scuola

Gentili: ecco quanto ci costa
avere docenti scarsi

Claudio Gentili il Sussidiario 20.1.2012

La riflessione di Vittadini sull’investimento nell’educazione e la delicata funzione dei docenti (“maestri non funzionari”) mi trova assolutamente d’accordo.

Noto un’incapacità dei media (ovviamente IlSussidiario.net fa eccezione) nel cogliere il nesso tra crescita economica e qualità dell’istruzione. Da molti anni, diciamo dopo il ’68, i temi scolastici sono stati derubricati a “questioni sindacali”. Gli stessi partiti politici non hanno più gli “uffici scuola” e le figure di spicco di un tempo. Dove sono oggi uomini come Concetto Marchesi, Tristano Codignola, Maria Badaloni che, nelle tre grandi tradizioni comunista, socialista e cattolica, univano la passione per l’educazione e l’autorevolezza politica?

Dove sono oggi gli opinion leader della scuola? Tutti noi ormai conosciamo a memoria lo spread tra i bund tedeschi e i nostri Btp. Ma c’è qualcuno che sui giornali ci racconta lo spread tra i nostri apprendisti (500 mila) e gli apprendisti tedeschi (3 milioni)? C’è qualcuno che ci ricorda che negli ultimi vent’anni, mentre le imprese raddoppiavano il numero di tecnici assunti passando da 11 a 22, la scuola (inseguendo il mito del genericismo formativo) dimezzava l’offerta di diplomati tecnici e avveniva il sorpasso tra licei e istituti tecnici?

Come dice giustamente Vittadini, “per ricominciare seriamente a crescere, occorre riprendere la capacità di educare”.

E veniamo al tema che sta al cuore della riflessione di Vittadini: il ruolo degli insegnanti.

Molti paesi stanno cercando di individuare le strategie più efficaci per migliorare la qualità degli insegnanti e i risultati dei loro sistemi educativi. La gravità del ritardo accumulato in questo campo dall’Italia nel confronto internazionale ci impone di guardare all’esperienza di altri paesi europei che hanno già efficacemente migliorato il rendimento dei loro sistemi di istruzione, con l’introduzione di regole che premiano il merito dei docenti e rafforzano la competizione tra le scuole. La vicenda del recente tentativo di premiare gli insegnanti migliori (progetto sperimentale “Valorizza” realizzato dal Miur nell’anno scolastico 2010-11 in 33 istituti scolastici di Campania, Lombardia e Piemonte) è eloquente. Poiché metteva in discussione i dogmi dell’egualitarismo scolastico (“non esistono gli insegnanti migliori”) è stato fortemente boicottato. Non che fosse esente da limiti e perfezionabile, ma appunto si trattava della prima sperimentazione su un piccolo numero di scuole dopo i lunghi anni in cui, a seguito del tentativo fallito del ministro Berlinguer, nessuno aveva più osato valutare gli insegnanti. Eppure al di là della percezione di un corpo insegnante fatto da Cipputi e ossequioso e subalterno ai dogmi egualitari, l’ambiente scolastico è fortemente dinamico. Il vero problema è il clima organizzativo e le regole che non favoriscono e non stimolano questa dinamicità.

La professione degli insegnanti deve diventare più dinamica, motivante e attraente. La scuola non ha bisogno di insegnanti “impiegati”, ma di insegnanti “professionisti”. Gli insegnanti dovrebbero essere scelti e assunti dalle singole scuole, che dovrebbero avere la libertà di sviluppare nuovi approcci educativi senza che l’esercizio della professione risulti ostacolato da regolamentazioni nazionali troppo rigide.

Studenti e famiglie si aspettano sempre più che gli insegnanti rendano conto della qualità dell’insegnamento che ha un forte impatto sulle chance di vita dei giovani.

Un nuovo studio, effettuato dagli economisti Raj Chetty e John Friedman dell´Università di Harvard e da Jonah Rockoff della Columbia, seguendo l’evoluzione di due milioni e mezzo di studenti nell’arco di oltre vent’anni, ha evidenziato l’importanza di avere insegnanti di qualità sui redditi futuri degli alunni e in generale sullo sviluppo della loro vita.

Dopo aver individuato gli insegnanti bravi, quelli medi e quelli scarsi, gli economisti hanno analizzato il percorso dei loro studenti nel lungo periodo, studiando dati sul loro reddito, sui tassi di iscrizione all’università, sull’età in cui hanno avuto un figlio e sulla città e la zona dove vivono. I risultati sono stati impressionanti. Limitandosi ai punteggi degli esami l’effetto di un bravo insegnante di solito svanisce dopo tre o quattro anni. Ma, assumendo una prospettiva più ampia, gli studenti continuano a beneficiare dell´influsso positivo di un buon insegnante per anni. A parità di altre condizioni, uno studente che ha avuto un insegnante molto bravo per un anno, tra la quarta elementare e la terza media, guadagna 4.600 dollari di reddito in più nell’arco dell’intera vita, contro uno studente della stessa classe di età che ha avuto un insegnante medio. Sostituire un insegnante “scadente” con uno medio produrrebbe un incremento dei guadagni degli studenti nella vita di circa 266mila dollari. Questo significa che lasciare un insegnante a basso valore aggiunto in una scuola per 10 anni, invece di sostituirlo, porta a perdere 2,5 milioni di dollari di reddito.

Mentre in passato la maggioranza dei docenti appariva contraria di fronte ad ipotesi valutative o a politiche del personale basate sul merito, oggi i professori sono favorevoli all’introduzione di prospettive di carriera e all’utilizzazione del metodo valutativo per impiegare al meglio le risorse umane nella scuola, come emerso dall’indagine TALIS (Teaching and Learning International Survey, 2008) dell’Ocse.

Tra gli obiettivi strategici di una valutazione degli insegnanti vi è sicuramente quello di collegare il miglioramento retributivo ad un meccanismo di riconoscimento del merito e non solo al maturare dell’anzianità; indurre in tutti i docenti un’abitudine all’autovalutazione, quale presupposto necessario per il miglioramento generale delle loro prestazioni; far emergere le personalità più interessanti in ogni scuola ai fini della attribuzione di compiti ulteriori, sia di natura didattica che di organizzazione delle scuole.

Un maggiore riconoscimento sociale del ruolo dell’insegnante consentirebbe di reclutare giovani di talento con forti motivazioni, risultato non trascurabile se consideriamo che solo lo 0,2% degli insegnanti italiani ha meno di 30 anni e solo il 6% meno di 40 anni, mentre circa l’87% degli insegnanti italiani si concentra nella fascia di età 40-59.

C’è ancora molto da lavorare per rimettere in moto il sistema scolastico, per migliorare la condizione dell’insegnante e la qualità delle metodologie didattiche. Il ruolo dei docenti è e deve essere considerato cruciale per migliorare e innovare i sistemi educativi.

La posta in gioco è troppo alta. Quando si tratta degli insegnanti dei nostri figli e delle scuole in cui insegnano, dobbiamo pretendere il meglio.