L'EDITORIALE

Perché le scuole cattoliche
non possono non dirsi enti commerciali

I salesiani sul piede di guerra: ''Con l'Ici chiudiamo''. Non bastano i 500 milioni di euro che lo Stato eroga per gli istituti privati

 Paolo Ribichini Diritto di Critica, 27.2.2012

Immaginate se il Cepu o la Luiss non pagassero l’Ici. Cosa succederebbe? Nel giro di qualche giorno arriverebbe la Guardia di Finanza per accertamenti. E l’Agenzia delle Entrate aprirebbe un fascicolo per evasione fiscale. Ma alcune scuole private, come quelle cattoliche, l’Ici non l’hanno mai pagata. Ed ora con la riforma prevista dal governo Monti potrebbero continuare ad usufruire dell’esenzione.

Enti commerciali a tutti gli effetti. Ospedali e scuole sono realtà che servono al sostentamento di gruppi religiosi. Un sistema che permette a preti e suore di guadagnarsi da vivere. Se gli ospedali in alcuni casi possono supplire le mancanze dello Stato, le scuole private no. Non si sostituiscono affatto al carente welfare italiano (almeno non più) anche perché le famiglie che usufruiscono dell’istruzione privata sono essenzialmente quelle meno disagiate. A Roma le scuole private hanno rette annuali che variano da un minimo di 1.500 a 7mila euro l’anno, in base al grado e al prestigio dell’istituto. Una cifra certamente non alla portata di tutti, soprattutto per chi deve mandare il proprio figlio alla scuola secondaria.

Scuole religiose, insegnanti laici. A dimostrazione del fatto che gli istituti religiosi sono luoghi dove si produce reddito è sufficiente citare un dato: l’83% dei docenti che lavorano in questa realtà è laico. Quindi, come in qualsiasi azienda, la scuola privata religiosa ha i clienti (gli studenti) e i dipendenti (maestri e professori). Ma mentre l’azienda comune deve pagare l’Ici, questi istituti non l’hanno mai fatto.

I salesiani furiosi. I primi a lamentarsi dell’imminente Ici/Imu sono gli esperti dell’istruzione religiosa in Italia: i salesiani. “Se dovremo pagare l’Imu, le nostre scuole saranno costrette a chiudere”, spiegano. “Con la tassa a rimetterci sarebbero soprattutto gli alunni che perderebbero opportunità didattiche, e docenti ed operatori laici perderebbero il lavoro”, aggiunge don Alberto Lorenzelli, “capo” dei salesiani dell’Italia centrale. Evidentemente non bastano i finanziamenti statali, superiori ai 500 milioni all’anno, e quelli regionali, elargiti in aree come quella lombarda, in maniera piuttosto cospicua.

I partiti genuflessi. Mentre il governo deve definire chiaramente cosa deve essere considerato commerciale e cosa no, i partiti difendono la Chiesa. Le elezioni sono vicine ed è meglio non deludere le aspettative dei cattolici. Il governo deve “considerare il caso degli enti che alleviano le ferite aperte nella società italiana, le scuole che tengono i nostri bambini”, spiega Pier Ferdinando Casini. E non poteva mancare una dichiarazione di un ciellino di ferro come Maurizio Lupi del Pdl: “Sarebbe inaccettabile che un asilo parrocchiale, che svolge da sempre funzione pubblica, pagasse l’Imu”. Udc, Pdl. Non c’è due senza tre: Beppe Fioroni del Pd ha dichiarato che sarà pronto a presentare un emendamento affinché istituti religiosi o no profit, vengano esentati dal pagamento della nuova Ici.

La scelta del governo. Per cancellare ogni dubbio, il governo potrebbe decidere di riesumare la circolare del Ministero delle Finanze del 2009. Seguendo i principi elencati in questo documento, potrebbero non pagare l’Imu le scuole che abbiano tre caratteristiche essenziali: essere riconosciute come “paritarie” (cioè che si strutturino come le scuole statali), nessuna discriminazione d’ingresso, pareggio di bilancio. Se dovesse esserci qualche avanzo, questo dovrebbe essere reinvestito l’anno dopo esclusivamente nella didattica o nel miglioramento della struttura.