Cinquanta anni fa nasceva
la scuola media: cosa resta?

di Guido Leone Strill.it, 30.12.2012

 In questo fine 2012 ricorrono cinquanta anni dall’introduzione in Italia della scuola media unica, approvata con legge n. 1859 del 31 dicembre 1962. Un traguardo importante certo, ma il clima che si respira nelle scuole (e non solo!) non è dei migliori. La grave crisi economico-finanziaria sta avendo gravi ripercussioni specie sulla scuola. Cinquant’anni, però, sono un arco di tempo significativo per provare a fare un bilancio dell’esperienza della scuola media italiana le cui “vicende” storiche, istituzionali, culturali, pedagogiche e didattiche hanno finito per consolidare la sua immagine di “terra di mezzo” e mai parte integrata di un percorso unitario, armonico, continuativo dalla scuola primaria alla scuola secondaria di secondo grado.

E quella della scuola non è solo una crisi di natura economico-finanziaria. Ci sono due questioni aperte e mai chiuse in questi anni. L’identità della scuola media e il suo raccordo con la scuola primaria (già scuola elementare) che la precede e la scuola secondaria di II grado (per anni denominata scuola “superiore”) quale esperienza non obbligatoria (almeno fino alla pubblicazione del DM 139/2007 (Il nuovo obbligo di istruzione che la seguiva).

La scuola media, terra di mezzo, è da molti anni, dunque, alla ricerca di una sua identità, attratta dalla scuola superiore (il piano alto della “secondaria”), ma poi richiamata alla comune appartenenza alla scuola di base (il c.d. “primo ciclo” dell’istruzione). L’alternarsi di diverse denominazioni (scuola – di volta in volta – media, secondaria I grado, del primo ciclo, di base) rappresenta bene la non risolta ambiguità della sua secondarietà – di accesso ai saperi formali e al pensare per modelli – o di completamento della formazione primaria, quindi di consolidamento dell’alfabetizzazione strumentale. Una scuola ,insomma,che sembra non essere stata né carne né pesce.

La seconda questione è legata alla specifica età degli allievi che la frequentano (dagli 11 ai 14 anni). La scuola media coglie i ragazzi in un momento particolarmente delicato del loro sviluppo, quello della pre-adolescenza, in cui a cruciali trasformazioni fisiche, emotive e cognitive si accompagna l’affermazione della propria personalità spesso in contrasto con le figure adulte. Le sfide educative che pongono i pre-adolescenti sono ancora più difficili di quelli dell’età precedente e successiva.

Il quadro sulla scuola media che emerge dall’ultimo rapporto sulla scuola in Italia della Fondazione Agnelli è veramente preoccupante: dall’età avanzata del corpo docente ai modelli didattici antiquati e basati su una troppo rigida specializzazione per discipline; dalla prevalenza di lezioni frontali all’indebolimento della relazione affettiva per il moltiplicarsi delle figure di riferimento; dal rapporto scuola-famiglia, caratterizzato da tensioni crescenti a causa di un atteggiamento iperprotettivo verso i figli da parte di genitori sempre meno disposti a riconoscere l’autonomia dei docenti, a problemi di accoglienza e di integrazione dei ragazzi stranieri, all'età media dei docenti che va dai 58 ai 60 anni, mentre alle superiori è tra i 50 e i 60; alla discontinuità didattica, dovuta anche ad una quota superiore, rispetto al resto della scuola italiana, di docenti precari: parliamo di un 20% di contratti a td contro il 17% delle superiori e il 13 delle elementari.

E poi i risultati complessivi degli allievi insoddisfacenti negli apprendimenti come testimoniano i confronti internazionali relativi alle conoscenze matematiche e scientifiche, spesso confermate dalle valutazioni a livello nazionale (Prove Invalsi),e che non sono in grado di reggere la sfida delle “competenze”, cui i 15enni, successivamente,sono chiamati dai severi test dell’Ocse-Pisa.

Insomma, la scuola media unica, nata cinquant’anni fa sotto il mito dell’equità,di un’uguaglianza,si è andata declinando come un livellamento verso il basso a scapito della qualità.

Ora le scuole medie del nostro Paese, per ragioni non propriamente pedagogiche, vengono ad essere assorbite nello loro interezza nel modello organizzativo noto come “istituto comprensivo”.

L’aver imposto la generalizzazione degli istituti comprensivi e l’avere poi elevato la soglia minima di alunni affinché una scuola possa disporre di autonomia funzionale e personalità giuridica cambia, nel bene e nel male, la geografia della scuola.

Ma mutano anche le condizioni per far pesare di più la variabile organizzativa per la messa a punto di approcci metodologici e didattici maggiormente aperti e dialoganti tra i diversi ambienti e livelli di istruzione, tra la scuola primaria da un lato e la scuola secondaria dall’altro.

Questo modo di procedere lascia perplessi: si generalizza un modello organizzativo, lo si impone come matrice dell’organizzazione della rete scolastica e come chiave di volta per mantenere in vita istituzioni scolastiche sul territorio, senza che vi sia stato alcun confronto o riflessione o analisi sui risultati finora conseguiti, là dove gli istituti comprensivi sono stati impiantati. Eppure, a quasi dieci anni di distanza ,l’esperienza dei comprensivi avrebbe dovuto essere sufficiente per una valutazione approfondita, quanto meno per procedere con cognizione di causa e con motivazioni diverse rispetto a “ragioni meramente di cassa”.

Ma basta accampare ragioni di stabilità finanziaria, oggi come ieri, per stravolgere ogni cosa? per fare nella scuola ciò che si vuole?

L’anniversario ci lascia delle domande irrisolte: oggi, in questo nuovo contesto istituzionale ha ancora un senso e una missione la scuola media? Ha, cioè, significato mantenere una scuola media nell’attuale impianto del sistema scolastico italiano, articolato nei due cicli di istruzione e, in caso affermativo, secondo quale identità e con quale struttura curricolare? La generalizzazione del sistema in istituti comprensivi quali effetti avrà sul miglioramento della didattica e degli esiti scolastici? Dato che ancora non si conosce bene il valore, o il disvalore, della loro introduzione, né quali siano i loro punti di forza e di debolezza. Se ad essi (dato che sono ormai diffusi da quasi un decennio), e in che misura, debba essere ricondotta la situazione di debolezza dell’attuale scuola media? Bisognerebbe anche chiedersi in che misura l’attuale impianto ordinamentale (quadri orari, monte ore settimanale e annuale, insegnamenti, flessibilità curricolare, etc.) incida sul successo scolastico? E, ancora, l’attuale modello di governance corrisponde alle peculiarità e ai bisogni di tutte le componenti che operano in organizzazioni così complesse?

Ci saremmo attesi che questo governo tecnico avesse dato qualche risposta a questi ed altri quesiti. Ma tant’è la scuola come al solito può attendere.