruppo di circa 5000 imprese di medie dimensioni, sempre più concentrate nell’area della meccanica, che trascinano una consistente area di subfornitura e che sostengono le nostre esportazioni, mantenendo l’Italia nella posizione di secondo Paese manifatturiero d’Europa dietro la Germania superstar. Si tratta di imprese molto focalizzate su prodotti specifici, in cui si uniscono conoscenze molto approfondite dei paesi e dei consumatori a cui si rivolgono e competenze molto avanzate nelle tecnologie a questi dedicate. Perché allora questa apparentemente semplice ricetta non si applica a tutto il sistema industriale italiano? Dove è il vincolo all’ampliamento dell’area delle imprese virtuose? Diverse ricerche ci dicono che il principale vincolo oggi è dato proprio dallo scadente stato delle nostre risorse umane. Dopo anni di precarizzazione del lavoro e di tagli sconsiderati alla scuola ne cogliamo i risultati. L’European Innovation Scoreboard 2011 lo strumento con cui l’Ue misura la capacità innovativa dei singoli paesi ci colloca soltanto fra gli innovatori moderati, fra Croazia e Portogallo, mentre l’Ocse ci assegna l’ultimo posto fra i Paesi sviluppati per spesa pubblica in educazione sulla spesa pubblica totale, rilevando come in Italia vi sia il tasso di scolarizzazione più basso fra i Paesi avanzati, con un modesto 54% della popolazione avente un titolo di scuola secondaria contro un 85% della Germania. «Nella globalizzazione di fine Novecento, tuttavia – scrive la Banca d’Italia nella recente ricerca sui 150 anni dell’Unità – un basso livello di scolarizzazione è di ostacolo non solo all’adozione delle tecniche tipiche dell’epoca ma probabilmente anche alla comprensione di culture diverse dalla propria e, in generale, alla trasformazione sociale, oltre che economica, del Paese. È di ostacolo alla formazione di quell’intangibile capitale sociale di fiducia e appartenenza che agevola la coesione delle collettività». Fra gli interventi urgenti allora ci deve essere una forte azione sulla scuola ed in particolare sulla scuola professionale e tecnica, uscita massacrata dalla Riforma Gelmini. Bisogna, non solo innalzare la scolarità, ma anche legare questa a percorsi di formazione strettamente connessi a quel bisogno di competenze specifiche e visione critica che oggi sono la chiave vincente di quella parte della nostra industria che nonostante tutto continua a crescere. Su questo fronte esistono oggi nel Paese diverse esperienze,ma è tempo di ricondurle a sistema, sia per valorizzare l’ istruzione e formazione professionale che l’ istruzione tecnica superiore. A questo proposito in Emilia Romagna è stato ridisegnato in modo integrato l’intero sistema di istruzione e formazione professionale (l.r. 5 del 28 giugno 2011), cui è stata aggiunta un’azione di sostegno all’apprendistato, rivolta a premiare l’innalzamento delle qualifiche e delle competenze. Si è così dato un senso di marcia sia alle imprese, che alle stesse scuole, sulla via che lega qualità e competitività delle produzioni a stabilità e qualità delle risorse umane impiegate. Su questa strada è ora che il governo dia chiari segni di movimento. |