Da trent’anni insegno alla
scuola media e da venti sono,
per scelta, insegnante di
sostegno.
Mi piace stare coi ragazzi,
cercare di capire le loro
dinamiche in continua evoluzione
in una società sicuramente
complicata che non sempre è
disponibile ad ascoltare, a
capire.
Ho lavorato con diverse
tipologie di handicap, anche le
più delicate e complesse,
documentandomi e partecipando ad
aggiornamenti per cercare di
essere il più possibile
all’altezza del compito che di
volta in volta mi si presenta.
In questo spesso sono state le
famiglie stesse ad essermi
d’aiuto nel percorso di
autoformazione (v. Dsa,
autismo).
C’è però un aspetto, in tutto
questo contesto, che mi lascia
piuttosto perplessa e che vorrei
porre all’attenzione di chi
legge.
Talvolta capita che nella scuola
siano inseriti (per giusto
diritto dettato dalla legge che
prevede che ogni persona -
qualsiasi sia l’handicap che la
caratterizza e la sua gravità -
possa frequentare almeno fino ai
sedici anni di età una scuola)
ragazzi il cui handicap comporta
anche aggressività e atti
violenti.
Ci sono ragazzi che picchiano,
che colpiscono violentemente gli
altri anche con oggetti pesanti
e pericolosi che incontrano sul
loro percorso (non tutto può
essere eliminato: banchi, sedie,
estintori, portaombrelli, ecc.),
ragazzi che graffiano, mordono,
sputano.
Si creano situazioni improvvise
e imprevedibili in cui compagni,
anche di classi diverse,
insegnanti, collaboratori
scolastici vengono colpiti anche
pesantemente (c’è chi è finito
al Pronto Soccorso).
Succede poi che qualcuno si
stupisca di come l’insegnante di
sostegno non sappia prevedere,
prevenire e bloccare sul nascere
queste azioni.
Si ritiene che questi
costituisca una sorta di
“bacchetta magica” per
situazioni scolastiche difficili
e che quando fallisce sia dovuto
probabilmente a sua
incompetenza.
Vengo da sei anni di autismo, di
cui i primi tre impegnativi e
gli ultimi tre per certi versi
devastanti.
Sto seguendo da tempo una cura
per attacchi di panico e porto
segni fisici visibili da più di
un anno.
E' questo il ruolo
dell’insegnante di sostegno?
Quello di venire a scuola per
essere picchiato?
O quello di stare chiuso in
un’aula da solo con un ragazzo
violento che in classe non vuole
stare oppure non si riesce più a
gestire e che nei corridoi è
bene non stia perché fonte di
disturbo?
Ragazzi di questo tipo
sicuramente manifestano
attraverso atti violenti un loro
disagio profondo che andrebbe
curato con terapie mediche
adeguate, probabilmente anche
con farmaci.
Allora forse potrebbero
gradualmente ritrovare un po’ di
tranquillità e forse essere
reinseriti gradualmente in
classe e forse gradualmente
riprendere un percorso anche
scolastico come gli altri
insieme agli altri…forse…
Non credo sia corretto
“parcheggiarli” a scuola (spesso
con orario completo) e ciò che
succede succede.
In questi casi la scuola, da
sola, non può farcela.
Non può farcela l’insegnante di
sostegno, spesso la stessa
famiglia è lasciata da sola nel
gestire una situazione
difficile.
C’è una spiegazione a tutto
questo?
E' troppo sperare in un
tentativo di soluzione che venga
incontro in modo più adeguato al
ragazzo in questione,
innanzitutto, e a tutto il
contesto scolastico?
Voglio precisare che queste
riflessioni non nascono dai
recenti episodi accaduti in
questa scuola, ma da un’attenta
osservazione (da me svolta nel
tempo) di quanto ci circonda nei
diversi contesti scolastici.
Voglio sottolineare inoltre che
l’insegnante di sostegno
non è una badante o un
poliziotto… è una figura
importante nella scuola e non
deve essere declassata o
svalutata perché, tra le altre
cose, ha imparato e continua
a cercare le strategie per far
apprendere, a chi non riesce
come gli altri, abilità e
contenuti di un percorso di vita
quotidiana (il più possibile
autonoma) e scolastica.
Ringrazio per l’attenzione e
porgo distinti saluti
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