Valutare: il gioco delle tre carte
(Invalsi, Ispettori, Indire)

di Giancarlo Cerini Educazione & Scuola 21.8.2012

Si stringono i bulloni della valutazione

Ci sono lavori in corso per dare una nuova veste al Sistema Nazionale di Valutazione, sulla base di quanto previsto nella legge 10/2011 (che aveva delineato un sistema a tre “gambe”: Invalsi, Indire, Corpo ispettivo)[1] e poi rilanciato in uno dei provvedimenti “lenzuolo” del Governo Monti sulle liberalizzazioni e le semplificazioni (la legge 35/2012[2], da ricordare anche per le timide avances sull’organico funzionale di istituto e di rete). Lo schema di regolamento è stato recentemente presentato alle organizzazioni sindacali e dovrebbe essere imminente la sua prima lettura da parte del Consiglio dei Ministri, poi serviranno anche i pareri di Camera e Senato.

L’obiettivo dell’operazione è quello di riallineare il sistema scolastico italiano a quanto normalmente avviene negli altri paesi europei, soprattutto in materia di valutazione “esterna” delle scuole. E’ infatti l’accountability il tallone d’Achille del nostro paese, come siamo stati costretti ad ammettere nell’ormai celebre scambio di intenti tra Governo italiano e autorità europee nell’estate-autunno 2011[3]. Al momento – nell’ordinamento scolastico italiano – non sono previste sistematiche visite alle scuole, da parte di soggetti esterni, in funzione di una verifica “indipendente” del funzionamento del servizio scolastico. I “revisori dei conti” non fanno testo ed i loro controlli sono di natura strettamente contabile [ma il fatto che ci sia solo questa tipologia di controlli finisce con lo schiacciare sul dato amministrativo e procedurale l’impegno di dirigenti e responsabili delle scuole].

Ben venga dunque una proposta, come quella delineata nella bozza di Regolamento, che dà avvio in forma graduale ad una verifica esterna delle scuole, su oggetti “strategici” (ci riferiamo certamente ai risultati dei ragazzi, ma anche al clima sociale interno, allo sviluppo professionale del personale, al rapporto con la comunità, ai sistemi di decisione e partecipazione, ecc.). Così, non ci saranno solo le prove Invalsi al centro dell’interesse dell’opinione pubblica e degli insegnanti, con tutti i rischi che l’enfasi sul testing comporta, come è stato segnalato in moltissime ricerche internazionali, in primis per la curvatura delle pratiche didattiche in funzione del superamento dei test (il famigerato teaching to the test), recentemente criticato anche dagli estensori delle nuove Indicazioni/2012 per il primo ciclo[4].

E’ anche decisivo che la finalità dichiarata della valutazione delle scuole (e dei dirigenti, ad essa collegato) sia quella di migliorare il funzionamento della organizzazione scolastica nel suo complesso, a partire dai risultati che i ragazzi ottengono (e qui è utile scavare attorno al concetto di “valore aggiunto”)[5]. Non era una prospettiva scontata, se si pensa al quadro giuridico vigente, fermo al D.lgs. 150/2009, il c.d. decreto Brunetta, che finalizza i sistemi di valutazione nella pubblica amministrazione a rilevare e comparare la qualità delle performances, individuali ed organizzative, anche per erogare premi e incentivi differenziati.

