Cultura valutativa di Rosalia Garzitto Educazione & Scuola gennaio 2012 Nell’ambiente scolastico la valutazione è praticata da diversi anni ma rimane carente la cultura della valutazione: la valutazione è considerata un adempimento imposto, una pratica burocratica, un inciampo, non uno strumento che facilita la comprensione delle dinamiche in atto.
Diventa quindi
prioritario dissipare molti pregiudizi intorno alla valutazione,
riconoscere che esiste una cultura della valutazione e considerare
preziosa una tale esperienza per i benefici personali e
professionali che si possono trarre. Sperimentando un processo
partecipativo di valutazione si apprendono gli aspetti della cultura
della valutazione e si impara a pensare ed ad agire “in modo
valutativo”. Ma per favorire la creazione e il mantenimento di una cultura condivisa della valutazione è necessario coinvolgere gli insegnanti lungo tutto l’arco del processo di valutazione: stabilire e mantenere la credibilità del valutatore, interagire per discutere in merito ai collegamenti fra valori ed obiettivi e alle relazioni che esistono tra la definizione dei valori e l’identificazione dei risultati, per chiarire il significato e l’importanza dei risultati della valutazione, per un confronto sulle decisioni da prendere, per l’attuazione delle alternative proposte, per integrare la valutazione nei processi dell’insegnamento-apprendimento. La responsabilità, affinché la valutazione venga considerata cultura per l’apprendimento e il miglioramento organizzativo, è, in misura diversa, spartita fra dirigenza e insegnanti. Spetta al dirigente scolastico, come richiamato dalla C.M. del 18 ottobre 2011, (Servizio nazionale di valutazione – Rilevazione degli apprendimenti per l’a,s, 2011/12. Trasmissione direttiva ministeriale e indicazioni operative) e dalla D.M. n. 88 del 3.10.11, la messa in opera di puntuali e capillari interventi di informazione e formazione finalizzati a diffondere, all’interno della scuola e a favore delle famiglie, una corretta conoscenza delle finalità della rilevazione e del suo svolgimento, in particolare per quanto riguarda: l’oggetto e le modalità della rilevazione, ampiamente evidenziata dalla direttiva; la coerenza con gli obiettivi di apprendimento definiti a livello nazionale; la qualità delle prove, adeguatamente pre-testate e validate con procedure statistico-psicometriche; la necessità, per ottenere dati affidabili, di una corretta somministrazione; l’utilità che riveste per la singola istituzione scolastica il rapporto dei risultati, che permette di apprezzare il valore aggiunto realizzato dalla scuola e di promuovere in modo mitrato le azioni di miglioramento della didattica. Interventi di informazione e formazione costruiti in tempi e spazi dove lavorare serenamente, con un impegno conoscitivo congruente con la complessità dei cambiamenti in atto nelle nostre scuole e nella società, rivedendo rappresentazioni interiorizzate e convinzioni legate a determinati tempi, a determinati luoghi e diventate verità indiscutibili e irrinunciabili. Gli insegnanti devono affrontare qualche responsabilità verso se stessi e verso i propri allievi, soggettivamente mettersi in gioco, interrompere una logica assunta quasi automaticamente, aprirsi a nuove comprensioni che favoriscano prospettive operative nuove, in discontinuità rispetto alle modalità abituali. Non rassegnarsi in una sorte di fatalismo; noi stessi siamo parte delle condizioni di lavoro che viviamo e accettare di farsi coinvolgere nel processo della valutazione prelude ad una opportunità per imparare nuove cose riguardo ai punti di forza e di debolezza e a possibili direzioni da imprimere nell’agire quotidiano. Il teaching to the test, che può essere una sfortunata conseguenza della valutazione quando gli insegnanti ignorano alcuni aspetti del curricolo per concentrarsi sugli elementi che figurano come indicatori del successo della valutazione, può anche diventare un mezzo per favorire un cambiamento nella metodologia dell’insegnamento-apprendimento. Mi piace condividere un aneddoto personale che molto mi ha fatto riflettere sulle responsabilità soggettive dell’agire personale. Torino, maggio 2011, convegno internazionale “La sfida della valutazione” indetto dalla Fondazione per la scuola, Compagnia di San Paolo; uno dei relatori, Andreas Schleicher, responsabile divisione indicatori e analisi, direzione per l’istruzione OCSE, tematica dell’intervento: “la valutazione su larga scala degli apprendimenti”. Il relatore presentando i risultati ottenuti da alcuni paesi che hanno partecipato all’indagine Ocse-Pisa, invita a considerare le modalità di operare delle scuole che riescono ad ottenere buoni risultati, competenze molto avanzate negli studenti indipendentemente dall’origine sociale, in quanto l’analisi di Pisa si limita a far conoscere i dati, gli elementi predittivi, e non a dare indicazioni operative. Presenta situazioni dove gli insegnanti più bravi insegnano nei contesti più difficili, individua i fattori di successo nella qualità dell’insegnamento, nella disciplina nelle classi e nella collaborazione con i genitori. Presenta anche un video sulle scuole in Finlandia, un contesto d’insegnamento molto lontano dalle nostre realtà lavorative. Mi era parso così illuminato nelle sue considerazioni che non ho resistito dalla voglia di chiedergli come noi in Italia, con le nostre risorse, i nostri contesti sociali e politici potevamo operare per garantire migliori performance. Questa in sintesi la risposta: quando gli ingegneri entrarono nelle fabbriche giapponesi a lavorare a fianco degli operai, nacque il toyotismo, un insieme di idee produttive fondate sull’innovazione organizzativa, sulla qualità totale che portarono alla crescita della produttività. Voi insegnanti, tutti laureati, non siete in grado di decifrare le diverse difficoltà, di individuare modalità innovative per affrontarle? Certo che siamo in grado, se, come i colleghi finlandesi, possiamo incontrarci all’interno della scuola in piccoli gruppi, in una prospettiva di lifelong learning, che passa anche attraverso la cultura valutativa. |