Le classi di concorso e l’albero di Bertoldo
dal
blog di Max Bruschi, 10.12.2012
E’ stata data ampia diffusione alla bozza di decreto sulle classi di
concorso inoltrato al CNPI per il parere, pubblicata on line, tra
gli altri,
da Liborio Butera con tutti gli allegati. Si tratta di un
provvedimento snello, che necessita, però, di una lettura
complessiva, a partire dalla relazione illustrativa. Dario Cillo e
il sito Edscuola, che ringrazio, hanno pubblicato
un commento sulla filosofia generale del provvedimento, che
riporto anche in calce. Oggi Orizzontescuola ne pubblica
una sintesi, che evidenzia i punti più tecnici. Ampio anche
l’articolo di Antimo di Geronimo su ItaliaOggi, incentato
sull’unificazione degli organici di istituto.
La revisione delle classi di concorso, di Max Bruschi, Edscuola, 10
dicembre 2012
“Bertoldo. Eccomi dunque pronto, o Re,
a essequire quanto hai ordinato. Ma, prima ch’io muoia, io bramo
una grazia da te e sarà l’ultima che mi farai più.
Re. Eccomi pronto per fare quello che
domandi, ma di’ presto, ché m’hai fastidito con quel tuo longo
cianciume.
Bertoldo. Comanda, ti prego, a questi
tuoi ministri, che non mi appicchino sin tanto che io non trovo
una pianta o arbore che mi piaccia, che poi morirò contento.
Re. Questa grazia ti sia concessa. Su,
conducetelo via, né lo sospenderete se non a una pianta che gli
piaccia, sotto pena della mia disgrazia. Vuoi altro da me?
Bertoldo. Altro non ti chieggio, e ti
rendo grazie infinite.
Re. Orsù, a Dio Bertoldo, abbi pazienza
per questa volta.
Non comprese il Re la metafora di
Bertoldo, onde costoro lo menarono in un bosco pieno di varie
piante, e, quivi non ve n’essendo nissuna che gli piacesse, lo
condussero per tutti i boschi d’Italia, né mai poterono trovare
pianta, arbore né tronco che gli piacesse; onde, fastiditi dal
lungo viaggio e ancora avendo conosciuto la sua grande astuzia,
lo slegarono e lo posero in libertà, e ritornati al Re gli
narrarono il tutto. Il quale, oltra modo si stupì del gran
giudicio e sottile ingegno di costui, tenendolo per uno de’ più
accorti cervelli che fossero al mondo”.
Ecco, il grande Giulio Cesare Croce perdonerà, ma la pluriennale
vicenda della
revisione delle classi di concorso assomiglia,
irresistibilmente, al passo citato. In alcune versioni apocrife, si
narra addirittura che Bertoldo, condannato comunque a scegliere,
tirasse fuori dalla palandrana un alberello di quercia in vaso,
soggiungendo: “Sire, per averlo trovato, io lo ho trovato … ma che
fretta c’è? Lasciate che cresca, no?”.
Solo che a crescere, in questo caso, non è stato un alberello. Il
lungo e tormentato travaglio dello schema di regolamento, approvato
in prima lettura dal consiglio dei ministri nel 2009 e variamente
modificato, tanto da renderlo irriconoscibile, con l’accompagnamento
di confluenze provvisorie a volte alquanto spericolate, risultava,
citando Federico De Roberto, sin troppo simile negli esiti al parto
di Chiara Uzeda, il “prodotto più fresco della razza dei Viceré”,
conservato, con grande cura, in una boccia sotto spirito.
Occorreva ripartire da capo e da nuovi presupposti. E si è provato a
farlo. La scelta è stata di dividere nettamente il vecchio dal
nuovo, con riguardo da un lato a una impostazione di carattere
culturale, in grado di disegnare le nuove classi di concorso a
partire dall’assetto dei cicli scolastici; dall’altro alla
necessaria tutela degli attuali docenti di ruolo e dei meccanismi di
scorrimento delle attuali graduatorie; dall’altro ancora,
all’esigenza di rendere il meccanismo di passaggio e di transizione
il più semplice possibile.
Partire dall’assetto futuro ha consentito di proporre una
rivoluzione copernicana, in grado di ribaltare i presupposti tanto
del precedente schema di regolamento, quanto del decreto
ministeriale 39/1998 e di rendere possibile un disegno totalmente
nuovo, senza che le linee ne fossero ineludibilmente tracciate sulla
falsariga del pregresso.
