Reclutamento nel segno di Formigoni di Antonio Valentino ScuolaOggi 7.2.2012 Una novità? Non è una novità assoluta l’idea di un reclutamento del personale affidato alle scuole, avanzata dalla Giunta Formigoni e che ha sollevato, in questi giorni, diffidenza e ostilità soprattutto a sinistra. La proposta, come è ormai noto, è contenuta nel Progetto di Legge della Regione Lombardia sulle “misure per la crescita…”, che, all’art. 5 (Reclutamento del personale docente da parte delle istituzioni scolastiche), recita: “A partire dall’anno scolastico 2012/2013, le istituzioni scolastiche statali possono organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, al fine di reclutare personale docente necessario a svolgere le attività didattiche annuali.
Nientemeno. I Progetti sperimentali di alcune scuole milanesi (quelli soprattutto di Bollate, di Cernusco e di Via Pace, partiti alla fine degli anni ’70), prevedevano il dispositivo tecnico del “comando”, che permetteva all’Istituto di “selezionare” i docenti di ruolo di altre scuole, interessati a insegnarvi, a domanda, sui posti ‘vacanti’. Il suo senso era quello di garantire alle scuole sperimentali autonomia didattica e organizzativa – molto prima dell’era Berlinguer - anche attraverso la possibilità di “scegliersi” gli insegnanti (almeno, come si è detto, per le cattedre scoperte). L’incarico era dato formalmente dal Capo di Istituto, su proposta di un Comitato, scelto dal Collegio Docenti e che operava sulla base di alcuni criteri (titoli, pubblicazioni, informazioni dalla scuola di provenienza, adesione al progetto sperimentale, inteso come impianto strutturale). Questo “istituto” fu in vigore fino alla fine degli anni ’80, inizi anni ’90, quando venne abolito per ragioni ininfluenti per l’argomento di cui si parla. La proposta di legge della Regione Lombardia non ha perciò creato particolare scandalo almeno a quanti sono stati dentro l’avventura delle sperimentazioni milanesi nel periodo indicato. Dell’istituto di Bollate e di quello di Via Pace, soprattutto, si diceva poi che avevano un “cuore che batteva a sinistra”.
Nessuno tuttavia, tra quanti vi operavano in quella stagione, ha mai
pensato che quello dei “comandi” fosse un istituto di “destra”; anzi
veniva vissuto come fattore importante della specificità
dell’Istituto e un’espressione di autonomia. L’articolo del Progetto di Legge ha fatto grande scalpore, come sappiamo, soprattutto in settori della sinistra e del sindacato. Pensando anche alle mie esperienze professionali e ai “caroselli” dell’ultimo trentennio, mi vado chiedendo se tale scalpore sia da condividere e in che misura; e se crea più scandalo la proposta di Formigoni o non, piuttosto, il fatto che del problema del reclutamento parliamo da una vita senza venirne a capo (e non solo del reclutamento, tra l’altro). Mi domando, in altri termini, se la cosa preoccupante e scandalosa non sia oggi piuttosto l’immobilismo del nostro sistema, che genera disuguaglianze, che non lavora per il futuro dei suoi giovani, e perpetua una scuola frantumata, autoreferenziale, accademica. Quest’ultima considerazione porterebbe a dare ragione a – o almeno a capire – Formigoni. Anche perché, di primo acchitto, sembrano condivisibili i ragionamenti sui “vantaggi” di cui parlano i “favorevoli” alla proposta: · Favorire –almeno in astratto - la costruzione di una coesione interna, di una identità culturale degli Istituti, di una realizzazione del POF più convinta. Con conseguenze positive sul clima interno e della qualità complessiva dell’attività didattica. · Dare finalmente gambe un po’ solide all’autonomia di cui può costituire strumento / leva importante.
In realtà l’articolo sul reclutamento del Progetto di Legge, con i suoi quattro commi, pone interrogativi ben seri che vanno capiti per afferrare meglio il senso dell’intera operazione. Un primo immediato interrogativo lo pone il modo sbrigativo con cui viene avanzata una proposta che smuove certamente il mondo della scuola, ma che, proprio per questo, avrebbe richiesto ben altro attenzione e ponderatezza, data la delicatezza e complessità della questione sotto i vari profili, compreso quello organizzativo. Né rassicura il fatto che “Le modalità di espletamento del bando di concorso sono definite, (…) con deliberazione della Giunta regionale” (comma 4). Altri interrogativi “materiali” che il disegno di legge fa emergere, e a cui non si preoccupa di dare linee guida per possibili risposte, vanno: dall’inesistente raccordo con le direttive ministeriali (per esempio in tema di trasferimento, che non credo si possano abrogare d’emblèe, da parte di una Giunta Regionale), alla tempistica – molto problematica - delle scuole, a quella – che non lo è meno - dei Centri Territorilali (con cui la prima deve fare i conti, almeno per quanto riguarda la definizione e l’autorizzazione dell’organico di fatto). Senza parlare del tema delle garanzie per i diritti, almeno quelli fondamentali, dei soggetti in campo. Inquieta un po’ anche il riferimento alle “attività didattiche annuali”. Vuol dire che ogni anno le scuole si metteranno a bandire e svolgere concorsi? Nessuno ovviamente potrebbe augurarselo, perché gli impegni amministrativi e burocratici già ora nelle scuole non sono proprio bazzecole; e sovrapporci altri pesi consistenti non aumentererebbe lo stato di benessere, che è già quello che è. Ci sono poi altri problemi, non proprio di dettaglio, su cui sarebbe stato opportuno fare chiarezza. Vorrei per esempio capire che cosa è questo “patto per lo sviluppo professionale” da condividere, per poter partecipare alla selezione. “Professionale” a chi va riferito: all’insegnante - che deve rispettare un patto di sviluppo professionale che riguarda la sua preparazione, formazione, aggiornamento -?; oppure va riferito al traguardo formativo dello studente? Nell’un caso e nell’altro, si moltiplicano gli interrogativi. Rispetto ai quali non appare facile ipotizzare risposte. Ma qualche preoccupazione ne viene. Sui “tempi” dell’operazione, poi, neanche Speedy Gonzales: il disegno di legge ha il razzo incorporato. E’ stato comunicato che verrà approvato l’8 febbraio; praticamente prima della scrittura. Spavalderia? Arroganza? Pressappochismo? Mancanza di rispetto per la gente di scuola e per il mondo della scuola in generale? Per lo stesso Consiglio Regionale? Fate voi. Però sta andando avanti così. Resta ancora da capire, tra l’altro, cosa dice al riguardo la Direzione Scolastica Regionale.
