Tanti compiti, la "cura" migliore Olga Sanese il Sussidiario 20.4.2012 In concomitanza con le vacanze pasquali un gruppo di genitori francesi ha fatto muro contro gli insegnanti (tanto per cambiare) per evitare che l’assegno dei compiti ai figli potesse impedire loro di programmare un’uscita, un viaggio o altro. Immediatamente si sono scatenate repliche, commenti e polemiche su tutti i giornali, i programmi tv e radio nazionali e oltralpe. In questo caso per “oltralpe” s’intende proprio noi italiani che, in fatto di giudizi, siamo maestri. Da queste parti la notizia ha provocato perlopiù approvazione: su un giornale i compiti a casa venivano descritti come una punizione divina per quei poveri studenti dei professionali che escono di scuola alle 14, non arrivano a casa prima delle 15 e devono ancora pranzare: per questa “specie protetta” è vietato assegnare compiti a casa. Comprensibile, ma solo se dimostrano attenzione e interesse in classe, portando a scuola almeno un quaderno e una penna (dato che raramente possiedono i libri…quegli oggetti strani che si usano a casa per ricostruire ciò che il Professore ha spiegato in classe). Altro articolo comparso sui giornali nostrani riportava la voce di un Direttore di quotidiano che giustamente si indignava contro quei genitori che non vogliono tanti compiti per i figli perché, di solito, al posto dei ragazzi, li fanno loro (cosa ancora più grave di mandare i figli a scuola impreparati ma almeno consapevoli del loro “non sapere” che, secondo Socrate, è la radice della conoscenza e, quindi, della saggezza). Ma veniamo al punto: qual è lo scopo dei compiti a casa? Perché vengono assegnati? Perché è bene farli? Gli antichi (cioè quelli di una sola generazione prima del ’68) lo sapevano benissimo mentre noi forse ce lo siamo dimenticati: lo studio pomeridiano è una sorta di “ventosa” che avvicina (e a volte unisce indelebilmente) la spiegazione mattutina del prof. alla nostra cultura generale. Ed è proprio lo studio individuale, quello tra noi, il libro e nessun altro, che ci fa sorgere i dubbi e ci fa scavare ancora di più nel nostro sapere per vedere se abbiamo effettivamente capito; infatti soltanto dissipando quei dubbi o quegli “idola” (per usare un termine del filosofo Bacone) che facciamo un salto nel percorso di conoscenza e ciò che ci è giunto tramite orecchi e occhi bene aperti in classe, ci penetra dentro, solca la nostra anima e diventa una volta per tutte davvero “nostro”. Eliminare questo studio personale sarebbe tornare alla pedagogia medievale che vedeva gli alunni come “vasi” che i maestri dovevano riempire senza aver nessuna autonomia di riflessione, di personalizzazione e di giudizio. In passato questa fase dell’educazione si chiamava “assimilazione” perché si credeva seriamente a uno studio come “cibo” dell’anima. |