 

Sulle orme di VALES…

Ma cosa c’è di nuovo nella bozza di regolamento? L’impianto ricalca a grandi linee ciò che sta per avvenire con il progetto VALES[6] (Valutazione e Sviluppo Scuole). Si tratta del progetto del MIUR che è stato proposto alle scuole nella primavera scorsa, dopo le grandi difficoltà che avevano caratterizzato le iniziative della precedente gestione ministeriale. Ci riferiamo ai progetti “Valorizza”, finalizzato ad erogare e un premio ai docenti con la migliore reputazione; e “VSQ-Valutazione Sviluppo Qualità”, che introduce la valutazione esterna delle scuole e il riconoscimento di un consistente premio finanziario a quelle meglio classificate. Oltre 1.000 scuole hanno chiesto di aderire a VALES, forse proprio per le sue caratteristiche non competitive. Infatti:

- non ci sono meccanismi premiali, né graduatorie tra istituti;

- tutte le scuole ricevono fondi finalizzati allo sviluppo, anzi chi è in difficoltà ne riceve di più;

- il dirigente non è vissuto come controparte, ma viene inserito pienamente nella comunità professionale (deve farla crescere…ed in questo si gioca la sua valutazione);

- i risultati a cui si guarda non sono solo le prove Invalsi (che hanno un ruolo marginale), ma altri indicatori di più lunga portata (outcomes piuttosto che output);

- in gioco ci sono anche i processi (e i valori da considerare non sono solo l’eccellenza, ma anche l’inclusione, l’integrazione, l’aiuto a chi è in difficoltà);

- il progetto è triennale, si base sull’autovalutazione iniziale e su successivi piani di miglioramento… quindi niente corse a caccia di premi o di lustrini, né improvvisazione.

 

Dietro gli indicatori una certa idea di scuola

Il valore del progetto Vales dovrebbe essere quello di mettere a fuoco un grappolo di indicatori significativi, in grado di stimolare il miglioramento delle scuole. In effetti, in un piano di valutazione, oltre i metodi ed agli strumenti, è decisivo il quadro di indicatori adottati (ma il Regolamento non ne fa cenno, benché la legge 10/2011 vi facesse esplicito riferimento). Da essi dipende una idea di scuola o un’altra. E non è una questione che possa essere delegata solo ai tecnici o ai docimologi.

Gli indicatori potrebbero essere aggregati attorno ad alcune macro-aree. Osservando ciò che avviene negli altri paesi ed in alcune esperienze italiane, questa potrebbe essere una probabile mappatura degli elementi da valutare:

- apprendimenti degli allievi (rilevati attraverso prove strutturate nazionali, prove elaborate a livello locale o di istituto, elementi di valutazione “autentica”, portfolio e dossier);

- partecipazione, comportamento, iniziativa degli allievi, clima sociale dell’istituto, pratiche inclusive, spirito di collaborazione, responsabilità sociale;

- modelli organizzativi e didattici, qualità delle metodologie, impiego di tecnologie digitali e multimediali, articolazione dei gruppi, didattiche laboratoriali, utilizzo di risorse culturali esterne;

- organizzazione della comunità professionale, sviluppo professionale, iniziative di ricerca formazione e documentazione; disponibilità alla valutazione interna ed esterna della qualità del lavoro;

- rapporti, gradimento e soddisfazione dei diversi soggetti della comunità scolastica, con particolare riferimento agli studenti, ai genitori, ai rappresentanti della comunità sociale (stakeholder, enti locali, ecc.), e relative procedure di rendicontazione;

- ruolo del dirigente scolastico (e dello staff di direzione) in relazione alla gestione delle risorse umane, alla promozione culturale e professionale, alle dinamiche relazionali e comunicative, al sistema delle decisioni;

- gestione dei servizi amministrativi, tecnici, ausiliari e di supporto, in rapporto all’efficacia ed efficienza delle procedure di gestione delle risorse finanziarie e strumentali.

Ma questa è solo una prima generica individuazione di macro-aree. Di qui in avanti serve la perizia dei tecnici della valutazione, nel modellare i descrittori di osservazione, le rubriche e le soglie di accettabilità, cioè gli elementi indispensabili per favorire la raccolta, l’analisi e l’apprezzamento delle evidenze circa il “valore aggiunto” (qui in senso non metrologico) attribuibile all’impegno di ogni scuola.

 

Ma cosa fanno gli Ispettori?

