Lodolo D’Oria: salute dei docenti a rischio, intervista a Vittorio Lodolo D'Oria il Sussidiario 8.2.2012 Quanti docenti chiedono di cambiare sede? Molti, stando alla media nazionale del 4,3% segnalata nelle pagine del sito Scuola in chiaro del Miur. E il problema potrebbe essere più “grave” di quel che sembra. Non trattarsi, cioè, solo della ricerca di migliori rapporti interpersonali o condizioni lavorative – esigenze di famiglia a parte. Spesso, infatti, quello che potrebbe sembrare ad uno sguardo superficiale un semplice disagio, si rivela come la punta di un iceberg molto più grande. In altre parole, c’è di mezzo una patologia vera e propria, che andrebbe diagnosticata, nell’interesse degli insegnanti e dei loro allievi, il prima possibile. Il condizionale purtroppo è necessario, perché così non accade. Il fatto è – scriveva già nel 2004 Lodolo D’Oria, tra i massimi esperti di burnout dei docenti – che il fenomeno del disagio mentale professionale «assume particolare rilevanza alla luce della nuova normativa sulla tutela della salute nei posti di lavoro (art. 28 del Dlgs 81/08 e s.m.). Questa pone in capo al datore di lavoro il compito di individuare e contrastare i rischi da stress lavoro-correlato (Slc) tenendo in giusto conto anche il genere e l’età del lavoratore. I dati del Ministero della Pubblica Istruzione, mostrano che il corpo docente è per l’82% composto da donne con un’età media di 50,2 anni. La categoria professionale dei docenti rientra tra le cosiddette helping profession e risulta essere maggiormente esposta ad usura psicofisica». Eppure, nonostante questo, «nell’opinione pubblica è ben radicata la convinzione che la suddetta categoria fruisce di una condizione privilegiata».
A quante pare, la situazione – è la
denuncia dello specialista – non sta cambiando.
Il dirigente scolastico, e non altri,
è sempre colui che ha il compito di riconoscere il disagio e
gestirlo di conseguenza. Le espressioni (sintomatologia e segni
clinici) del Dmp sono abbastanza stereotipate e piuttosto facilmente
riconoscibili se si è a conoscenza del fenomeno (cosa tutt’altro che
scontata per i direttori scolastici italiani). Ciò premesso, di
fronte al sospetto di Dmp non si deve perdere tempo, ma valutare
celermente tutti gli elementi a disposizione raccogliendo – con
estrema discrezione – testimonianze e documentazione pregressa: ciò
è utile a chiarire il quadro. Il conseguente invio alla Commissione
medica di verifica (Cmv) per un accertamento medico d’ufficio deve
poi essere corredato, a norma di legge, da una sintetica e
significativa relazione d’invio al Collegio medico competente. Ogni
elemento significativo riportato nella relazione deve essere
suffragato da testimonianze e allegati alla relazione stessa.
È piuttosto frequente
che, in seguito allo scaricabarile di un suo collega, un Ds riceva
una cosiddetta “mina vagante”. Il dirigente non deve perdersi
d’animo ma cominciare a raccogliere gli elementi utili di cui sopra,
avendo cura di sostenere un colloquio col Ds dal quale ha ricevuto
il prezioso “regalo”. È importante ricercare un dialogo con
l’interessato, possibilmente in presenza di un testimone (es.
collaboratore del preside). È buona norma verbalizzare il predetto
colloquio.
Oltre a quanto detto,
vale sottolineare che un Ds deve essere estremamente professionale
nel rapportarsi con il lavoratore in Dmp. Avere bene in mente le
proprie incombenze medico-legali, nonché i recenti strumenti messi a
disposizione dal legislatore (vedi regolamento del Dpr 27 luglio
2011), rappresenta il primo passo indispensabile verso la soluzione
di un caso, seppure complesso.
Tendenzialmente mai – a
meno che non si tratti di un caso estremamente complesso – poiché
deve essere rispettata la posizione di terzietà della Cmv rispetto
al lavoratore e al datore di lavoro. Di norma il Ds deve essere in
grado di rappresentare alla Cmv il caso di Dmp unicamente attraverso
la relazione scritta in maniera esaustiva e sintetica.
Premesso che
l’accertamento medico d’ufficio ha sempre il compito di tutelare la
salute del lavoratore (anche nel caso che il Ds richiedente avesse
altro fine), si consiglia di contattare direttamente la Cmv solo nel
caso di estrema ed urgente gravità (es. pericolo per l’incolumità
fisica del lavoratore stesso e/o dell’utenza). Passando attraverso
la segreteria della Commissione si può richiedere un colloquio col
presidente, dopo aver inoltrato la richiesta di accertamento, avendo
l’accortezza di farlo almeno qualche giorno prima che la Cmv si
riunisca. Contestare un provvedimento oramai deliberato e assunto
dalla Cmv sarebbe è invece del tutto controproducente ai fini della
risoluzione del caso in questione.
Né con la Gelmini né
con l’attuale ministro la situazione sta migliorando. Le nuove
tutele sulla salute dei docenti e sulla prevenzione dello Slc sono
completamente inascoltate. A fronte del decreto 81/08 che contempla
interventi di prevenzione contro l’usura psicofisica nelle
cosiddette helping profession, nulla è stato fatto. Nessun fondo è
stato stanziato e nessuna ricerca è stata effettuata o prevista.
Eppure non ci vorrebbe molto a stabilire l’entità del problema:
basterebbe raccogliere i dati dei Cmv sugli accertamenti sanitari
per gli insegnanti. Ci si renderebbe subito conto che negli
insegnanti devono essere prevenute soprattutto le patologie
professionali di tipo psichiatrico e quelle oncologiche. Riguardo a
queste ultime basti pensare che come inizio sarebbe sufficiente
convincere le docenti (82% donne) a sottoporsi a mammografia: oggi
la effettua solamente la metà delle insegnanti.
Per queste il discorso
è più complesso. Andrebbe spiegato ai docenti che sono esposti al
rischio professionale di contrarre psicopatologie (il loro lavoro
comporta infatti usura psicofisica), e tale rischio aumenta se vi è
un’anamnesi familiare positiva e una difficile situazione nella loro
vita di relazione. Al contrario il governo – in completa
controtendenza col decreto 81/08 – allunga l’età lavorativa senza
premurarsi di accertare prima la vera condizione della categoria
professionale. E ciò che fa più specie è il silenzio assordante dei
sindacati che hanno paura degli stereotipi dell’opinione pubblica a
fronte di quei pochi dati (raccapriccianti) disponibili sui loro
iscritti. No, infatti. La situazione potrebbe essere descritta in questi termini: governo schizofrenico, sindacati inadempienti, dirigenti scolastici impreparati (ci sono studi valenti a testimonianza di ciò), docenti ignari sui loro rischi e sui diritti/doveri nella tutela della salute. Possiamo aspettarci qualcosa di buono da questo scenario? Solo la cronaca nera se ne potrà avvantaggiare. |