Scuola
Tullio De Mauro ad Affari: di Giuseppe Grasso da Affaritaliani.it 18.4.2012 Tullio De Mauro, 80 anni compiuti il 31 marzo scorso, non ha bisogno di presentazione. Linguista di fama internazionale e già ministro dell’Istruzione del Governo Amato II per tredici mesi, è da sempre sensibile ai temi che riguardano la Scuola e l’Università. Con lui parliamo di alcuni di questi argomenti cercando delle indicazioni che siano da orientamento nella generale confusione mediatica che parifica "Grande Fratello" e "Report", televisione commerciale e televisione d’inchiesta. Come sempre le sue considerazioni, di una lucida nitidezza, sono molto sottili e penetranti, sostenute da quello "spirito critico" e da quell’acume tipici dei Grandi Maestri.
Professore, recentemente lei ha rimarcato che, mentre in Francia Hollande e Sarkozy fanno a gara per investire sull’istruzione, da noi il governo Monti non capitalizza affatto sulla scuola. Quali, secondo lei, le ragioni? E qual è il suo giudizio sull’attuale governo di tecnici?
Il governo Monti non
viene da Marte o da terre aliene. È composto da persone, spesso
professionalmente esimie, espresse da un ceto dirigente come
l’italiano che, salvo rare eccezioni enumerabili quasi per nome, non
ha avuto e non ha una positiva attenzione per lo sviluppo della
cultura della nostra società e per le istituzioni (scuole,
università, enti di ricerca, biblioteche, teatri, televisione
pubblica) che dovrebbero e potrebbero promuovere quello sviluppo.
Come tanti altri del ceto dirigente che (attenzione) noi tutti in
qualche misura concorriamo a esprimere e, se non altro, sopportiamo,
è assai lontano dall’avvertire la centralità sociale e anche
economica e produttiva dello sviluppo culturale diffuso. Una volta
ho sentito da Monti un cenno, corretto ma vago, della rilevanza
negativa che hanno i nostri deficit di cultura nello sviluppo anche
economico e produttivo. Un accenno è meglio che niente, ma è assai
poco rispetto al cambio di passo e di organizzazione del bilancio
dello stato che sarebbe necessario e che, se passo si volesse
cambiare, coinvolgerebbe in Italia come in altri paesi del mondo la
diretta responsabilità politica del capo del governo: come accade
con Merkel e Obama, Sarkozy e Cameron e Chavez ecc.
Credo di avere già
risposto, sì, è un proclama.
Molti provvedimenti
della ministra Gelmini hanno inciso malamente sulle condizioni di
vita delle scuole e delle università, anche il benvenuto
prosciugamento e riordino delle decine e decine di disparati canali
della secondaria di secondo grado (cominciammo a chiederlo almeno
dal 1969) non è stato accompagnato da un ripensamento effettivo e
dalla riorganizzazione (anche edilizia) degli istituti scolastici.
I motivi sono antichi e
nascono dal secolare sospetto verso la crescita culturale. La
tendenza può invertirsi se si diffonde nella popolazione l’abitudine
di leggere. Questa si diffonde se si percepisce quanta ricchezza di
esperienza si cela in ogni buon libro. La scuola fa quello che può.
Ma la società circostante e gli stili di vita dominanti non aiutano.
Dagli anni sessanta del
Novecento le persone di buona cultura intellettuale dispongono di
riferimenti assai più vari che nel passato, in Italia come in
parecchi paesi. Come ieri, il maestro migliore è lo spirito critico
che non si chiude al nuovo e non si scorda dell’antico.
No, non aggiungerei
altro, purtroppo. Una persona altamente degna, come Ermanno Gorrieri,
purtroppo scomparsa qualche anno fa, all’epoca mi rimproverò di
tacere che c’erano in Italia retribuzioni anche più inique. Ne ero e
sono convinto. Resta il problema: se vogliamo che la scuola si
sviluppi, occorre attrarre ad essa il meglio delle energie
intellettuali e morali e, in una società a forti disparità
retributive, quelle energie in gran parte rischiano di prendere
strade diverse da quelle dell’insegnamento.
Sì, certamente. La
reattività dell’università è stata e resta assai minore. E i
rettori, salvo un paio, si sono fatti tappetino delle malversazioni
ministeriali.
Non è solo il professor
Profumo a non applicare alla scuola la teoria dei sistemi, che egli
ben conosce. Datemi il resto della scuola francese, anzi datemi la
Francia, la sua cura straordinaria per l’istruzione sentita e
onorata nei fatti come impegno della nazione, da cui discendono le
forti strutture e gli abiti e tradizioni di apprendimento (e le
biblioteche e gli alti indici di lettura), datemi questo e poi sarà
sensato discutere se adottare o no un pezzetto del funzionamento
complessivo.
La lingua se la cava. I
parlanti, senza un retroterra di istruzione e lettura, assai meno. Purtroppo non conosco abbastanza la ministra Fornero per risolvere il dilemma cornuto. Tuttavia mi pare che il secondo corno includa, se così può dirsi di corni, il primo. |