Il sistema che si sta delineando sposta decisamente il suo baricentro verso l’Invalsi (Legge 35/2012), che sembra offrire quella garanzia di “terzietà” maggiore rispetto all’Amministrazione e agli Ispettori. Ex-Ministri si sono affrettati a puntualizzare: “Non possiamo essere l’unico Paese occidentale che affidi agli ispettori che dipendono direttamente dal ministro e dal capo dipartimento, quindi dagli organi politici, la valutazione dei dirigenti scolastici e delle scuole” (Beppe Fioroni).

Come vecchio “Ispettore della Repubblica”, mi sia consentito di “credere” ancora che un moderno Servizio ispettivo, autonomo ed indipendente (questa è la dicitura ambiziosamente contenuta nella legge 10/2011), ove si entra solo con concorsi selettivi e rigorosi, che disponga di una propria Direzione Generale per la valutazione e gli standard in educazione, presso il MIUR, sia un indispensabile strumento di garanzia per la scuola italiana. Lo Stato non può demandare ad altri soggetti questa forma di controllo, tanto più in previsione della attuazione del Titolo V in materia di “federalismo scolastico”, che affida al centro il compito di verificare il rispetto delle norme generali, dei principi fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni, con il corredo della verifica dei costi standard per erogare il miglior servizio possibile.

Le legge 10/2011 parla approssimativamente di ispettori che valutano scuole e dirigenti. Ma la previsione non appare consona all’attuale situazione del corpo ispettivo italiano, con un organico nazionale ridotto a 301 unità ed in via di ulteriore ridimensionamento (-20%) causa spending review, e con poche decine di ispettori effettivamente in servizio (stante i ritardi nell’espletamento del concorso bandito dopo 17 anni di silenzio). Realisticamente, nella bozza di regolamento attuativo (ed in alcune ipotesi di sperimentazione) si parla di equipe di valutazione, coordinate da ispettori e formate di esperti -un dirigente ed un insegnante, ad esempio- su elenchi pubblici compilati da Invalsi. Questo consente una pluralità di punti di vista (anche in forma di peer review).

Dunque, non ci dovrebbero essere dubbi circa il rischio di un controllo “politico” sull’operato del servizio ispettivo. I confronti europei ci consegnano una realtà assai diversa. Ad esempio, gli ispettori dello Stato di Berlino sono un corpo tecnico altamente professionale, che agisce capillarmente nelle scuole, per osservare, valutare, suggerire azioni di miglioramento alle scuole ed al governo locale, senza alcuna intenzione punitiva. Il prestigioso servizio ispettivo inglese dirige una struttura come il nostro Invalsi e riferisce direttamente al Parlamento sugli esiti della sua survey. Il corpo ispettivo francese impersona una capillare presenza tecnica dello Stato nelle scuole. E così via…

 

Chi aiuterà le scuole?

La bozza del regolamento sul sistema nazionale di valutazione tace quasi completamente del servizio ispettivo (mentre la legge 10/2011 offriva una delega ad hoc per rinnovarne le funzioni). Già in altre occasioni mi sono permesso di fare qualche ipotesi sul futuro degli ispettori, che ora vorrei sommessamente rilanciare (http://www.notiziedellascuola.it/istruzione-e-formazione/verso-un-nuovo-concorso-per-dirigente-tecnico).

Un moderno Servizio ispettivo italiano potrebbe articolarsi in tre funzioni nettamente distinte (e da esercitarsi distintamente):

- un terzo di ispettori opera per la valutazione esterna delle scuole (ed in questo agisce d’intesa con l’Invalsi), coordinando apposite equipe di esperti che visitano le scuole. Ormai esistono esempi anche italiani, in alcune sperimentazioni promosse dall’Amministrazione, come VSQ (Valutazione Sviluppo Qualità) e Val.Mi (Valutazione e Miglioramento), ed il modello di riferimento è il mitico servizio ispettivo inglese, l’OFFSTED (Office for Standard in Education); il problema, in questo caso, è il costo di un tale servizio se lo si intende rivolgere a tutte le scuole (questione appena sfiorata nella bozza di regolamento);

