L’inglese è il nuovo latino?/1.
Perché sì

da TuttoscuolaNews, n. 532 16.4.2012

La decisa presa di posizione del ministro dell’istruzione Profumo in favore dell’adozione dell’inglese come lingua che dovrebbe essere “normale” utilizzare “in alcuni atenei di prestigio e in alcuni settori” in radicale alternativa all’italiano fa tornare d’attualità la polemica, mai del tutto sopita, tra i sostenitori dell’inglese come lingua ‘veicolare’, di comunicazione universale, e coloro che difendono l’insostituibilità della lingua nazionale materna (vale per l’italiano ma anche per le altre lingue) ai fini di una completa e consapevole utilizzazione delle risorse intellettuali individuali.

In un’intervista rilasciata a La Stampa la scorsa settimana il ministro ha pienamente avallato la decisione del Politecnico di Milano di proporre agli studenti che frequenteranno il biennio specialistico a partire dal 2014 corsi interamente ed esclusivamente in inglese.

La ragione di questa scelta è stata motivata dal rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone (ingegnere e docente di Sistemi di controllo di gestione, quasi un alter ego dell’ingegnere Francesco Profumo, rettore del Politecnico di Torino), con la necessità di attrarre studenti stranieri rendendo nello stesso tempo più internazionali l’ambiente e l’orizzonte di apprendimento degli studenti italiani.

Secondo Azzone, che in questo riflette l’opinione di buona parte del mondo accademico, non si può chiedere all’università di insegnare una professione e nello stesso tempo anche di migliorare le competenze linguistiche degli studenti, che l’italiano devono impararlo al liceo: “Se l'università dovesse fare anche da liceo”, sostiene, “farebbe male entrambe le cose”.

Mette in guardia il linguista Tullio De Mauro “scelta inaccettabile per l’Università pubblica” con “effetti negativi sull’intelligenza”. Sulla stessa linea il direttore dell’istituto italiano di tecnologia Roberto Cingolani: “Nessuna gara tra lingue. Non si può contrapporre la nostra lingua madre, una delle più belle al mondo, all’inglese …” (intervistati da Alessandra Mangiarotti sul Corriere della Sera del 13 aprile 2012).

Ma sulla necessità di intensificare lo studio dell’inglese a scuola si dice d’accordo il minsitro Profumo Profumo: “Chi si iscrive ad alcune facoltà deve già possedere solide proprietà linguistiche. Non può essere l'università a farsene carico, se non in fase transitoria. Bisogna cominciare prima”.

Già, ma come, quando, con quali risorse? Basterà aumentare il numero delle lezioni a scuola o sarà meglio puntare sull’aumento degli scambi, delle visite e degli stage all’estero, delle occasioni di full immersion fuori dell’orario scolastico?