Sulla bozza di regolamento
per il sistema di valutazione
di Franco De Anna
Pavone Risorse,
13.8.2012
Il Governo ha
presentato in prima discussione uno schema di decreto per il
riordino del Sistema Nazionale di Valutazione. Inizia così un
itinerario normativo che dovrebbe concludersi rapidamente dopo
l’acquisizione dei passi previsti (parere CNPI, parere Conferenza
Unificata, parere commissioni parlamentari, Parere Consiglio di
Stato, delibera definitiva del Governo, Firma del Presidente della
Repubblica).
Vi sarà tempo per una
analisi più puntuale nel corso stesso di tale itinerario. Preme
tuttavia sottolineare alcuni elementi di metodo e di merito.
Lo strumento regolamentare e le norme di carattere generale
Lo strumento è di tipo
regolamentare (un Decreto del Presidente della Repubblica). La
pienezza istituzionale dell’uso di tale strumentazione riposa
(riposerebbe) nell’avere alla sua base una “legge generale” che
espliciti i principi, i valori, le norme di carattere generale che
nello strumento regolamentare trovano attuazione e “messa in opera”.
Per quanto attiene alla materia si tratterebbe di rifarsi ad una
norma di carattere generale attinente alla architettura, i principi,
i valori, le finalità del sistema educativo di istruzione e
formazione, del quale si vorrebbe rendere operativa una “valutazione
di sistema”. E in termini specifici (la valutazione) di rifarsi ad
un dettato normativo generale che enunciasse principi e valori
“costitutivi” e “coerenti” in riferimento all’intera “matrice
valutativa”, in grado cioè di orientare complessivamente la
valutazione nei processi di apprendimento (con il ruolo
insostituibile dalle “valutazione” come competenza essenziale della
docenza), con la valutazione delle organizzazioni (le scuole nella
loro responsabilità di “organizzare” i servizi di istruzione alla
cittadinanza), con la valutazione “di sistema” che investe l’intera
struttura (il sottoinsieme istituzionale dell’istruzione) e che
dunque investe anche (o soprattutto?) la valutazione delle
“politiche pubbliche” che ad essa e al suo concreto funzionamento
presiedono.
Nella premessa, la bozza di regolamento predisposta ha un solo
riferimento di questo tipo: la Legge 53/2003. E non potrebbe essere
altrimenti. Quella legge, qualunque sia la nostra opinione in merito
ai suoi contenuti, è l’ultimo intervento legislativo, in ordine di
tempo, che tenti di interpretare la “tecnica legislativa” secondo i
principi generali e i vincoli istituzionali, anche in riferimento al
Titolo V della Costituzione. Ricordo che essa recita “Delega al
Governo per la definizione delle norme generali e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale”.
Lascio al lettore tutte le considerazioni relative alla cogenza di
tale riferimento: dalla approvazione della Legge 53/2003 ad oggi la
politica scolastica è stata contrassegnata da interventi parziali,
segmentati, spesso contraddittori, e istituzionalmente discutibili.
Si pensi all’obbligo scolastico mutato con strumenti normativi
impropri come una legge finanziaria (e infatti si tratta di un
“fantasma” che percorre l’ordinamento); oppure si pensi agli
interventi proprio sulla valutazione, con “strumenti ministeriali” a
modificare scale di misura, contenuti delle prove d’esame; si pensi
infine ad interventi ripetuti, in una transizione per ora irrisolta
rispetto ad oggetti essenziali rispetto alla delega della Legge 53,
come le indicazioni e i curricoli.
Completamente irrisolto, sullo sfondo, il tema pure indicato in
quella lontana delega “…. dei livelli essenziali delle prestazioni
in materia di istruzione e formazione professionale”.
Se pure volessimo ricostruire un riferimento normativo generale
specifico per il tema della valutazione, sul quale appoggiare lo
strumento regolamentare, probabilmente dovremmo risalire alla Legge
517, dedicata per altro alla valutazione nei processi “molecolari”
(in classe e a scuola) di apprendimento e insegnamento
Sicchè siamo di fronte ad uno strumento regolamentare, definito in
debolezza se non in assenza di un riferimento normativo di carattere
generale. Dal punto di vista istituzionale e di tecnica legislativa
un altro esempio dell’ inappropriatezza cui si siamo purtroppo
abituati in questo decennio, e che ha segnato la politica scolastica
in queste legislature (chiunque governasse)
Ma non si tratta
solamente di una notazione di metodo: la rilevanza sociale, la
sensibilità politica, le contraddizioni professionali e culturali,
la stessa “novità istituzionale” della creazione di una “valutazione
di sistema” (nel nostro sistema di istruzione essa è per ora oggetto
di esortazioni, sperimentazioni parziali, ma mai di “progetto
operoso e coerente” da svilupparsi nel tempo con costanza e
continuità) suggerirebbero una “politica” che si misurasse con un
ampio confronto culturale, scientifico, sociale, cui la
“deliberazione” normativa dovrebbe trovare composizione e
definizione al massimo condivisa.