- un terzo di ispettori opera presso l’amministrazione centrale e periferica (per compiti di controllo, ispezione e consulenza tecnica); l’esempio che più convince è quello francese ove presso le Accademiés (i nostri uffici scolastici regionali) operano veri e propri staff di ispettori, con specifiche competenze e ambiti di intervento (per discipline di studio, per settori, per questioni ritenute prioritarie, come l’integrazione multiculturale);

- un terzo di ispettori opera nel territorio per compiti di promozione e supporto (coordinando centri servizi e risorse ancora in raccordo con le reti di scuole). Questa funzione è prevista nell’attuale ordinamento (T.U. 1994), ma è senz’altro da ripensare alla luce dell’autonomia scolastica, che affida ampie responsabilità in materia di innovazione didattica alle scuole e alle loro reti. Non ha motivo di essere un ruolo “gerarchico” degli ispettori verso le scuole, quanto piuttosto quello di un tutor per il miglioramento[7]. In Australia è stato addirittura coniata una nuova professionalità, il network leader, come “agente di innovazione” e figura di raccordo e di stimolo alla progettualità delle scuole di una certa area territoriale[8].

E’ ovvio che il pieno funzionamento di un tale servizio richiederebbe la completa copertura dei posti di organico oggi esistenti, attraverso il rapido espletamento del concorso in atto e l’indizione di una nuova tornata concorsuale orientata ai nuovi compiti dell’ispettore. Se l’organico appare del tutto ridotto rispetto agli altri paesi europei, che almeno gli effettivi siano del tutto “coperti”.

 

Dove cercare (e trovare) i “nuovi” ispettori?

Vorremmo parlare del futuro del servizio ispettivo italiano non sotto il capestro delle emergenze continue e della drastica riduzione di risorse, ma per la via maestra di una robusta riflessione culturale e istituzionale.

Ci convince la recente osservazione di R.Abravanel, secondo cui “per supportare le scuole nel percorso di valutazione, si dovrebbero reclutare 300/400 ispettori di altissimo livello, completando, anche con il concorso attualmente in fase di realizzazione, un organico che resterebbe meno ricco di altri paesi, ma comunque sufficiente a far decollare la valutazione delle scuole”.[9]

Ad analoghe considerazioni era arrivata l’OCSE quindici anni fa, compiendo una “review” sullo stato di salute della scuola italiana[10], raccomandando al governo di dotarsi di un moderno e accreditato servizio ispettivo, con compiti di valutazione, promozione e sviluppo della qualità del sistema. Raccomandazioni rimaste lettera morta, se si pensa che sono dovuti passare molti anni affinché fosse bandito nel 2009 un nuovo concorso ispettivo per far fronte alle esigenze di turn-over di una funzione che si dava quasi per estinta. E’ paradossale, però, che nel bando di concorso non compaia neppure una volta la parola “valutazione”, che è la mission fondamentale interpretata dagli Ispettori nell’intera Europa.

Sarebbe quanto mai opportuno portare a termine l’attuale concorso, ma anche procedere a bandirne uno nuovo, proiettando il nuovo ispettore verso i compiti di un moderno servizio ispettivo. La frequenza e la celerità dei concorsi pubblici sono una delle garanzie di uno stato di diritto, come afferma la Costituzione, sono un pungolo al rinnovamento delle classi dirigenti ed uno stimolo per alimentare studi e professionalità. Se nei prossimi anni si intende investire sulla valutazione delle scuole, ed è un impegno preciso assunto con l’Europa, si deve investire anche nella formazione e preparazione di apposite figure professionali e gli Ispettori sono tra queste. Per colmare ritardi si potrebbe anche, in via del tutto eccezionale, bandire pubbliche procedure (trasparenti, affidabili, indiscutibili) per affidare incarichi a termine per lo svolgimento di funzioni qualificate di valutazione delle scuole. E diamo al termine valutazione l’accezione più ampia di contatto, incontro diretto, interazione, finalizzato a superare gli elementi di criticità e a potenziare gli aspetti già positivi.

