Competenze. Tuttoscuola, 10.4.2012 Sulla definizione e prima ancora sullo stesso significato del termine ‘competenze’, riferito ai processi formativi che si realizzano in ambito scolastico, si è a lungo discusso in Italia a partire dalla seconda metà degli anni novanta dello scorso secolo, quando la parola comparve in alcuni importanti testi normativi (legge n. 425/1997, riforma dell’esame di maturità; DPR 275/1999, regolamento dell’autonomia), accanto ai termini ‘conoscenze’ e ‘capacità’. L’art. 6 della legge n. 425 (‘Certificazioni’) prevedeva la certificazione di questi tre elementi, ma l’apposito gruppo di lavoro interdirezionale costituito al Miur non trovò alcun accordo su che cosa esattamente si dovesse certificare per quanto riguarda competenze e capacità. Prevalse alla fine la tesi di coloro che sostenevano che i voti fossero indicatori sintetici idonei a certificare nello stesso tempo non solo le conoscenze ma anche le competenze (intese come capacità di utilizzare le conoscenze) e le capacità (grado di padronanza delle discipline). Venne prodotto perciò un certificato integrativo del diploma nel quale ci si limitava a descrivere l’andamento delle prove d’esame con i relativi punteggi e a indicare le materie comprese nei curricoli e la loro distribuzione e durata nei cinque anni. Ma siccome la norma parlava di ‘certificazioni’, al plurale, e come concessione a chi sosteneva che non ci si potesse limitare ai voti e all’indicazione del curricolo standard, venne inserito uno spazio di poche righe desinate ad ospitare “le ulteriori specificazioni valutative della Commissione, con riguardo anche a prove sostenute con esito particolarmente positivo”. Ma ci si guardò bene dall’indicare il riferimento di tali specificazioni alla tematica delle competenze. Un’ambiguità voluta soprattutto da chi riteneva che non si potesse andare al di là delle colonne d’Ercole della valutazione delle conoscenze.
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