Ciò che lo strumento regolamentare, per definizione non solo non può
fare ma richiederebbe che fosse fatto prima, per legittimarsi.
In particolare tale complessivo coinvolgimento appare condizionante
proprio per l’oggetto specifico. Il “sistema di istruzione” esplora,
nel suo concreto funzionamento, una dimensione complessa che
raccorda il livello molecolare a quello di sottoinsieme sociale e
istituzionale.
In tale operatività
sono coinvolti infatti centinaia di migliaia di operatori
professionali che operano a livello molecolare e il cui lavoro
alimenta i risultati “di sistema”.
Solo un astratto approccio “funzionalistico” può ritenere che tale
complessità si governi “dalla coda”. In altre parole: pensare di
affrontare la dimensione di sistema della valutazione, a prescindere
dalla dimensione molecolare dei processi di insegnamento e
apprendimento, (la valutazione dei docenti e delle scuole) disegna
le condizioni del proprio fallimento.
Sia per le opposizioni esplicite che tale approccio possa suscitare
(e ne abbiamo numerosi esempi) sia (o forse ancora di più) per le
reazioni di adattamento opportunistico che sempre accompagnano il
costituirsi di un sistema di valutazione percepito come “estraneo”.
Sia infine perché la
stessa “scientificità” del sistema rischia di essere compromessa se
non si è in grado di ricostruire la “catena inferenziale e
diagnostica” che esplora l’itinerario che va dalla molecolarità dei
processi (e dei dati relativi) alla ricostruzione delle ipotesi
diagnostiche, alla definizione di politiche pubbliche capaci di
stimolare miglioramento, in un sistema per antonomasia “a
multivariabili”, nel quale le catene causali sono sempre incerte e
ipotetiche.
Non si fa valutazione scientifica seria se non si parte dal
presupposto che, come in tutta la ricerca sociale, non è
utilizzabile il criterio della “variabile indipendente” e che il
rapporto soggetto-oggetto richiede partecipazione e riconoscimento
del senso stesso della ricerca.
Valutazione di sistema e ripartizione costituzionale delle
competenze.
In un modello “teorico”
che tenesse conto del dettato costituzionale (Titolo V Cost.) la
“valutazione di sistema” si pone come questione nodale per diversi
motivi
1.
La pluralità
delle competenze legislative, normative e di gestione, a fronte del
ruolo essenziale dello Stato di garantire servizi essenziali che
garantiscano l’eguaglianza dei cittadini non solo rispetto a
“diritti generali di rilevanza costituzionale”, ma alla fruizione
reale di “diritti sociali” (mi si passi l’uso delle categorie
classiche di T.Marshall) pone come essenziale un sistema di
valutazione capace di “dare conto” della funzione primaria che
garantisce tale uguale fruizione, almeno negli standard ritenuti
fondamentali.
Se non bastasse la considerazione relativa all’uguaglianza dei
cittadini garantita dallo Stato a fronte della pluralità delle
competenze organizzative e gestionali, si pensi anche alla
“questione economica”, visto che i servizi ai diritti sociali di
cittadinanza sono in sostanza finanziati dalla fiscalità generale.
La “valutazione di sistema” ha un versante economico (costi
standard, efficienza ed efficacia della spesa, modelli
organizzativi, qualità delle prestazioni) di tutta rilevanza, specie
in una fase particolare di “risorse pubbliche ridotte”. (Ciò vale
per l’Istruzione come per la Sanità, come per l’Assistenza. Come si
sa i servizi previdenziali non partecipano al “governo misto”)
2.
Il sistema di
istruzione ha rilevanza non solo operativa e di offerta di servizi
al cittadino, ma è anche “istituzione”. Dunque accede e nutre
quell’apparato “narrativo-simbolico” (identità, storia, cultura,
articolazione sociale..) che “fonda” le istituzioni ed il loro
riconoscimento sociale, e dunque “identifica” la cittadinanza.
A fronte del “pluralismo” delle competenze normative, della
“produzione” del sistema, uno degli elementi che ne presiedono la
“narrazione unitaria” è proprio un sistema di valutazione omogeneo e
riconosciuto da tutti i soggetti del “governo misto”.
3.