Non dimentichiamo che tra i fattori di successo della mitica stagione dei programmi della scuola elementare (1985) e della sua riforma ordinamentale (1990) va considerato anche l’ingresso sulla scena di un numeroso (oltre 100) e quasi sempre qualificato gruppo di ispettori tecnici di scuola elementare, impegnati in azioni di ricerca, formazione e supporto ad una scuola che aveva la percezione di crescere in tutte le sue componenti.

Forse quelle stagioni non torneranno più. La speranza è che nei regolamenti in fase di preparazione non si adottino soluzioni affrettate che, per dare un giusto spazio all’Invalsi, finiscano per l’azzoppare definitivamente l’anatra zoppa rappresentata dal servizio ispettivo italiano.

 

 


[1] L’art. 2, comma 4-duodevicies, della legge 10/2011 prevede un regolamento di riordino della funzione ispettiva, finalizzato alla valutazione esterna delle scuole. Il comma 4-undevicies, della medesima legge prevede un secondo regolamento per il funzionamento del sistema di valutazione, articolato in tre soggetti: Invalsi, Indire, Corpo ispettivo.

[2] L’art. 51 della legge 35/2012 afferma che spetta all’Invalsi assicurare il coordinamento funzionale del sistema nazionale di valutazione.

[3] Il documento è riportato e commentato nel testo di G.Cerini, Una certa idea di valutazione, Homeless Book, Faenza (RA), 2012.

[4] Ci riferiamo al testo delle Indicazioni/2012, presentato il 23 luglio 2012 all’attenzione del CNPI, che ha espresso parere positivo nella seduta del 25 luglio 2012.

[5] Sul concetto di valore aggiunto si veda M.L.Giovannini, Valore aggiunto ed efficacia delle scuole, in “Rivista dell’istruzione”, n. 1-2, gennaio-aprile 2012, Maggioli editore, fascicolo interamente dedicati ai problemi della valutazione di sistema.

[6] Per un’analisi più dettagliata del progetto VALES, oltre che ai documenti ufficiali allegati alla CM 3 febbraio 2012, n. 16, si rimanda all’intervento di G.Cerini, Vales, ma quanto Vales?, apparso sul sito www.edscuola.eu .

[7] Della figura del tutor per il miglioramento parla M.Castoldi, Il tutor per il miglioramento, in “Rivista dell’istruzione”, n. 4, luglio-agosto 2012, Maggioli, Rimini, numero monografico interamente dedicato alle figure di sistema.

[8] G.Barzanò, Accountability: il caso australiano, in “Rivista dell’istruzione”, n. 1-2, gennaio-aprile 2012.

[9] R.Abravanel, L. D’Agnese, Italia cresci o esci!, Garzanti, Milano, 2012.

[10] OCSE, Esame delle politiche nazionali dell’istruzione/Italia, Armando, Roma, 1997.

Noi raccomandiamo che sia istituito un sistema di valutazione indipendente, che incentri la sua attività sulla definizione di parametri di valutazione, per mettere le scuole nella condizione di autovalutarsi con riferimento a tali parametri, sviluppi test, svolga verifiche ai vari livelli scolastici e fornisca consulenza su come devono essere allocate le risorse perché si ottengano risultati più equi e migliori.

Raccomandiamo altresì che il Governo consideri l’opportunità di istituire un ente indipendente incaricato di svolgere ricerche indipendenti in materia di istruzione utilizzando sia fondi pubblici che fondi provenienti da altre fonti, se c’è interesse ad avere un parere indipendente sul funzionamento del sistema formativo.

