Il caso del Berchet di Milano: «Non diamo meno di 4»

Se un liceo abolisce i voti bassi
Umiliazione o insegnamento?

Il preside: «Ho visto troppi ragazzi andare in crisi.
Sono diversi da come eravamo noi. Cerchiamo di capirli»

di Annachiara Sacchi Il Corriere della Sera, 7.4.2012

MILANO - Martedì 27 marzo, seduta pomeridiana, il collegio docenti è quasi concluso. Dopo le solite discussioni, il piano di offerta formativa, i programmi e i precari, il preside - siamo al liceo classico Berchet, storico istituto milanese con decine di diplomati eccellenti, da Luchino Visconti ad Andrea De Carlo fino a Giuliano Pisapia - lancia la proposta: «Vorrei escludere, in sede di scrutinio, i voti inferiori al 4. I due e i tre creano troppa frustrazione nei ragazzi. Che cosa ne pensate?». I professori ammutoliscono. Poi, superato lo choc, cominciano a discutere. Ma è troppo difficile dire sì o no subito. «Ne riparliamo dopo Pasqua».

Punire con un due chi non termina la versione di latino o dare un quattro che non lasci troppe ferite? Rimandare con un tre (quasi una condanna a ripetere l'anno) o limitarsi a un'insufficienza più digeribile? Il votaccio fa solo male o fa crescere? Dibattito che divide. E divisi sono gli insegnanti del liceo di via Commenda - il primo dei classici statali nella classifica milanese della Fondazione Agnelli - dopo la proposta di Innocente Pessina, dirigente storico che crede nell'«educare senza punire», che non si è mai vantato - anzi - dei troppi ragazzi che lasciano il ginnasio «perché non ce la fanno», che ha sempre sostenuto la necessità di valutare anche i docenti, preside compreso.

L'arringa di Pessina raccontata da chi c'era: «Ho visto troppi ragazzi andare in crisi per una raffica di due. Alcuni smettono di mangiare, altri abbandonano la scuola distrutti. Sì, sono diversi da come eravamo noi. Cerchiamo di capirli». Mai meno di 4 in pagella. Proposta choc. Messa ai voti durante il collegio dei docenti della scorsa settimana. Tra favorevoli e contrari ha prevalso la terza via: decisione rinviata alla prossima riunione. Meglio aspettare. Anche se tra gli insegnanti una discreta parte sembra contraria. «Prima di tutto - avverte una docente - la norma dice che i voti vanno dall'uno al dieci. Secondo: il giudizio in sede di scrutinio è espresso dal consiglio di classe, non dal singolo prof. Terzo, dire che in questo modo si riduce la depressione dei ragazzi è un alibi». Prosegue un collega: «La frustrazione è un'esperienza che va fatta proprio da adolescenti. In realtà il problema sono gli adulti».

I genitori, appunto. Spesso accusati di esagerare nel proteggere i loro «cuccioli», di delegare alla scuola tutto il «pacchetto educativo», di essere troppo presenti o assenti. Attacca una professoressa: «I ragazzi non vogliono soluzioni edulcorate. Il problema sono gli adulti e la loro incapacità di giustificare un giudizio severo». Sentenza a difesa del dirigente: «Noi docenti dobbiamo cambiare. E sforzarci di accompagnare i giovani nel loro difficile percorso di crescita». Rimpallo di responsabilità. E controproposta della fazione che non accetta lo «sbarramento del 4»: «Invece di fare la campagna del voto al ribasso, ripensiamo ai valori dall'uno al dieci». Tesi dei «pessiniani» che difendono la posizione del dirigente: «Inutile accanirsi. Che senso ha umiliare gli studenti con un 2-- (due meno meno)?».

Il valore di un numero. E le conseguenze sui minorenni. Alessandro Generali, ex berchettiano, fino allo scorso giugno rappresentante nel consiglio di istituto e ora consigliere del movimento «Milano Civica» (il popolo arancione vicino al sindaco Pisapia), commenta: «Dare quattro al posto di due a chi ha presentato un compito praticamente inclassificabile non risolve il problema della preparazione dello studente. Al contrario, lo illude semplicemente di essere in una condizione diversa da quella in cui realmente si trova».

Troppa indulgenza può far male, insiste l'ex allievo. Ma c'è un altro aspetto, comune a molte scuole, che Generali sottolinea: «Mi pare che il problema maggiore non siano i voti troppo bassi, ma la mancanza di omogeneità ed equità nelle valutazioni: è un classico, a parte rare e benemerite eccezioni, che i giudizi più generosi siano riservati agli studenti che rafforzano gli insegnanti nel loro ruolo, approvandone metodi e punti di vista. Trattamento opposto, invece, tocca a chi mantiene la propria libertà di giudizio e non si presta a un simile gioco». Esperienza diretta? Il ragazzo sorride: «Certamente».

Stefano Castoldi, un altro ex-consigliere d’istituto del Berchet oggi attivo nel Comune di Milano (Consigliere di Zona 4 per FLI) non si trova d’accordo con la proposta del preside, ma per ragioni diverse. «La scarsa reputazione di cui godono - dice Castoldi - gli istituti tecnici e professionali spinge oggi parecchi genitori a iscrivere i figli nei licei, anche se magari parecchi di loro si realizzerebbero meglio appunto nei tecnici-professionali, istituti che in un momento di crisi del lavoro giovanile come questo andrebbero potenziati più che mai; un’iniziativa “buonista” come quella di Pessina rischia di fomentare ulteriormente questo fenomeno che fa male ai licei in primo luogo, poiché le classi sono sovraffollate anche da elementi non effettivamente motivati, e agli studenti volenterosi in secondo luogo, che di conseguenza trovano meno spazio per realizzarsi. E’ vero, prendere 3 può demoralizzare e abbattere lo studente (ma suvvia chi non ne ha preso almeno uno!), ma un voto molto basso è quel segnale che i professori vogliono dare agli studenti per spronarli a mettersi d’impegno, accettando la sfida dello studio duro che richiede il liceo, oppure a prendere la sacrosanta decisione di cambiare studi, se quelli liceali risultano palesemente inadatti allo studente stesso».



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Annachiara Sacchi