Rispetto a ciò
che si deve valutare a livello di sistema, per osservarne tali
funzioni essenziali, si deve elencare: i livelli di apprendimento
definiti come “risposta-obiettivo” al diritto all’istruzione; i
“servizi” ai cittadini, organizzati per rispondere in modo ottimale
a tali obiettivi; le “prestazioni professionali” e di lavoro
necessarie e coerenti per raggiungere tali obiettivi. Insomma
l’intera “matrice della valutazione”.
Con evidente gradazione di intensità: se i livelli di apprendimento
costituiscono un parametro generale e universale (riguardando
diritti eguali garantiti dallo Stato), la funzionalità delle
organizzazioni investe sia le competenze regionali (l’offerta
formativa sul territorio), sia l’autonomia scolastica (la
“produzione” del servizio in rapporto diretto con i cittadini; e
l’autonomia stessa ha rilevanza costituzionale).
La valutazione delle persone sembrerebbe interessare l’attuale
datore di lavoro (l’Amministrazione scolastica) ma come si sa siamo
(ancora) in transizione anche per questo oggetto.
A fronte della pluralità dei soggetti che hanno “competenza”
rispetto al sistema di istruzione, la “valutazione di sistema” non
può che operare, dunque, come servizio complessivo, di natura
tecnico scientifica, a tale pluralismo di competenze. Dallo Stato
alle Regioni.
A garanzia di tali funzioni di “tecnostruttura comune”, gli istituti
della valutazione di sistema dovrebbero essere caratterizzati da
“indipendenza” istituzionale, e da “autonomia scientifica ed
operativa”, ed alla realizzazione di tali caratteri dovrebbero
collaborare tutti i soggetti interessati alla loro operatività.
Se si utilizza tale
“modello teorico” come filtro per il giudizio da dare sulla bozza di
regolamento emergono alcune questioni di fondo.
I.
Per il
dispositivo regolamentare è ovviamente previsto il passo
fondamentale del parere della Conferenza Unificata. Ma ciò sembra
semplicemente richiamare un “obbligo” istituzionale che è ovvio per
una materia (l’istruzione) per la quale sono previste competenze
concorrenti. Non mi pare emerga invece da una consapevolezza che
l’oggetto specifico (la valutazione) implichi tale rapporto e
confronto.
II.
Nel testo sono
variamente distribuiti (e non mi pare con attenzione oculata)
riferimenti a “sistema educativo di istruzione e formazione” oppure
a “sistema di istruzione” e ancora “sistema di istruzione e
formazione professionale”.
La distribuzione impropria dei riferimenti si riflette nelle
definizioni relative ai compiti ed alle competenze dei due Istituti
Nazionali (INVALSI e INDIRE).
Per il primo sembra delinearsi una sorta di rapporto esclusivo con
il Ministero.
Per il secondo, invece, si prevede ampia collaborazione con le
scuole (progetti miglioramento, documentazione, formazione, ecc…) e
con le regioni e gli enti locali.
A prescindere da considerazioni strategiche che meriterebbero altra
discussione (la necessità istituzionale di “due” istituti di ricerca
educativa; la sovrapposizione di competenze tra valutazione e
miglioramento; l’ambiguità del riferimento internazionale con
l’INVALSI che rappresenta il Paese nella ricerca internazionale e
l’INDIRE che segue i progetti europei…) a me pare che tali scelte
siano in realtà non ascrivibili a strategia alcuna (almeno
esplicitamente motivata), ma semplicemente l’effetto di
“combinazioni casuali” di stratificazioni storiche di esperienze ed
interessi, passati e presenti.
III.
Il Regolamento
(e non può che essere così) procede alla descrizione di una
“architettura” per la costruzione reale della quale i componenti
fondamentali, mancano, o meglio non corrispondono alle geometrie
descritte.
Veniamo da un decennio di transizione permanente negli assetti dei
due Istituti nazionali, che hanno conosciuto un lungo periodo di
“commissariamento”, con effetti anche “pesanti” sia sulle strutture
e le culture di direzione e gestione, sia sulle operatività concrete
(personale, risorse, ecc..).
L’INVALSI sembra avere superato tale snodo di transizione (ma altro
evidentemente è definire strategie a lungo termine); l’INDIRE è, a
fine Agosto, un ente pubblico senza personale: la fase concorsuale è
stata appena avviata.
Rimane, sullo sfondo di una discussione mai approfondita e mai
socializzata opportunamente, la questione nodale dell’assetto
giuridico degli Enti, la loro dipendenza strumentale dal Ministero
della Pubblica Istruzione, la definizione degli organismi dirigenti,
i livelli di autonomia gestionale, organizzativa, contabile, nella
gestione del personale ecc… Il loro rapporto con il “governo misto”
del sistema di istruzione.