Raccomandiamo che il Governo riesamini il ruolo dell’ispettorato alla luce delle mutate condizioni delle scuole in relazione alle riforme. Gli ispettori dovrebbero, in particolare, essere coinvolti nel programma di miglioramento delle scuole e valutarne i risultati.

Raccomandiamo la creazione di un sistema di testing per valutare gli alunni in determinati momenti del corso di studi o in determinate classi, specialmente al termine della scuola dell’obbligo. Spetta al governo decidere quale tipo di estensione debba avere la valutazione: se a campione o per l’intera coorte, in modo che ogni allievo e la sua famiglia possano conoscere il livello medio di rendimento della scuola frequentata.

Raccomandiamo, inoltre, che i risultati di questa valutazione vengano messi a disposizione dei genitori e della comunità, in genere sotto forma di media delle scuole, in modo che si possa decidere come le singole scuole possano migliorare e come le pratiche che hanno successo possano essere disseminate a favore di un maggior numero di insegnanti.

 

E’ questa la prima riflessione che abbiamo fatto dopo aver letto attentamente lo “Schema di regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione“, la cui prima lettura è stata avviata nella riunione del Consiglio dei Ministri del 10 agosto: data molto significativa, perché ci impressiona il fatto che, tra tante questioni urgenti, la valutazione scolastica abbia trovato uno spazio. Certo, in altri tempi – e precisamente il 4 agosto 1977 – veniva addirittura approvata dal Parlamento la legge n. 517 riguardante, tra l’altro, la valutazione degli alunni del ciclo di base.Altri tempi, connotati da un ricco dibattito culturale e scientifico – ma anche politico e sociale - partecipato anche dalla “scuola militante” sulla questione valutativa proprio nella fase di passaggio dalla scuola di élite alla scuola di massa, tanto che la legge altro non era che la formalizzazione giuridica di una cultura valutativa che, con gli apporti di tanti studiosi e testimonial eccellenti (ci perdoni Don Milani!), si stava diffondendo nella scuole del nostro paese.

Non possiamo fare la ricca storia normativa che ha segnato in modo contraddittorio e perfino confuso i destini della valutazione del e nel sistema scolastico, ma non possiamo prescindere dal fatto che sono passati ben 15 anni dalle disposizioni normative contenute nell’articolo 21 della Legge delega n. 59 del 15 marzo 1997 che già prevedeva “l’obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi”. Per non parlare del dpr n. 275/1999 che dispone che la scuola individui “le modalità e i criteri di valutazione degli alunni” e, nell’ambito dell’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, eserciti la “ricerca valutativa”, mentre al ministro spettano l’individuazione degli “standard della qualità del servizio”, l’istituzione “di un apposito organismo autonomo di valutazione”, “le rilevazioni per la verifica degli apprendimenti … finalizzate a sostenere le scuole per l’efficace raggiungimento degli obiettivi” . Inoltre, l’art. 25 del D.Legvo n. 165/2001 afferma che ” i dirigenti scolastici rispondono in ordine ai risultati…sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione…”. Nè possiamo tacere che in questi anni si sono fatti tanti passi soprattutto per mettere in piedi l’istituto di valutazione, INVALSI, mentre sugli altri versanti non sono mancate le sperimentazioni dalle sigle accattivanti – SIVADIS, VALES, VSQ, VALORIZZA – ma dagli esiti discutibili.

L’apparizione di uno schema di regolamento sulla valutazione, previsto dalla legge n. 35/2012 e dalla legge n.11/2011, non può essere vista, dunque, come un’inaspettata accelerazione estiva per realizzare un colpo di mano su un tema che chiama in causa tante sensibilità, tante culture ed anche tanti interessi. Certo, l’ istituzione di un Servizio Nazionale di Valutazione obbliga tutti a fare i conti in modo profondo con noi stessi e con la nostra cultura professionale, per poter rimuovere inerzie intellettuali, fumi ideologici, routine didattiche ed organizzative che, come è noto, rappresentano i fondamenti dell’autoreferenzialità.

