Lettera aperta al viceministro Martone‏

Una giovane studentessa spiega al viceministro del lavoro perché, davvero, i giovani faticano a laurearsi e trovare lavoro.

 di Chiara Orsolini da Agora Vox, 25.2.2012

Egregio viceministro Martone,

non voglio difendere o attaccare qualcuno, solo servirmi della scrittura nella sua funzione di fissare lo spirito critico, in questo caso riguardo i suoi argomenti di ieri, a proposito del ruolo dei giovani laureati e non nell'economia italiana e delle responsabilità del governo a proposito. Sono circondata da amici laureati, in corso o meno - non dirò “in tempo”, perché il tempo è una dimensione che si può scegliere di non scandire con i ritmi del mercato - e che lavorano all'estero. Per questione di necessità, perché in Italia non si lavora e le statistiche non racconteranno mai ai parlamentari laureati nelle università private i mondi di chi, quando fa domanda per fare il commesso, viene respinto più facilmente se in possesso di una laurea e ha più di ventiquattro anni, o di chi “impara l'arte per mettersi da parte”. E gli esempi potrebbero continuare all'infinito.

Lei ha affermato giustamente che il problema dei giovani è stata la mancanza di indicazioni chiave per orientarsi nel mercato del lavoro, ma affermare che i giovani hanno risentito della crisi maggiormente perché erano impreparati, ovvero inoccupati, mi sembra paradossale. Forse una fabbrica non avrebbe chiuso lo stesso anche con giovani operai? Una salvezza per i giovani sarebbe stata una politica culturale, di cui ora parla anche lei, che avesse educato prima studenti e lavoratori di tutte le età a pensare diversamente, fin dai primi segnali della crisi. Avrebbero saputo quattro anni fa che era inutile studiare in massa per lavorare, perché il mercato del lavoro non avrebbe più assorbito nessuno per molto tempo. Non spetta a me adesso dire in che modo lo Stato avrebbe potuto intervenire per trovare delle soluzioni a questo enorme problema. Lei parla di carenze nella scolarizzazione in Italia, dice che non si è indicata la via ai giovani per orientarsi nel mercato del lavoro, questo è verissimo. Infatti in Italia lo Stato non si occupa di formare gli insegnanti a parlare concretamente ai loro studenti della realtà, né tramite quali nuovi strumenti farlo. Il valore delle maestranze italiane che crearono certi capolavori che lei porta ad esempio, si perde ogni volta che cade un pezzetto del Colosseo, o di Pompei, mentre i restauratori italiani sono fuori perché nessuna politica culturale è mai stata pensata per investire nell'arte, settore così naturalmente italiano. Settore gestito spesso tanto nella conservazione che nel restauro, da stranieri.

Lei dice che il made in Italy è apprezzato in tutto il mondo, ma cosa succede ora che sono gli italiani, non gli africani a non essere in grado di comprarlo? Forse il sistema mostra delle falle non riconducibili all'età dei laureati? Forse questo mercato del lavoro si è spostato fuori dall'Italia, dall'Europa? Qual è statisticamente, dato che questo modo di rappresentare la realtà piace tanto ai politici, l'impatto dei laureati dopo i ventotto anni sull'economia italiana? Quanto incidono sul PIL queste persone “sfigate”? Che cosa voleva esattamente affermare quando ha detto che i neuroni cominciano a diminuire dopo i 23 anni? Che la capacità di elaborare informazioni del cervello scade? A me sembra piuttosto che siano i ritmi e le periodizzazioni del mercato con cui si vuole che coincidano le vite di tutti, che stanno per scadere. Ma un'alternativa a questo modello economico non esiste ancora e su questo varrebbe la pena stimolare gli studenti a soffermarsi contribuendo al dibattito pubblico. Laurearsi quanto prima avrebbe impedito o impedirà in futuro l'instaurarsi di una nuova crisi economica? Altrimenti mi dico, Einstein non fu in grado di elaborare la relatività a ventitré anni, quindi i contributi che si possono dare all'umanità non seguono gli stessi ritmi della merce sul mercato. In fase di speculazioni e di declassamenti oltretuttto...

Se si preoccupa del ruolo che ricopre, si preoccupi di non dire ovvietà, etichettando persone in modi banali, con un linguaggio che viene strappato ai giovani facendo diventare altri giovani capri espiatori di una situazione economica morente. Questa a mio avviso è politica contro, non per i cittadini, e va molto di moda nei politici che mancando di contenuti si servono di astrazioni, come le statistiche e i sondaggi per camuffare l'incompetenza di fondo. Gli italiani si laureano troppo tardi e iniziano troppo tardi a cercare lavoro, questo è un dato di fatto, ma se il lavoro è possibile, allora esiste necessariamente, il problema è che sembra non esistere. Non credo che nell'analisi sociale necessaria a sviluppare un'azione di governo si debbano guardare le azioni di “sfigati”, quanto le dinamiche (in cui sono coinvolte le istituzioni), che creano gli “sfigati”. Per trasmettere un messaggio culturale con un significato, il governo dovrebbe prima sforzarsi di capire il perché di questa lentezza nei giovani. Qualche risposta potrebbero essere tasse universitarie altissime e doppi lavori, piuttosto che “senilità” di istituzioni e imprese, contratti a progetto con i quali lo Stato stesso impiega persone per alcuni mesi per poi ricacciarle nella disoccupazione. La depressione, il clima asfittico, la lotta per la sopravvivenza negli ambienti di lavoro dovuta alla precarietà, forse anche la mollezza generale dovuta ai troppi beni, non sta a me deciderlo. Concludo parafrasando le sue parole: “c'è differenza tra chi fa le cose bene e chi non le fa”, quindi anche tra governi che dicono e che non dicono, altrimenti il secchione resta un secchione, anche lui come lo sfigato, improduttivo.

Ps: la sottoscritta è tutt'ora in attesa di consigli per orientarsi nel mercato del lavoro.