Che tempo che fa Dibattito sulla scuola elementare di Cinzia Mion ScuolaOggi 9.8.2012 Niccoli dice nella sua lettera iniziale che vorrebbe esplorare “tutte le possibili forme di riconquista da parte delle istituzioni scolastiche di tutti gli spazi, costituzionalmente garantiti, di autonomia didattica, organizzativa e di ricerca-sperimentazione-sviluppo per regolare i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni, adottando tutte le forme di flessibilità opportune” Una parola … Ciò che viene chiesto è un trattato di organizzazione pedagogico-didattica. Cercherò di condensare allora alcune raccomandazioni nel modo più fruibile possibile. Il primo aspetto da sottolineare sempre è quello di saper imparare dalle lezioni precedenti. Andando un po’ indietro nel tempo diciamo che dalla legge 517/77 dobbiamo rispolverare il concetto di “valutazione formativa” che in genere viene liquidato in fretta come se si desse per scontato che tutti lo conoscono e tutti lo applicano. Le nuove “Indicazioni nazionali per il curricolo” vi fanno ancora riferimento. In poche battute direi che valutazione formativa significa che durante il processo di insegnamento-apprendimento, a fronte di una qualche difficoltà apprenditiva dell’alunno, il docente deve ritenersi responsabile del primo termine del binomio e per questo cercare di mobilitare le proprie risorse metodologiche, cambiando anche strategia, per cercare di risolvere il problema “ in tempo”. Per avviare questo processo riflessivo il docente deve autointerrogarsi attraverso una coraggiosa autovalutazione, evitando le consuete difese per autogiustificarsi ed ascrivere il mancato successo soltanto all’allievo. Non meniamo il can per l’aia, quanti sono i docenti che all’interno della scuola dell’obbligo applicano durante l’anno la valutazione formativa? Un conto è la valutazione sommativa che deve comparire alla fine del quadrimestre, ma in itinere? So benissimo che molti insegnanti della scuola elementare applicano il regolamento sulla valutazione con i voti numerici su scala decimale (mai stigmatizzato abbastanza) con prudenza, ma un conto è far trapelare una certa forma di benevolenza, un conto è applicare a livello professionale l’autentica valutazione formativa cercando le proprie lacune per porvi rimedio. Lasciamo perdere la frenesia della valutazione su base decimale, con la famigerata media aritmetica - per mettersi al riparo da contestazioni - che spesso l’accompagna. In genere questo non caratterizza la scuola elementare. Cosa c’entrano queste considerazioni con il tempo scuola? C’entrano con il “senso” della scuola dell’obbligo quindi con il suo tempo e con il modo in cui viene speso. Passiamo oltre :dalla formazione diffusa e generalizzata sui programmi del 1985 cerchiamo di salvare e conservare la forte sollecitazione culturale che ne abbiamo ricevuto. Da quel testo abbiamo ricavato la spinta ad una alfabetizzazione culturale di alto livello. Da allora possiamo parlare di diritto alla cultura, non più solo di diritto allo studio. Il maestro tuttologo, che inutilmente il ministro Gelmini ha cercato di resuscitare, dimostrando un bassissimo livello di stima del corpo docente della scuola elementare, non abita più qui. L’impianto epistemologico delle discipline ormai è parte integrante della formazione : il problema è non usarlo per secondarizzare la scuola elementare ma per cogliere il “senso” dei quadri concettuali dei vari saperi che se non sono più divisi in ambiti si raccomanda però che abbiano confini molto fluidi. Un esempio per tutti può essere la cosiddetta geostoria, ma non solo. Non è certamente il maestro unico che garantisce l’unità dei saperi! La secondarizzazione scaturisce non solo da una distribuzione frantumata dei tempi ma da una mente dei docenti che non si interroga sulle idee strutturali delle discipline - che ne fanno i muri portanti - e che stimolano l’interconnessione tra i saperi. La