Laicità nella scuola: un’utopia? Che cosa si intende oggi con il termine “laicità”? E, in particolare, che cosa significa tale parola riguardo al mondo della scuola? A queste domande prova a rispondere la recente raccolta di saggi curata da Marielisa Muzi, “Cultura e formazione nella società laica: realtà o utopia?”, 2011, Roma, Anicia. di Maurizio Tiriticco da Education 2.0, 16.2.2012 Che cosa significa oggi la laicità, o meglio, l’essere laici nei Paesi del Nord del mondo, e in particolare in Italia, dove la presenza di credenze diverse rende sempre più necessario un clima di accettazione e comprensione? Non dico “tolleranza”, perché è un termine obsoleto e non congruo a rappresentare atteggiamenti e comportamenti consoni alle nuove realtà con cui noi tutti ci dobbiamo confrontare ogni giorno. E che cosa significa laicità soprattutto per quanto riguarda il mondo dell’educazione, della formazione, dell’istruzione, le tre direttrici che, come afferma il dpr 275/99 (art. 1, comma 2), caratterizzano e sostanziano le attività delle istituzioni scolastiche autonome? A questi interrogativi intende rispondere l’insieme dei saggi che Marielisa Muzi ha voluto raccogliere nel volume recentemente pubblicato da Anicia.
Un luogo comune tende sempre a vedere la laicità come una
contrapposizione a una fede religiosa o, se si vuole, a una chiesa,
qualunque essa sia, con i suoi dogmi, le sue verità che uno spirito
laico, appunto, non può accogliere e accettare se non a patto di una
rigorosa disanima condotta con i “lumi della ragione”, se mi è
permessa questa espressione un po’ retorica, se non addirittura
“retrò”! Su questa linea si sviluppano i saggi contenuti nel volume e che sono tutti curvati, come dice il titolo, ai problemi della cultura e della formazione. E si tratta di una laicità non data, ma che va costruita giorno dopo giorno, in un contesto in cui non le è consentita una vita facile: di qui la seconda parte del titolo, “realtà o utopia?”, perché lo spirito laico non è dato, non ha partita vinta in società complesse e multiculturali, dove troppe confessioni sembrano essere più disponibili ad affermare se stesse che a riconoscere la relatività – questa sì che è utopia – delle loro affermazioni. Occorrerebbe “inaugurare un dialogo che miri a confutare integralismi e dogmatismi. Un compito difficile quello che in sostanza si propone, dal momento che il clima più diffuso sembra essere quello della difesa delle ragioni della presenza religiosa nella società attuale piuttosto che quello volto a rafforzare la dimensione della laicità” (p. 19). Francesco Mattei affronta il rapporto che corre tra secolarizzazione ed educazione nell’attuale discorso pedagogico e constata che, “lo si voglia o no, la globalizzazione e le migrazioni hanno anche mutato le cifre lessicali e semantiche dell’atto educativo, della sua produzione, della sua espressione, della sua comprensione. Inutile invocare allora la signoria del soggetto (occidentale), di attualissima memoria, e la sua formazione nelle dinamiche socio-economiche a tutti note. Queste condizioni sono mutate e sono mutate conseguentemente le spinte di costituzione del soggetto che in esse si insedia e prende forma” (p. 55). Apparentemente, un discorso fuor d’opera quello di Mattei, il quale va oltre il tema della scuola per chiedersi, in parte mutuando da Dietrich Bonhoffer e da Gian Enrico Rusconi, se è possibile costruire una democrazia laica pur in presenza di Dio! E allora, di quale Dio? E di quale religione? Una riflessione a monte, possiamo dire, che aggiunge materia all’interrogativo del titolo del libro, al quale riconosce quanto sia difficile, se non impossibile, oggi, dare una risposta conclusiva. La seconda parte del volume contiene tre saggi di elevato spessore. Emilia Romano, nel suo saggio “La progettazione esistenziale: un’utopia possibile”, si richiama al problematicismo di Antonio Banfi, noto per aver sempre sostenuto l’impossibilità di raggiungere un sapere assoluto, e al “sapere di non sapere” di Giovanni Maria Bertin. Tutte