Comunque anche qui un paio di domande: data la delicatezza della
questione, non era auspicabile un passaggio nella Conferenza
Stato-Regioni per approndirla in un’ottica più ampia e proporre
soluzioni meno “muscolose” e più efficaci? Ma, forse, per Formigoni
sarebbe un passaggio troppo regolare e normale per essere preso in
considerazione. Preoccuppano infine – e forse di più - l’ambiguità delle parole chiave della proposta. Rileggiamo l’art 2 ter: “E’ ammesso a partecipare alla selezione il personale docente del comparto scuola che conosca e condivida il progetto e il patto per lo sviluppo professionale, che costituiscono parte integrante del bando di concorso di ciascun istituto scolastico. In che senso “conoscere” e “condividere”? E attraverso quale strumento? Attraverso colloquio (modello “Sperimentazioni autonome”) o per semplice dichiarazione? E gestito come? Ma gli interrogativi che pone il comma riguardano soprattutto i riferimenti al “ progetto” e al “patto di sviluppo professionale” (del quale ho già detto prima). E preludono al ragionamento sul rischio più grosso – quello di una sorta di progressiva privatizzazione della scuola statale - che mi sembra si voglia ulteriormente tentare con questa operazione. Oggi come oggi, infatti, pensare (come presuppone il disegno di legge) che si voglia andare ad insegnare in una scuola perché questa ha un “suo” progetto che si vuol condividere, è quanto meno azzardato, almeno nella stragrande maggioranza dei casi. Pensare che sia ‘altro’ il disegno di Formigoni, non è perciò “pensar male”. D’altra parte, l’operazione precedente della Giunta Lombarda, con la “Dote Scuola”, era essa stessa tassello di un mosaico di ridisegno del sistema istruzione lombardo, in cui quello che conta è la scelta delle famiglie e una identità di istituto non culturale e progettuale in senso laico, ma ideologica (in ogni caso contraria ad una scuola per tutti e per ciascuno, per dirla con uno slogan). Da qui l’enfasi che se ne deduce sul senso di appartenenza, che, alimentato in modo abnorme, genera chiusure, arroccamenti e contrapposizioni. Va serenamente riconosciuto che nella maggior parte dei paesi europei, gran parte delle scuole pubbliche non sono statali. E che i risultati complessivi, almeno quelli rilevabili attravero i dati OCSE, sono anche migliori di quelli che ci riguardano.
Il problema che però vedo da noi è quello delle “chiese”, dei
fortilizi ideologici e clericali, che è il portato di una scarsa
laicità della cultura del nostro paese; i rischi possibili – e le
preoccupazioni - in questo caso riguardano il futuro del nostro
paese, perché in campo c’è la formazione del cittadino della
Repubblica. O no? Qualcuno obietterà a questo punto che è però l’immobilismo il vero male del nostro paese e che non ci si può limitare a mettere i bastoni tra le ruote. E ha certamente ragioni da vendere. Ma, in questo caso specifico? Con tanti pesanti interrogativi, senza riposte, e tanti possibili rischi? Né vanno tralasciate, nella fase che stiamo vivendo, le priorità più urgenti (dalle Indicazioni nazionali per i Tecnici e i Professionali – e questioni annesse - all’ordinamento della “scuola media”, alla proposta del Ministro Profumo (VALeS) sulla valutazione, ecc..) che sollecitano il mondo della scuola e che richiederebbero di vedere uno sforzo congiunto da parte di chi vuole che il nostro sistema si risollevi. Non c’è niente di “benaltrismo” in questi richiami. Solo la sottolineatura delle questioni più urgenti su cui concentrarci e, ovviamente, la grande diffidenza verso un modo di fare politica che punta più alla spettacolarizzazione decisionista e provocatoria degli interventi, che non alla ricerca delle soluzioni migliori. Il problema degli strumenti dell’autonomia e dell’efficienza organizzativa – e delle garanzie per tutti – va comunque messo in agenda. Andrebbe solo, in questa fase, democraticamente evitato che a farsene carico e gestirlo sia Formigoni. |