Prima di dire se il regolamento vale un clic su “mi piace”, le scuole, anzi i docenti, dovrebbero provare a dare risposte alle seguenti domande, facendo i conti con le proprie pulsioni ed emozioni oltre che con gli schemi mentali che hanno solide radici nelle pratiche valutative strutturate su solidi “artefatti” come i registri, le pagelle, gli scrutini:

  • Siamo pronti a mettere in discussione la mai scalfita cultura valutativa che si polarizza o su posizioni di balcanizzazione (ogni docente, quando valuta i suoi alunni ha i suoi criteri taciti che non sempre coincidono con quelli espressi nel POF), oppure di burocratizzazione, fino a pensare di poter davvero utilizzare prove “oggettive”,criteri valutativi standardizzati cui far corrispondere voti numerici?

  • Tra la valutazione tecnocratica e quella formativa c’è una via di mezzo che ci può consentire di intrecciare virtuosamente le opportunità dell’una e dell’altra ?

  • Siamo pronti – dopo un lungo decennio durante il quale abbiamo fatto finta di farla – a fare autovalutazione d’istituto autenticamente finalizzata al miglioramento dei risultati conseguiti dall’insegnamento rispetto agli obiettivi di apprendimento prefissati?

  • Siamo pronti a far valutare le nostre scuole (e, quindi, a far valutare “dall’esterno” noi stessi,docenti e dirigenti) sulla base degli esiti di apprendimento degli alunni verificati con prove nazionali?

Le altre domande le lasciamo ai lettori, perché noi ne vorremmo fare qualcuna al Ministro:

  • Che idea di scuola c’è alla base del sistema nazionale di valutazione? Scelga tra le seguenti risposte: selettiva o inclusiva?

  • Che idea di merito è sottesa alla valutazione degli apprendimenti? Scelga tra: il merito rispetto ai risultati o rispetto al punto di partenza?

  • Una volta accertato che una scuola ha avuto un basso indice di valore aggiunto, come intende intervenire? Scelga tra:sanzioni o sostegno?

  • Pensa davvero che la qualità degli apprendimenti dei nostri studenti dipenda prevalentemente dalla qualità espressa da una scuola? Risponda semplicemente: sì o no.

 

A conclusione di questo discorso noi siamo disposti a cliccare “mi piace” sullo schema di regolamento per i alcuni semplici motivi, che possono suonare banali e pressapochisti a coloro che, dichiarandosi i veri ed unici esperti di valutazione, pensano che bisogna prima aggiornare i docenti su come si valuta e perchè, per poi passare all’azione. Questi i motivi a sostegno del “mi piace”:

  • non esiste al mondo un sistema di valutazione perfetto, ma non per questo un paese deve rinunciare a valutare il proprio sistema scolastico;

  • la valutazione degli apprendimenti (e non solo), nonostante tutto si baserà sempre sulla discrezionalità dei valutatori;

  • i docenti non vogliono rinunciare alla loro discrezionalità valutativa che resta l’unico strumento di potere professionale;

  • le famiglie e gli studenti contrattano con la scuola e i docenti le valutazioni perchè sono più interessati ai voti che agli apprendimenti;

  • la legittima paura di essere valutati può essere superata dalle scuole soltanto se, mentre si valuta e si viene valutati, si fa ricerca valutativa;

  • il miglioramento del nostro sistema scolastico passa attraverso l’intreccio di processi valutativi diversificati;

  • un sistema di valutazione può essere il primo passo affinchè le scuole mettano davvero in discussione quelle pratiche didattiche che, pur fallimentari quanto agli esiti di apprendimento, vengono reiterate quasi fossero assiomi irrinunciabili.

La valutazione è scomoda, lo sappiamo; ma non ci possiamo più permettere di adagiarci sulla free evalutation!