Dove porta la rivoluzione del merito Il governo Monti ha in agenda un capitolo delicatissimo, quello della riforma dell'università. Se realizzato, il progetto produrrà esiti davvero radicali. Ne spiegava il significato Pietro Manzini su questo sito. Il senso della riforma è essenzialmente uno: l'eliminazione del valore legale del titolo di studio. di Nadia Urbinati La Voce.info 3.2.2012 RICONOSCERE IL MERITO
L'argomento che
giustifica la riforma è che l'attuale situazione mortifica il valore
del singolo studente e dell'ateneo, i quali non hanno incentivi a
essere migliori visto che il loro sforzo è giudicato alla stessa
stregua di quello fatto da studenti e atenei mediocri. Con
l'eliminazione del valore legale del titolo di studio
valutare gli atenei diventerà
necessario e questo darà loro lo stimolo per operare al meglio. La
certificazione della qualità è essenziale per associare il titolo di
studio all'impegno degli studenti e dei docenti. Come si intuisce è
un'intera filosofia, un intero sistema che viene cambiato. Il
modello di riferimento è quello americano
che fin qui ha funzionato, anche se, come hanno messo in
evidenza perfino i rettori dei grandi atenei, con la crisi economica
(e il taglio drastico delle borse di studio) si sta rivelando più
propenso a selezionare quegli studenti che sono economicamente
avvantaggiati (quando non li indebita per la vita). Ma sul principio
indicato dal governo Monti non si può non essere d'accordo:
riconoscere il merito, incentivare a perseguirlo, punire chi lo
scimmiotta senza eguagliarlo, premiare chi lo riconosce. Vorrei proporre uno scenario immaginario a partire da questa filosofia per farne comprendere la portata e la difficoltà e i tempi lunghi di attuazione. Prendiamo un ateneo statale qualunque. Per operare secondo i principi della nuova proposta di riforma, deve poter usare lo stipendio dei docenti come arma di punizione e stimolo, legandolo direttamente alla produzione, scientifica e accademica. Una voce importante sullo stipendio dovranno averlo anche i direttori di dipartimento e gli studenti perché conoscono direttamente il rendimento dei singoli docenti. Nel caso della qualità delle pubblicazioni, occorrerà che ogni casa editrice e ogni rivista accademica sottoponga i manoscritti in arrivo a lettori anonimi, al giudizio dei quali la direzione della casa editrice o della rivista deve attenersi. Occorrerà cioè che la valutazione sulla qualità sia affidata a meccanismi formali, non più dipendente dai giudizi soggettivi di preferenza, di cordata, di scuola. Una rivoluzione etica, poiché è evidente che chiedere a un ordinario di cessare di ragionare come naturalmente ha fatto per tutta la vita non è impresa semplice. E non finisce qui: si prevede che ogni docente abbia un contratto individuale con l'ateneo, e che solo lui o lei (e l'amministrazione) ne conosca l'ammontare; che ogni anno lo stipendio possa o restare fermo o alzarsi a seconda della valutazione complessiva della produzione del docente. Insomma, la fine del valore legale del titolo di studio prevede che gli atenei ragionino e operino in tutti i settori secondo la logica del “mercato delle idee”. Ma occorre soprattutto che il denaro segua il merito – una faccenda che è tutt'altro che automatica e certamente non indipendente dal contesto culturale. L'Italia non è proprio un paese dall'etica protestante. Occorre poi che i docenti diano il loro tempo (molto) alla formazione degli studenti, e che l'ateneo pubblichi ogni anno un rendiconto di come e dove piazza i suoi laureati. Un docente che non riesce a piazzare i suoi studenti contribuisce a dare un cattivo giudizio del suo dipartimento e del suo ateneo. Quindi controlli annuali dei piazzamenti: i quali, anche in questo caso, non saranno ottenuti per 'conoscenze' e cordate di amici di cattedra o famiglia, bensì per valore, poiché ovviamente non conviene a nessuna azienda o università assumere chi è “allievo di” ma senza merito. Per concludere la storia di questo ateneo immaginario, con questa proposta di riforma il governo Monti può innescare un processo virtuoso che emancipi la nostra università dalla cattiva fama che si porta addosso. Non sarà facile né automatico, poiché anche il meccanismo che ragiona per costi e benefici opera meglio o peggio in relazione all'ambiente umano, e non neutralizza automaticamente furbi, furbetti e corrotti. Il rischio che i “figli di” si facciano largo nel meccanismo degli incentivi c'è, se nel frattempo non si arma la riforma con borse di studio per merito, se non si istituiscono commissioni per reclutamento degli studenti che valutino separatamente il merito e la condizione economica di ciascuno di loro. Se, insomma, tutto un universo sociale, culturale e normativo non si ri-orienta in fretta per dar vita a un sistema universitario virtuoso. Come non rammentare che i giacobini fecero grossi guai quando si ostinarono di imporre un modello di libertà ignorando l'elemento umano e sociale? |