IV.
Della terza
“componente” del sistema (gli ispettori “ministeriali”) sarebbe
bello tacere. Ma è pure necessario ricordare che il numero di quelli
in servizio è ormai declinante da anni; il concorso in via di
espletamento, anche ammesso fosse concluso in tempi brevi,
lascerebbe l’organico reale largamente insufficiente.
Ma, ancora più preoccupante il fatto che dalla “filosofia” del bando
di concorso, caratterizzata dalla accentuazione delle competenze
amministrativo giuridiche richieste ai partecipanti, e dalla stessa
analisi delle prove scritte che confermavano tale “filosofia” unita
a quella più tradizionale delle competenze culturali disciplinari,
non emergono affatto le competenze circa la valutazione (nel
significato esteso del termine) come oggetto di essenziale
accertamento.
Rispetto a tale realtà i dettagli del dispositivo regolamentare che
prevede che si stilino graduatorie degli ispettori che si offrono
come valutatori, e anche (teoricamente corretto) che un ispettore
impegnato nella valutazione operi “in via esclusiva” in tale
incarico, appaiono almeno “singolari”.
Gli estensori del regolamento ovviamente non ignorano tali
condizioni reali del “sistema”.
Potrebbe apparire malizioso chiedersi se gli esperti estensori non
abbiano in serbo “varianti operative” per affrontare tali carenze
(outsourcing, incarichi provvisori, e quant’altro…)
Alcune notazioni “scientifiche”
Nel testo del
Regolamento, oltre agli elementi di discussione citati nei punti
precedenti e che ne investono il senso generale, sono anche
contenute indicazioni di dettaglio su aspetti operativi del valutare
che suscitano interrogativi. Di seguito un elenco essenziale.
1.
Le rilevazioni
dell’INVALSI per la misura degli apprendimenti sono previste per le
classi seconda e quinta della primaria, prima e terza della
secondaria di I° grado, seconda e ultima della
secondaria superiore.
E’ appena il caso di sottolineare che in tale progressione si
mescolano “rilevazioni” sui livelli di apprendimento, e “prove” di
esame di stato.
Così è già per la terza classe della secondaria di I° grado, con una
“prova INVALSI” il cui esito influisce sulla valutazione finale di
esame.
In tale prospettiva la previsione di una “prova INVALSI” nell’ultimo
anno della Superiore.
Si mescolano qui oggetti di significato assai diverso. Come ovvio i
dati raccolti sia dalle rilevazioni, sia dalle prove di esame hanno
“interesse valutativo di sistema”; si propongono come fonte di
osservazioni, analisi, formulazione di ipotesi diagnostiche,
ispirazione al miglioramento.
Ma è errore innanzi tutto scientifico ritenere quei dati
equivalenti; sono infatti profondamente diversi per il significato
valutativo che assumono (le “prove” finali concorrono alla
valutazione definitiva in uscita dal percorso formativo), per le
condizioni di somministrazione, per il differente significato che ad
esse danno gli interpreti, e, risalendo a “monte” per gli stessi
criteri di formulazione dei tests che non possono che essere diversi
se si tratta di una rilevazione o di una valutazione finale.
2.
La sequenza
delle rilevazioni e prove è “segnata” dalle cadenze ordinamentali
tradizionali: si pensi alla quinta elementare, alla terza media,
all’ultima classe della superiore.
C’è qui un valore simbolico (appunto: una narrazione istituzionale
stratificata nei decenni) del quale gli estensori non possono non
essere consapevoli.
A tale stratificazione si abbinano isomorficamente atteggiamenti
professionali dei docenti, classificazioni del lavoro, modelli
organizzativi, finanche istituti formali del rapporto di lavoro,
culture e prassi valutative assai diverse.
Il significato simbolico dell’isomorfismo tra rilevazioni/prove e
gradi dell’ordinamento è esplicitamente diretto alla conferma di
tale permanenza? E’ inconsapevole? E’ il prodotto non-tecnico della
stratificazione di articolazione di interessi e sensibilità
culturali e professionali?
Se così fosse come relazionare tale cadenza di prove/rilevazioni,
con alcune prospettive attuali che pongono direttamente o
indirettamente istanze di mutamento degli ordinamenti stessi?
Può un elemento innovativo come la valutazione di sistema
convalidare una situazione per la quale da un lato il termine
dell’obbligo scolastico mutato non ha ancora traduzione
ordinamentale organica e dall’altro si mantiene anzi si appesantisce
con una “prova nazionale” un esame di Stato come quello di Terza
Media che rispetto all’ordinamento non ha alcuna funzione?
