Alunni aggressivi a scuola

di Irma Rossi La Tecnica della Scuola, 15.4.2012

Da trent’anni insegno alla scuola media e da venti sono, per scelta, insegnante di sostegno.

Mi piace stare coi ragazzi, cercare di capire le loro dinamiche in continua evoluzione in una società sicuramente complicata che non sempre è disponibile ad ascoltare, a capire.

Ho lavorato con diverse tipologie di handicap, anche le più delicate e complesse, documentandomi e partecipando ad aggiornamenti per cercare di essere il più possibile all’altezza del compito che di volta in volta mi si presenta.

In questo spesso sono state le famiglie stesse ad essermi d’aiuto nel percorso di autoformazione (v. Dsa, autismo).

C’è però un aspetto, in tutto questo contesto, che mi lascia piuttosto perplessa e che vorrei porre all’attenzione di chi legge.

Talvolta capita che nella scuola siano inseriti (per giusto diritto dettato dalla legge che prevede che ogni persona - qualsiasi sia l’handicap che la caratterizza e la sua gravità - possa frequentare almeno fino ai sedici anni di età una scuola) ragazzi il cui handicap comporta anche aggressività e atti violenti.

Ci sono ragazzi che picchiano, che colpiscono violentemente gli altri anche con oggetti pesanti e pericolosi che incontrano sul loro percorso (non tutto può essere eliminato: banchi, sedie, estintori, portaombrelli, ecc.), ragazzi che graffiano, mordono, sputano.

Si creano situazioni improvvise e imprevedibili in cui compagni, anche di classi diverse, insegnanti, collaboratori scolastici vengono colpiti anche pesantemente (c’è chi è finito al Pronto Soccorso).

Succede poi che qualcuno si stupisca di come l’insegnante di sostegno non sappia prevedere, prevenire e bloccare sul nascere queste azioni.

Si ritiene che questi costituisca una sorta di “bacchetta magica” per situazioni scolastiche difficili e che quando fallisce sia dovuto probabilmente a sua incompetenza.

Vengo da sei anni di autismo, di cui i primi tre impegnativi e gli ultimi tre per certi versi devastanti.

Sto seguendo da tempo una cura per attacchi di panico e porto segni fisici visibili da più di un anno.

E' questo il ruolo dell’insegnante di sostegno?

Quello di venire a scuola per essere picchiato?

O quello di stare chiuso in un’aula da solo con un ragazzo violento che in classe non vuole stare oppure non si riesce più a gestire e che nei corridoi è bene non stia perché fonte di disturbo?

Ragazzi di questo tipo sicuramente manifestano attraverso atti violenti un loro disagio profondo che andrebbe curato con terapie mediche adeguate, probabilmente anche con farmaci.

Allora forse potrebbero gradualmente ritrovare un po’ di tranquillità e forse essere reinseriti gradualmente in classe e forse gradualmente riprendere un percorso anche scolastico come gli altri insieme agli altri…forse…

Non credo sia corretto “parcheggiarli” a scuola (spesso con orario completo) e ciò che succede succede.

In questi casi la scuola, da sola, non può farcela.

Non può farcela l’insegnante di sostegno, spesso la stessa famiglia è lasciata da sola nel gestire una situazione difficile.

C’è una spiegazione a tutto questo?

E' troppo sperare in un tentativo di soluzione che venga incontro in modo più adeguato al ragazzo in questione, innanzitutto, e a tutto il contesto scolastico?

Voglio precisare che queste riflessioni non nascono dai recenti episodi accaduti in questa scuola, ma da un’attenta osservazione (da me svolta nel tempo) di quanto ci circonda nei diversi contesti scolastici.

Voglio sottolineare inoltre che l’insegnante di sostegno non è una badante o un poliziotto… è una figura importante nella scuola e non deve essere declassata o svalutata perché, tra le altre cose, ha imparato e continua a cercare le strategie per far apprendere, a chi non riesce come gli altri, abilità e contenuti di un percorso di vita quotidiana (il più possibile autonoma) e scolastica.

Ringrazio per l’attenzione e porgo distinti saluti
 

Prof.ssa Rossi Irma

referente per l’handicap