posizioni che nulla hanno a che fare con uno scetticismo di maniera, ma che invece tendono a riaffermare la necessità di quella continua ricerca che è indispensabile per comprendere – e costruire – il reale nel suo costante modificarsi. Si tratta di posizioni estremamente feconde ai fini di una ricerca pedagogica che non si fondi su verità assunte come assolute e immodificabili. Emilia Romano interviene anche in un altro saggio, “Etica, formazione morale, pensiero laico: il contributo del personalismo”. Si intende, qui, un personalismo che non insiste sul singolo e che non rinuncia mai alle persone come insieme di soggetti. “Nella coscienza laica è fortemente presente una continua tensione tra le esigenze del singolo e quelle della collettività, tensione che non va eliminata o risolta, ma che racchiude e custodisce il senso della cultura moderna, frutto di una lunga tradizione religiosa di stampo cristiano e di una forte stagione illuminista. Perché la pedagogia vuole, e deve, assumersi questi temi? Perché la coscienza laica non è qualcosa di naturale, ma è il risultato di un determinato contesto storico, sociale e culturale: la conseguenza di determinati accadimenti della storia dell’uomo. La coscienza laica crede in determinati valori e li promuove” (p. 128). Si tratta dei valori relativi ai diritti dell’uomo che oggi sono sanciti in tutte la Carte costituzionali dei Paesi democratici. Mi sovviene l’adagio del nostro Presidente Carlo Azeglio Ciampi, che ebbe a dichiarare come la nostra Costituzione fosse per lui la sua bibbia laica! E, potremmo aggiungere, il Corano laico per i musulmani residenti nel nostro Paese! I diritti dell’uomo travalicano, forse, gli assunti delle innumerevoli fedi? Non poteva mancare, in un volume sulla laicità, un excursus sui diritti del bambino e delle donne nonché, trasversalmente, sul femminismo. Francesca Marone nell’ultimo saggio “Liberare la parola. La demistificazione del processo formativo nell’opera di Françoise Dolto”, svolge un’attenta analisi sull’opera della nota pediatra e psicanalista francese attiva per quasi tutto il secolo scorso. La Dolto è stata attenta allo sviluppo del bambino, soprattutto nelle sue relazioni con le cose e con le persone che gli forniscono i primi stimoli della crescita e dell’apprendimento. “L’essere umano ha uno schema corporeo che corrisponde al corpo reale, con peso e altezza, che si struttura nello spazio e nel tempo attraverso l’esperienza e l’apprendimento; ma nello stesso tempo ha anche un’immagine inconscia del proprio corpo, frutto di tutte le relazioni intessute nel passato soprattutto con i genitori e poi le persone importanti della sua vita” (p. 174). Non sono casuali le corrispondenze della Dolto con ricercatori come Célestin Freinet, Alfred Adler, Alexander Sutherland Neill, noto anche per l’esperienza di Summerhill. E importanti sono state le sue prese di posizione quando in Francia il movimento femminista prese l’abbrivio con personaggi della statura di Simone de Beauvoir. La Dolto, profondamente cattolica, non mise mai in discussione la necessità di un’educazione del bambino, i cui diritti vengono prima di tutto. E la “Maison Verte”, la scuola da lei fondata, si rese celebre proprio per le innovazioni che la caratterizzavano: l’attenzione era centrata anche e soprattutto sui rapporti genitori/bambino, un rapporto in cui di fatto si cresceva e ci si educava insieme – se sei può dir così – anche indipendentemente dall’età anagrafica. Il volume si segnala, quindi, per le proposte aperte che offre al lettore, sia sul versante della riflessione sia su quello della operatività. In effetti, possiamo dire che lo spirito, più che la lettera, della disciplina recentemente introdotta nelle nostre scuole, Cittadinanza e Costituzione, va proprio nella direzione di insegnare e di far vivere, all’interno delle nostre classi ormai aperte a bambini di ogni nazionalità e di ogni confessione, l’esperienza interculturale, per una condivisione di intenti profondamente laica… nel senso più ampio del termine! |