E fermiamoci dunque, innanzitutto, sulla revisione. Le classi di
concorso sono state drasticamente ridotte nel numero e
corrispondono, ciascuna, a vaste aree disciplinari, funzionali a una
ottimale gestione degli organici, dei percorsi di abilitazione, dei
concorsi. L’attuale frammentazione non risulta, infatti, più
giustificabile a seguito della revisione degli ordinamenti, così
come altrettanto obsoleta è, nelle abilitazioni future, la
separazione tra “classi liceali” e “classi dell’istruzione tecnica e
professionale”.
Abbattuta è stata anche la separazione degli organici degli istituti
secondari superiori: istituto unico deve significare organico unico,
consentendo una più ampia flessibilità, l’acquisizione di esperienza
e competenza, magari contemporanee, sull’intero arco della
secondaria di secondo grado, la fine delle incredibili transumanze
di insegnati catapultati altrove pur in presenza di spezzoni o
cattedre che avrebbero potuto occupare, con indubbi benefici di
continuità.
Ulteriore innovazione è costituita (come ha colto bene la CGIL,
pure, non si sa perché, contestando la scelta) dall’identificazione
tra titolo di accesso alla classe di concorso e abilitazione,
mandando in sostanza ad esaurimento le attuali terze fasce di
istituto e in soffitta il concetto di “titolo di insegnamento”,
foriero di sanatorie e guai. Chi entra in classe, insomma, paritarie
comprese, deve comunque e a prescindere possedere lo standard
fissato dalla norma: competenze disciplinari, certo, ma anche
professionali (trasversali o specifiche), acquisite e verificate da
un percorso selettivo in ingresso, in itinere, in uscita.
Ciascuna classe di concorso dell’allegato A ha alle spalle,
idealmente, percorsi di laurea magistrale o di diploma accademico di
secondo livello, o, in alcuni casi, percorsi misti (completati,
beninteso, dal tirocinio formativo attivo) specifici, nella
progettazione dei quali ogni istituzione sia chiamata a dare il
meglio delle proprie risorse. Tuttavia, la scelta che spetta al
livello politico (percorsi ad hoc completati dal TFA, revisione dei
titoli di accesso al TFA, doppio canale) è lasciata aperta e
demandata a specifico decreto: anche se nel frattempo è preservato,
intatto, il valore dei titoli già acquisiti o che nel frattempo lo
saranno.
Così come, per la prima volta, è stabilito un percorso ordinamentale
per la “tabella C”. Occorre parlar chiaro: se gli insegnanti tecnico
pratici sono previsti dagli ordinamenti (e lo sono, e la scelta
avrebbe potuto essere diversa), è doveroso offrire loro una strada
per il conseguimento dell’abilitazione ordinamentale, punto e stop,
senza trascinare una situazione che, per lustri, ha visto
incredibilmente la categoria in balia di sanatorie e riservati.
E aggiungo, per il futuro si spera prossimo: sarebbe errato
perseguire una impossibile standardizzazione dei livello dei titoli
di accesso (laurea, laurea magistrale, percorso di ITS, etc.) ai
percorsi di abilitazione al posto di una sacrosanta valutazione caso
per caso del bagaglio di conoscenze e competenze disciplinari e
della definizione degli standard in uscita. Spesso domando agli
allievi degli alberghieri se preferirebbero avere come insegnante
Gordon Ramsey, Buddy Valastro, Alessandro Borghese o qualche signor
nessuno purché laureato… come ho sentito con le mie orecchie
proporre da un sé dicente esperto. Inutile dire quali sono le
risposte.
Ulteriore e rilevante novità, la trasformazione, nella secondaria,
del sostegno in classe di concorso. Disposizione che intende
perseguire una qualificazione del servizio offerto ai disabili e
alle classi e porre un freno a un mercato simoniaco che ha fatto di
una funzione delicatissima, in troppi casi, una sorta di pagamento
di indulgenze per un più rapido accesso alla cattedra.
Quanto alla gestione dell’hic et nunc, le situazioni da regolare
sono sostanzialmente due. La prima, riguarda per così dire lo
“straordinario”: in sostanza, i soprannumeri e gli esuberi. Ora,
l’articolo 14, commi da 17 a 21, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.
95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.
135, ha inglobato ed elevato al rango di norma primaria le
disposizioni che, in precedenza, erano state previste all’articolo 4
del vecchio schema di regolamento in materia di utilizzazioni del
personale docente in esubero, togliendo in sostanza di mezzo l’unica
ragione che, agli occhi del ministero dell’economia e delle finanze,
poteva giustificarne l’adozione.
C’è, in aggiunta, nel decreto una norma specifica che riguarda le
situazioni “di fatto” venutesi a creare a seguito delle
sperimentazioni e tutela, senza se e senza ma, le posizioni degli
attuali titolari. E’ previsto, infatti, che “i docenti con incarico
a tempo indeterminato attualmente titolari di insegnamenti
attribuiti, ai sensi del presente decreto, a una diversa classe di
concorso, mantengono le attuali sedi e cattedre o posti di
titolarità. Qualora risultino perdenti posto, hanno diritto alla
mobilità per gli stessi insegnamenti nella stessa tipologia di
percorso”.
