L'OPINIONE

Dare un 4 a scuola si può. Anzi si deve

Il dibattito sui voti da dare agli alunni: è giusto dare un voto tanto negativo?
Non basta un semplice 5? L'opinione di Ferdinando Camon

 da Il Mattino di Padova, 19.8.2012

PADOVA. Esplode sulla stampa un dibattito sul seguente problema: è giusto dare “4” a uno studente? O meno di 4, cioè 3, o addirittura 2? Non basta dargli 5, che già vuol dire “insufficiente”? Dargli 4 non significa umiliarlo, scoraggiarlo, spegnerlo? Dargli 5 significa dirgli “sei malato ma puoi guarire”, dargli 4 significa dirgli “sei morto”.

Il dibattito è impiantato così. E, così impiantato, porta a concludere che dare 4 non è un gesto didattico, degno di un insegnante, ma un gesto ostile, degno di un sadico. Sono totalmente contrario a questa impostazione e a questa conclusione. Dare 4 si può, e spesso si deve. Dare 4, o comunque un voto fortemente negativo, si può, in calce a un tema sul Novecento, col quale lo studente mostra di non aver studiato niente del Novecento. O alla fine di un'interrogazione su un filosofo, che lo studente confonde con un altro filosofo. O dopo un dialogo, durante il quale lo studente vuol dire una data cosa ma esprime esattamente la cosa opposta. È vero, a non saper parlare sono perfino deputati e senatori, perfino capi-partito, ma questo non giustifica niente, sta semmai a spiegare che quei deputati e senatori, invece di presentarsi alle elezioni e venir eletti, dovevano presentarsi all'esame di Maturità e venir bocciati. La chiarezza con cui uno studente svolge un compito scritto o risponde a un'interrogazione orale indica la fluidità con cui funziona il suo cervello, e quindi il livello di apprendimento che quel cervello può reggere. Se questo livello è basso, non puoi promuovere lo studente all'anno successivo, o al livello di scuole superiore. Vedo che, nel dibattito, uno degli insegnanti che intervengono è per i “voti bassi, se meritati”, ma “non per la bocciatura”. Che significa, che alla fine dell'anno promuovi uno con la media del 3?

Quando il Ministero introdusse l'obbligo di esprimere i giudizi con parole, e non con numeri, si svolse un analogo dibattito, e ricordo che l'ex presidente degli psicanalisti, Cesare Musatti, si schierò per il voto in numero, perché, disse, davanti a una pagella dove sta scritto “deduttivo ma non intuitivo”, “apprende ma non trattiene”, “sa ma non riesce a dimostrarlo”, padre e madre non capiscono niente, mentre di fronte a “4” o “7” capiscono tutto. Dare “4", per Musatti, come dare “7”, è una questione di chiarezza, cioè di democrazia. La scuola è andata progressivamente perdendo la sua funzione di “braccio educativo” della famiglia. Per svolgere questa funzione, dovrebbe avere l'anno scolastico diviso in tre trimestri: il primo serve al ragazzo per rodarsi (di solito fa fatica, e prende voti bassi), il secondo per muoversi, e il terzo per correre. In tre trimestri si vedrebbe il miglioramento, che in due quadrimestri non si scorge. In tre trimestri, il passaggio dal 4 di inizio anno al 6 finale è (era) frequente. In due quadrimestri, è difficile. I due quadrimestri sono un trucco. Gli insegnanti protestavano: non riusciamo a interrogare ogni alunno due volte per trimestre. Lo Stato risponde: bene, allora vi do (o vi permetto) il quadrimestre. Ok, ma due interrogazioni per quadrimestre fanno quattro interrogazioni all'anno, sempre poche. Se in queste interrogazioni, e nei compiti scritti, si scoraggia il 4, è un incentivo alla promozione regalata: che è il vero sbocco, non benefico ma nefasto, dell'odierna scuola di massa. Nella scuola di massa dove tutti hanno bei voti, il povero ma bravo non ha nessuna possibilità di emergere sul ricco ma lavativo. E basta con i “meno meno” e “più più”. Che significa “6--“? Il “6-“ è cinque, e il “6 --“ è 4. La prima cosa da insegnare ai ragazzi è che ognuno ha secondo quel che merita.