L’apprendistato non decolla, di A.G. La Tecnica della Scuola, 8.2.2012 Monitoraggio del ministero del Lavoro: sono 542 mila, solo il 15% degli occupati tra i 15 e i 29 anni. Rispetto al 2008 c’è un calo del 17%, con punte più alte tra minorenni e occupati nelle aziende artigiane. Preoccupa che solo un apprendista su quattro è iscritto alle attività di formazione pubblica. A quando il cambio di passo? Anche il Governo Monti, dopo l’ultimo targato Berlusconi, punta sui contratti di apprendistato. Solo che occorreranno grossi investimenti. Perché gli ultimi dati, anche a causa della crisi del mercato lavorativo, indicano un preoccupante calo dell’antica formula di avvicinamento dei giovano alle professioni. Secondo gli ultimi dati forniti dall’Inps e dall’Isfol, relativi al biennio 2009-2010, pubblicati dal ministero del Lavoro nel XII Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato, sono 542 mila i giovani in apprendistato: la quota corrisponde al 15% degli occupati tra i 15 e i 29 anni d’età. Il problema è che rispetto al 2008 è stato registrato un calo complessivo del 17%, con punte più alte per il segmento dei minorenni, soprattutto se occupati nelle aziende artigiane. “Dai dati - fa sapere l’Isfol - traspare, tuttavia, anche qualche segnale di ripresa: sul fronte dei nuovi avviati si è avuta una contrazione del 27% nel 2009 ma l’anno successivo si è tornati ad un trend positivo del 2%. Inoltre, nonostante la crisi in atto il numero di apprendisti il cui contratto è stato trasformato a tempo indeterminato è comunque rimasto stabile nel 2009 ed è addirittura aumentato del 12% nel 2010. Rispetto ai contratti non standard l’apprendistato continua ad offrire maggiori possibilità di passare ad una condizione lavorativa stabile”. Certo, si tratta di incrementi modesti. E comunque sempre molti distanti dal cambio di passo auspicato dalle massime istituzioni e concretizzatosi anche attraverso la discussa possibilità, approvata dal precedente Governo, di far valere come formativo a tutti gli effetti l’ultimo anno di scuola dell’obbligo (quindi tra 15 e 16 anni) di età, sempre se coperto da adeguata formazione in aula. Anche perché dallo stesso rapporto nazionale risulta che gli apprendisti iscritti alle attività di formazione pubblica sono appena il 25%. Peraltro con forti divari territoriali, con i valori di Centro e Mezzogiorno attestati non oltre il 15%. Non a caso, le realtà con la più alta percentuale di apprendisti in formazione sono le Province autonome di Bolzano (84%) e Trento (80%), il Friuli Venezia Giulia (75%) e l’Emilia Romagna (66%). Secondo l’Anief, però, questi dati vanno letti anche come una sonora bocciatura del modello di riforma delle superiori: “La riduzione del numero di contratti di apprendistato di quasi il 20% - ha commentato il presidente Marcello Pacifico - è la dimostrazione di come la riforma Gelmini della scuola secondaria superiore non abbia avuto alcuna ricaduta a livello di inserimento dei nostri giovani nel mondo del lavoro”. Soprattutto se i numeri dovessero confermarsi così modesti anche nel biennio successivo. Quando cioè sarà entrato a regime il modello di riforma voluto dell’ex ministro dell’Istruzione. In ogni caso, l’impressione è che la formazione in azienda rimane più un auspicio che una realtà di cui andare fieri. Soprattutto perché il 19% di giovani italiani continua ad abbandonare gli studi dopo la licenza media. Giovani che, secondo il direttore generale dell’Isfol, Aviana Bulgarelli, rischiano sempre più “di rimanere emarginati dalla vita professionale e di confluire in condizione di povertà ed esclusione sociale. L’apprendistato, viceversa, è uno strumento che può far emergere il talento anche di quei giovani cha hanno difficoltà con l’apprendimento scolastico tradizionale”. Su questo sono (siamo) tutti d’accordo. Ma quando i fatti? |