Tfa: professori e topi

di Luca Mastrantonio Il Corriere della Sera, 7.8.2012

L’Italia ha bisogno di un corpo insegnanti all’altezza delle sfide del futuro. Ma l’Italia è un paese per insegnanti? Silvia Avallone, scrittrice, ha detto di no. E per questo lei come molti suoi amici, ex compagni di studi e professori mancati, hanno deciso di non partecipare alle prove del Tfa, il Tirocinio Formativo Attivo, necessario per ottenere l’abilitazione all’insegnamento. C’è, però, anche chi non rinuncia alla vocazione pedagogica e formativa, di mediazione culturale tra passato e futuro, di questo fantastico mestiere. Una professione che oggi si è impoverita sul piano materiale, economico e sociale, ma che per molti, oggi, è ancora sinonimo di passione. Come nel caso di Maria Pia Pizzolante (29 anni). Ma il suo resoconto della prova del Tfa è la cronaca di come funziona una trappola per topi fabbricata da uomini per altri uomini (aspiranti insegnanti che regrediscono allo stato adolescenziale, come racconta, con spietata onestà intellettuale, l’autrice).

La pubblichiamo di seguito.

 

28 Luglio, caldo tropicale, Roma infuocata persino alle ore 9,00 del mattino, quando noi candidati per la prova d’accesso al Tfa (Tirocinio Formativo Attivo, il nuovo modo per ottenere l’abilitazione all’ insegnamento, che ha sostituito la vecchia Ssis). L’esame, in realtà, comincerà solo alle 10, ma dobbiamo presentarci un’ ora prima, tanto il nostro tempo non ha valore. Noi, non abbiamo valore.

Poi, si comincia: tre ore per 60 domande a risposta multipla. Vietato lasciare l’aula prima di 150. Ci sentiamo in una trappola per topi: ci rendiamo subito conto che le domande sono pensate non per selezionare, ma per eliminare: sono impossibili, equivocabili, irritanti nella loro assurda pretesa di misurare la nostra competenza sulla base del più becero nozionismo da quiz. Dopo i primi quaranta minuti non resta che constatare la propria impotenza, tirare a caso, guardare il foglio. Fa parte del gioco mi dico, del gioco che ha come obiettivo quello di farci sentire sempre più sfigati e di far ricadere le colpe solo su di noi. Si perché e’ esattamente così: scambiando il caso con il criterio e l’arbitrio con la dura meritocrazia, si sono voluti sminuire migliaia di aspiranti docenti. La prima selezione, è stata fatta implicitamente in base al reddito:fare la prova ha un costo, studiare ha un costo, comprare i libri dei quiz e’ un costo. Il tutto per accedere ad un anno di tirocinio che costa circa 2000 euro, quanto sei mensilità dei nostri stipendi medi. Ciò che scandalizza è che questo meccanismo infernale è il meccanismo d’accesso per l’insegnamento alla scuola pubblica, quella che dovrebbe garantire a tutti la possibilità e il diritto allo studio.

Normale allora essere disillusi o agitati al punto di tornare bambini, tornare alunni in preda al panico che porta a tentare il tutto per tutto, fino ad assecondare le umane viltà pur di sentirsi promossi. Come se non valesse di più dimostrare una certa maturità, affrontare le prove della vita a testa alta, dimostrare integrità più che ansia. Mi stupiva durante la prova il succedersi incessante di domande ai commissari, di interrogativi tecnici sulle crocette, sugli spazi, sulla brutta e sulla bella, le richieste di andare in bagno. Noi, che cerchiamo l’ abilitazione per stare dall’altra parte della cattedra, come possiamo comportarci come adolescenti disperati? Ma purtroppo siamo anche questo. Indipendentemente dalla nostra età (che per la verità appariva mediamente alta per la natura della prova) siamo costretti dalla perenne precarietà a vivere come eterni giovani. Certo non abbastanza per rinunciare ad una passione, perché di questo si tratta: insegnare non e’ un mestiere, non solo, e’ la passione di volere mettere a disposizione un sapere ma anche e soprattutto un desiderio, quello di formare dei cittadini, con le loro passioni e le loro responsabilità.

Quello di cambiare un modo di fare e di intendere la scuola e la formazione. Non semplicemente una tecnicità ma anche e soprattutto una scuola di vita, un luogo della socialità e del confronto, il primo che conosciamo dopo la famiglia, quello che ci mette a contatto con il mondo e da cui dipende il nostro rapporto con esso. Il luogo in cui impariamo a conoscere, a conoscere la vera democrazia attraverso il contatto con altri individui e la loro pluralità. Prove come queste si iscrivono nel progetto di distruzione della scuola pubblica, in questo attraverso la delegittimazione degli aspiranti insegnanti.

Ci hanno offesi volendo valutarci con domande prive di attinenza con la cultura, come si diceva.

Ci hanno umiliati nel modo in cui ce le hanno sottoposte, quelle domande: tenendoci sospesi, facendoci sentire piccole inutili pedine, prive di merito e dignità.

Tutto questo e’ una macchia indelebile sulle coscienze di chi ha ideato tutto ciò: e non basta, solo ora, chiedere scusa.

 

di Maria Pia Pizzolante