Lettera al presidente Mario Monti

Alessandro Buscemi La Tecnica della Scuola, 20.2.2012

Egregio Presidente Sen. Prof. Mario Monti,

da uomo vicino a Pierferdinando Casini, Le scrivo poche righe con la stessa stima e con la stessa fiducia che il leader dell’Udc ha sempre espresso nei Suoi confronti, ma soprattutto mi rivolgo alla Sua persona con tanta umiltà e con la speranza di chi nutre un forte desiderio di sano cambiamento, un sentimento che ha sempre vinto la tentazione di fuggire dalla mia isola in direzione di realtà più felici, una viva speranza che mi dà la forza di resistere all’impulso di abbandonare una nave che affonda, anche a causa di politici che fra le loro numerose qualità, spesso non possono vantare virtù come onestà, senso civico, competenza, senso di giustizia, capacità di valutare obiettivamente i contesti presenti e quelli passati, pagine di storia che molte volte hanno avvantaggiato Regioni, Nazioni e Continenti, indebolendone subdolamente e a volte crudelmente altri, mettendo in evidenza un’azione insensibile che sicuramente esula da tutto ciò che possa essere definito servizio politico.

Egregio Presidente, dopo un volontario contributo giovanile a chi aveva meno fortuna, ho scelto di prestare servizio nella scuola nel ruolo di insegnante.

Alle agenzie educative attribuisco moltissima importanza e penso di non sbagliare se affermo che la scuola, in ordine di importanza, sia l’istituzione educativa seconda soltanto alla famiglia.

E’ palese il fatto che pochissimi sono gli investimenti a favore di un’istituzione utile a migliorare la società futura, ed è inconfutabile che i nostri rappresentanti in Parlamento, al fine di fare quadrare i conti, hanno deliberato tagli che hanno ridotto le risorse all’interno delle scuole, compromettendo inesorabilmente il risultato finale.

Tale risultato spesso non viene adeguatamente raggiunto anche per il servizio prestato dai docenti pigri, che vivono con sofferenza il loro ruolo, quindi non posso biasimare chi giustamente difende a spada tratta la meritocrazia all’interno della scuola, ma credo che un docente si misuri alla fine di un ciclo di lezioni, valutando bene il livello di partenza dei suoi alunni e quello raggiunto nell’arco degli anni grazie al servizio prestato dal loro insegnante.

Aborrisco l’idea di rendere pubblico l’esito della valutazione effettuata a un docente e mi fa paura un’eventuale spada di Damocle che oscilla sulla testa di insegnanti vittime di un potere eccessivo conferito a chi potrebbe abusarne.

Forse in alcuni casi il posto fisso è monotono e a volte anche noioso, ma sono convinto che tale affermazione non sia corretta quando ci si riferisce ad un insegnante, in quanto in una classe un docente deve misurarsi quotidianamente con alunni diversi tra loro, sia dal punto di vista economico sia da quello socio-culturale e, di conseguenza, deve pensare sempre a nuove strategie didattiche, al fine di garantire a tutti il raggiungimento degli obbiettivi programmati.

Egregio Presidente, sulle scrivanie dei dottori commercialisti spesso si accumulano le pratiche di alcuni cittadini che dichiarano dei redditi tali da non potere giustificare l’acquisto di macchine costose, di ville lussuose, di barche, di abiti firmati, di numerosi viaggi di piacere, di gioielli e tanti altri vizi che si potrebbero realizzare soltanto qualora si percepissero redditi molto più alti da quelli illegalmente dichiarati, ma da sempre nei periodi di crisi ad essere maggiormente colpito è colui che cerca di garantire il minimo necessario per sé e i suoi familiari, facendosi bastare lo scarno stipendio che si percepisce con un posto fisso.

L’impiegato statale gestisce un reddito più basso rispetto a molti altri lavoratori che vivono grazie a un posto fisso, ma l’insegnante, a differenza di altri servitori dello Stato di pari livello, ha la responsabilità degli alunni che gli vengono affidati e, come se non bastasse, per il fatto che non sempre il servizio viene prestato in una scuola ubicata nel comune di residenza, un docente dal suo misero stipendio deve sottrarre le spese per il carburante, per i tagliandi del proprio mezzo e, nei giorni in cui per motivi di lavoro è costretto a fermarsi a scuola anche nelle ore pomeridiane, deve farsi carico anche delle spese relative ai pasti.

In linea generale un dipendente statale non ha la possibilità di svolgere una seconda attività utile a guadagnare tanto quanto basta per arrivare a fine mese con maggiore serenità.
A chi svolge attività statale retribuita viene preclusa la possibilità di svolgere un secondo lavoro sin dal 1919, quando Luigi Einaudi sosteneva che il doppio lavoro era una delle cause principali di inefficienza.

Con la finanziaria del 1997 al dipendente pubblico è stato consentito di svolgere un’attività da affiancare al servizio prestato per lo Stato, a condizione che si trasformi il rapporto di lavoro da full-time a part-time e che la seconda attività non determini conflitti di interessi.

Dei due limiti non approvo il primo, ma condivido appieno il secondo, credo quindi che un impiegato statale dovrebbe avere la possibilità di gestire anche altre attività che non siano incompatibili con il servizio prestato allo Stato, a condizione che non vi sia spazio per l’evasione fiscale e che vengano garantiti tutti i diritti degli eventuali dipendenti.

Egregio Presidente Monti, giunti a questo punto, essendo lungi da me un tentativo di approfittare della Sua pazienza, desidero concludere la mia missiva e lo voglio fare ringraziando anticipatamente per la risposta che riterrà opportuno fare seguire alle mie modeste riflessioni, ma soprattutto augurandoLe sinceramente un buon lavoro.

Distinti saluti


Alessandro
Buscemi