E che dire della prospettiva di modifica dell’intero ciclo
dell’istruzione con il suo adeguamento alla situazione europea
(uscita a 18 anni) e dunque una possibile abbreviazione (sarà di
prossima discussione..)? Traccia di ciò rimane solamente nella
“furbizia” degli estensori della bozza di Regolamento che rispetto
alla Superiore non parlano di “quinto anno” (mentre lo specificano
per gli altri ordini scolari) ma di “ultimo” anno? E se
l’accorciamento del ciclo, sommato per esempio alla istanza della
comprensività o della curricolazione verticale, rendesse realistica
una revisione complessiva delle articolazioni dei cicli?
Potrebbe in tale caso essere realistico porre le rilevazioni non
negli anni finali attuali…
3.
Nella parte
relativa alla “valutazione delle scuole”, la bozza di regolamento
esplicita un rapporto di tipo seriale tra autovalutazione e
valutazione esterna, nel senso che questa seconda procede a partire
dai riscontri della prima. E’ un “modello” che può essere
condivisibile (personalmente penso che l’autovalutazione abbia
addirittura un valore di requisito di accesso alla valutazione
esterna).
Ma si fa torto a tante esperienze di autovalutazione, condotte
secondo protocolli diversi e modelli diversi, comunque
“formalizzati” (distinguo qui tali esperienze formalizzate da quelle
“estemporanee”, variamente diffuse tra le scuole) quando si precisi
che l’autovalutazione delle scuole sarà condotta sulla base dei
“dati resi disponibili dal sistema informativo del Ministero” (!?)
oltre che dalle rilevazioni INVALSI e (concessione) “ulteriori
elementi significativi integrati dalla stessa scuola”.
I dati del sistema informativo del Ministero (per altro la fonte
principale sono le scuole stesse) e i dati del lavoro INVALSI sono i
riferimenti forti per il lavoro di autovalutazione che, invece nelle
esperienze migliori è di carattere minutamente analitico, capace di
portare alla luce le forze e le debolezze specifiche, i climi e le
culture organizzative, le variabili relazionali ecc.. ecc.. Insomma
tutto ciò che potrebbe dare ai valutatori esterni la possibilità di
ricostruzione della immagine complessiva della scuola che essi
visiteranno “per come essa si vede attraverso uno strumento
organizzato ed esplicitato”. Perché questa scelta limitante dove i
dati esplicitati dalla scuola sono “elementi… integrativi”?
Che senso ha in un Regolamento generale che affida agli Istituti di
ricerca il compito di formulare protocolli e modelli, esplicitare
tali condizioni di protocollo?
A meno che la risposta non risieda nel fatto che, esattamente con le
medesime parole, l’autovalutazione che precede la valutazione
esterna venga descritta nel progetto VALES (vedi ultima nota del
Dipartimento dell’Istruzione del 1 Agosto 2012).
Ma genera una ulteriore perplessità poiché un Regolamento che
dovrebbe contenere un indirizzo generale consolidato, adotterebbe un
dettaglio tecnico (!?) particolare di un progetto sperimentale (il
VALES appunto) a prescindere da ogni considerazione circa le
rilevanze che proprio durante tale sperimentazione potrebbero
emergere criticamente.
Se tale dispositivo significasse dare un riferimento nazionale ad un
processo come l’autovalutazione che rischia per alcuni di nutrire
livelli discutibili di autoreferenzialità, ben altro sarebbe
l’impegno del Ministero: non fornire dati dal sistema informativo,
ma arrivare alla definizione “dei livelli essenziali di prestazione”
o degli standard di prestazione (e magari anche di costo..). Questo
è “amministrare”. La definizione di protocolli e metodologie
scientifiche di ricerca valutativa è preoccupazione essenziale del
buon amministratore, ma non è in sua “padronanza”.
Poichè è indubbio che,
confermando quanto verificato in questi anni di avvicinamento,
attorno al Regolamento si svilupperà discussione e dibattito, chi
scrive confida che i difetti più evidenti di quel testo non diano
occasione per una discussione che si concentri strumentalmente su
particolari “insoddisfacenti” trascurando le questioni di carattere
generale (appunto “sistemiche”) sulle quali al contrario
rintracciare il “senso” di una innovazione di carattere complessivo,
quale si vorrebbe mettere in campo.
Perderemmo tutti, a
prescindere dalle diverse sensibilità particolari, una occasione
cruciale.
Ma tale auspicio
(distinguere particolare da generale) vale, a maggior ragione per
chi ha la responsabilità di formulare le proposte normative.