La seconda situazione riguarda la gestione delle attuali
graduatorie. Si è scelto di canalizzare le classi di concorso
attualmente vigenti nelle nuove attraverso l’uso di sottocodici, in
modo da fissare la loro confluenza negli insegnamenti dei nuovi
ordinamenti del secondo ciclo di istruzione.
Gli allegati B e D sono stati predisposti tenendo come punto di
partenza il DM 39/1998, il DM 22/2005 e una puntuale verifica dei
titoli di accesso, rapportandoli ai nuovi ordinamenti. Occorreva,
soprattutto, allineare le competenze e le conoscenze specifiche
previste dalle previgenti classi di concorso ai traguardi (obiettivi
di apprendimento, pecup) posti ai nuovi insegnamenti. In tal modo,
pur ampliando le possibilità di mobilità all’interno del sistema e
pur rendendo più flessibile la gestione del personale docente, è
assicurato un immutato livello qualitativo. Nei casi in cui nessuna
abilitazione/idoneità prevista dal previgente ordinamento sia stata
ritenuta in grado di garantire l’intero novero degli insegnamenti
attribuiti alla nuova classe di concorso, gli insegnamenti sono
stati ripartiti tra più sottocodici.
Il tutto, ovviamente, dovrà essere attivato all’atto di
aggiornamento delle graduatorie, con norme amministrative delicate,
in particolare sul calcolo dei punteggi, ove sarà necessario partire
per tempo e con grande equanimità. Si può discutere a lungo sulla
trasformazione delle attuali GAE, e sussistono pro e contro. C’è
però un punto (di diritto) sfuggito ai più. Le graduatorie ad
esaurimento hanno maturato, nel tempo, alcune caratteristiche che in
parte, grazie alle sentenze della magistratura e alle spesso
inefficaci pezze a colore politico-amministrative, hanno superato o
mutato la volontà del legislatore, a dire la verità non
compiutamente espressa all’epoca della “chiusura”. Risultano, di
fatto, “chiuse” a nuovi ingressi. Ma non risultano in alcun modo
“ibernate”. E’ possibile cioè aggiornare periodicamente i punteggi,
mutare addirittura la provincia… e siccome nessuna norma le vincola
a particolari codici, risulta fattibile riaggregarle sulla base dei
nuovi sottocodici.
Quanto alla transizione, la questione riguarda il valore dei titoli
attualmente posseduti e il loro impiego nel nuovo ordinamento. La
soluzione più praticabile e più equa è sembrata essere, anche, la
più semplice. In sostanza, il possesso di una abilitazione nelle
classi vecchie confluite nelle nuove consente di accedere alle prove
concorsuali per il “pacco completo”, così come il possesso di un
titolo di studio dà diritto a partecipare alle prove di accesso ai
percorsi di tirocinio formativo attivo sulle nuove classi di
concorso. E’ stata messa in primo piano, insomma, la libertà del
singolo di curare, come meglio crede, la propria preparazione,
anziché allestire macchinose procedure di allineamento “quo ante”
con la conseguente acquisizione coatta (e, presumibilmente,
selvaggia) di crediti formativi universitari o accademici, o a
procedure di riqualificazione sempre possibili in itinere, ma che
l’esperienza ha mostrato essere inversamente proporzionali tra
impegno e risultato in termini di acquisizione delle competenze
didattiche e disciplinari. Anteporre, nel Paese dei certificati, la
competenza reale a quella cartacea, non è di poco conto.
Concludendo: ogni intervento sulle classi di concorso, storicamente,
provoca il silenzio dei soddisfatti e la reazione di chi, a torto o
a ragione, si sente in qualche modo defraudato o danneggiato dal
nuovo assetto. A volte, si tratta di rimostranze ben motivate (e che
comunque hanno visto, contrapposte, altrettante ragioni); altre
volte, della difesa di situazioni di fatto acquisite nella maniera
più varia (sino ad alcune paradossali situazioni, assolutamente
misteriose nel perché, nel percome, nel chi: come può un docente di
pittura o scultura insegnare, senza altro titolo, discipline
audiovisive e multimediali?). Altre volte ancora ci si intestardisce
su casi particolari, anziché sulla filosofia generale. Eppure,
sarebbe importante che il dibattito, breve ma intenso, affronti i
diversi livelli del provvedimento che ho cercato di indicare,
correggendo ciò che c’è da correggere e spiegando pubblicamente
perché occorra farlo.