il caso I mammoni: di chi è la colpa?
Parla il direttore del Censis, Giuseppe Roma.
Flavia Amabile La Stampa, 7.2.2012
E, allora: bamboccioni,
sfigati, monotoni nella loro mania del posto fisso. Ma soprattutto
ecco che cosa sono i giovani italiani nell’immaginario collettivo di
chi sta al governo: i soliti, inguaribili mammoni.
«Ancora una frase? Ma
non si può andare avanti con le frasi...»
«Su questo tema stiamo
realizzando proprio in questi giorni un’elaborazione come Censis e
la situazione è davvero drammatica. Il mondo giovanile ha una
difficoltà notevole. All’interno di coloro che hanno fra i 25 e i 29
anni il 31% è del tutto inattivo. E’ una cifra enorme».
«In Francia sono il
12,5%, il Regno Unito il 15%, la Germania il 17,5%. In Italia è
quasi il doppio: abbiamo un esercito fuori dai giochi. Ora, io penso
che ci sia sempre un equilibrio tra oggettivo e soggettivo. In un
altro periodo storico ci sarebbero stati fiumi di giovani alla
ricerca di un posto in un altro Paese europeo. Li abbiamo, e sono i
più intraprendenti, ma restano una minoranza. Non abbiamo il
contrario, invece, perché in Italia ci sono poche opportunità».
«Perché ci sono persone
che hanno minori capacità di intraprendenza personale. O forse
perché hanno una formazione poco positiva: hanno scelto il liceo
senza crederci o una scadente formazione tecnica e professionale
quindi non hanno un mestiere. Oppure non hanno spirito d’iniziativa
e nemmeno qualcuno a cui rivolgersi perché un’altra anomalia
italiana è che il 70-80% del lavoro non si trova attraverso canali
formali».
«Direi di no.
All’estero la formazione è più legata al lavoro fin dalle
elementari. Da noi prevale la formazione generalista, la
liceizzazione che poi porta a università altrettanto generiche. Mi
viene da dire addirittura che le università italiane sono mammone.
Abbiamo atenei adatti a formare un’elite dove però studiano milioni
di giovani. La protezione è una tendenza tutta italiana, un frutto
della cultura familiare. In Francia i giovani hanno un sussidio,
vengono resi autonomi».
«Ma è una protezione
che ottunde la voglia di autonomia. Il problema è che di tutto
questo parliamo da quindici anni ma, al di là delle parole e delle
lamentele, da parte dei governi non esiste un solo provvedimento che
dia autonomia ai giovani ma nenmmeno che aumenti la nostra capacità
produttiva. Quello dei giovani mammoni è un problema drammatico, ma
è evidente che durerà ancora per poco».
«Perché ad un certo
punto i risparmi dei genitori finiranno. La riforma delle pensioni
c’è stata, chi faceva un doppio lavoro non potrà più farlo, i
ragazzi verranno per necessità spinti ad avere un maggior espirito
d’iniziativa. Purtroppo non ci saranno opportunità di lavoro perché
non aumentare la capacità produttiva vuol dire lasciare i problemi
irrisolti. Siamo uno dei Paesi con la più bassa produttività, non
possiamo continuare a dividere sempre la stessa torta». «Che cosa si può ottenere con le liberalizzazioni? Al massimo un aumento dell’occupazone attraverso una ridistribuzione delle risorse esistenti. Vuol dire seguire un modello statico, si spera di innescare un abbassamento dei prezzi e quindi di rendere più accettabili i salari esistenti. Vuol dire giocare in difesa non si sta espandendo il mercato, non si sta crando la possibilità per i giovani di svolgere un nuovo lavoro. Si continua solo a tagliare a fette sempre più piccole la stessa torta». |