L’apprendimento permanente
per il futuro del Mezzogiorno

Franco Buccino ScuolaOggi 6.2.2012

Si dice che per uscire dalla crisi il nostro Paese debba far leva sulla conoscenza, l’istruzione, l’apprendimento permanente. Nel Mezzogiorno, poi, immobilizzato in un’emergenza perenne, le persone istruite e formate sono, secondo molti esperti, l’unica risorsa possibile per lo sviluppo economico e civile. Certo, se la scuola pubblica funzionasse, se fossero accettabili i tassi di scolarizzazione, se non esistesse la dispersione scolastica, se fosse adeguato il numero di diplomati e laureati, se la formazione professionale fosse efficiente e integrata nel sistema formativo, se l’alta formazione tecnica e professionale facesse concorrenza all’università. Certo, se le persone, istruite e educate in età scolare, stessero sistematicamente all’interno di un percorso formativo.

Durante il tempo del lavoro, quando c’è bisogno di aggiornamento professionale, di riconversione e flessibilità, di educazione alla sicurezza. Durante il tempo libero e la vita comune, il tempo per sé e per la famiglia e quello per la società, quando bisogna aggiornare le conoscenze, istruirsi su stili di vita sani e praticarli, crescere nell’educazione civica, al volontariato e alla solidarietà, nell’educazione ambientale, alla legalità e alla pace. Durante il tempo della terza età, quando bisogna educarsi all’invecchiamento attivo, quando si torna come i bambini alla conoscenza disinteressata e, insieme, si mette a disposizione degli altri il proprio bagaglio di conoscenze, le proprie esperienze, il proprio tempo nel volontariato di comunità, un ruolo attivo nello stesso processo di apprendimento scardinando la tradizionale, consolidata e spesso dannosa relazione docente-discente.

Chi non riconosce la straordinaria importanza di un sistema di apprendimento destinato a tutti per tutto l’arco della vita: deriva da esso la civiltà e il benessere di una nazione. Chi non coglie la straordinaria convenienza dell’investimento in formazione: si ricavano innumerevoli benefici e si risparmia sulla spesa sociale. La risorsa per uscir fuori dai nostri guai, dai nostri problemi, dalle nostre arretratezze, ce l’abbiamo, o meglio, quest’unica risorsa sembra disponibile e a portata di mano.

La realtà è molto diversa. La realtà attuale del sistema di apprendimento è critica nel Paese, tragica nelle nostre regioni meridionali. Sia per quelle parti del sistema ben note, l’istruzione e la formazione professionale, sia soprattutto per quella parte poco conosciuta e praticata, e variamente denominata: educazione degli adulti, educazione permanente, permanente e ricorrente, per tutto l’arco della vita, ecc.

L’istruzione pubblica è vittima di una lunga e non compiuta ristrutturazione che riguarda personale, strumenti e contenuti, cioè precari, orari e materie. L’impoverimento dell’offerta oltre ai danni che arreca agli studenti, pregiudica anche il restante percorso formativo. Molti studenti, oltre quelli che si “disperdono”, vedono sfuggirgli di mano in tempi brevi le conoscenze e le competenze di base, malamente acquisite, e si disaffezionano a una scuola, che mai li ha veramente amati, e a ogni suo derivato e surrogato. Non gli fanno cambiare idea neanche i centri territoriali per l’educazione degli adulti, che dopo una breve stagione di apertura al territorio e ai suoi bisogni, falcidiati anch’essi dai tagli, sono tornati a gestire esami per titoli di studio e altri momenti burocratici. La formazione professionale, non avendo un vero ruolo da svolgere da noi per via di un mercato del lavoro che non ha richieste da fare, è autoreferenziale, chiusa. Difficilmente ci sono qualifiche che servono; i vari percorsi per l’inserimento nel mondo del lavoro, si sa, non portano da nessuna parte; i corsisti spesso partecipano per il contributo economico che ricevono.

I fondi europei, generosamente elargiti negli anni per istruzione e formazione, hanno spesso attirato l’attenzione e svegliato gli appetiti di gente e agenzie senza scrupoli, di esperti venali, di fornitori pronti a piazzare a caro prezzo prodotti obsoleti. Ci sono infine istruzione e formazione degli adulti di cui si fanno carico le associazioni, le università popolari e i circoli culturali nell’ambito del Terzo Settore. Queste associazioni sono una realtà attiva, anche se poco diffuse nei nostri territori. Hanno il vantaggio di unire il momento dell’apprendimento alla vita di relazione e ai problemi quotidiani, il cittadino e il territorio, la teoria e la pratica. Purtroppo vivono la crisi dello stato sociale, di cui rappresentano l’anello debole, secondo una troppo miope visione culturale.

Questa è la realtà. Nonostante schiere di docenti e formatori impegnati e preparati, nonostante diversi amministratori pubblici, associazioni e movimenti che si battono per il diritto allo studio. Sembra un circolo vizioso: per uscire dall’emergenza ci vuole istruzione, ma anch’essa è in piena emergenza. E invece non bisogna disperare, perché per uscir fuori dal guado abbiamo il meglio: i cittadini che vogliono riscattarsi, la conoscenza dei problemi, l’esperienza maturata. Occorre coordinarsi, come non abbiamo mai fatto prima, puntando su due luoghi: la città che dobbiamo trasformare nella “città che apprende”, la regione che deve essere la sede di un sistema integrato per l’apprendimento permanente.

Nella città si censiscono tutte le iniziative di formazione, si mettono in rete scuole, associazioni, università, teatri, biblioteche; con loro interloquiscono imprese, uffici pubblici, sindacati. Nella regione s’incontrano sul terreno dell’apprendimento permanente Stato e Regione; istruzione e formazione professionale; associazioni, sindacati e imprese; enti locali e sanità; s’incontrano finanziamenti pubblici e privati. È sul territorio che i cittadini di tutte le età possono tutelare e coltivare il bene comune più grande di tutti, la conoscenza.