consapevolezza per cui un contenuto disciplinare può essere foriero di significati importanti e trasversali dovrebbe essere la motivazione per metterlo in agenda. Già Bruner affermava l’importanza dei saperi che ti permettevano “di andare oltre l’informazione data” Allora il tempo che si dedica all’integrazione di questi elementi chiamati quadri concettuali non sarà mai troppo. L’aspetto fondante è sempre dato dalla consapevolezza per cui è essenziale che gli alunni vengano abituati , attraverso una didattica “del fare” a trarre schemi di mobilitazione per più situazioni di problem solving. Perché è da questo impianto che si costruiscono le competenze : “provando a fare ciò che ancora non si sa fare” (Perrenoud) Per provare “tutti” a fare ciò che ancora non si sa fare (cfr.apprendistato cognitivo) è certo che ci vuole molto tempo, ma soprattutto ci vuole “l’elaborazione del lutto del programma”. Dalla legge di riforma modulare cosa abbiamo imparato? O cosa avremmo dovuto imparare? Il confronto su punti di vista diversi. Su questa problematica anche i docenti del tempo pieno hanno avuto qualcosa da apprendere. Sì, perché lavorare in coppia non è come lavorare in team. Il team infatti presume almeno il numero di tre, e noi sappiamo come sia pericoloso il triangolo….Presuppone però una competenza relazionale più complessa e matura. In coppia si può a volte aver la percezione di lavorare in modo ottimale ma senza aver mai bisogno di mediare :la coppia potrebbe anche reggersi su un accordo molto collusivo e simbiotico. Farsi reciprocamente da specchio confermante è molto rassicurante ma non fa crescere. Il team invece ha permesso la circolazione del disaccordo e quando , da parte dei direttori didattici, è stata promossa adeguatamente una formazione al “gruppo come strumento di lavoro” , dal disaccordo sono scaturiti la riflessività, il confronto vero e la crescita. So benissimo che non sempre è successo e che i conflitti sterili e ripetitivi a volte hanno avvelenato la vita di classe dei docenti ma in complesso possiamo dire che vent’ anni di scuola modulare hanno fatto aumentare la professionalità di quasi tutti i docenti italiani che si sono ritrovati a gestire questo tipo di organizzazione che, per fortuna, non è ancora soppiantato del tutto. Infine, ma dovremmo dire all’inizio, dal tempo pieno abbiamo imparato la bellezza del tempo disteso, della possibilità di concederci la produttività della didattica laboratoriale “diffusa”, vale a dire non confinata in alcune ore del giorno, come in genere si intende. Una didattica che parte dall’esperienza - che poi passa alla co-costruzione della conoscenza che via-via si sta realizzando insieme - anche attraverso una prima raffigurazione grafica che riproduca l’esperienza, per poi venire colta nel suo significato culturale dal linguaggio comune orale o scritto (rispettivamente rappresentazione attiva, iconica, simbolica di bruneriana memoria ) Il tutto, nei migliori esempi, attraverso una didattica cooperativa , magari affidata alle tecniche di Freinet. Un po’ alla volta sto rispondendo alle domande di Niccoli. Veniamo allora ai giorni nostri. Per non dilungarmi troppo, tornando al problema del tempo e alla finalità di questo contributo (convegno ad ottobre organizzato da scuolaoggi e sindacati confederali), io raccomanderei ai docenti della scuola elementare : -“Non fatevi scippare le 2 ore settimanali di programmazione!” Per non farvele scippare dovete riempirle di contenuti preziosi. Prendendo lo spunto ancora una volta dalle nuove “Indicazioni” bisogna diventare consapevoli che queste due ore sono fondamentali per realizzare delle piccole “comunità di pratica”- di più team, di varie tipologie di aggregazione - per costruire nel proprio Istituto la “comunità professionale”. Il concetto di comunità deriva dall’approccio teorico socioculturale di Vygotskij per cui l’apprendimento è sempre un processo sociale ed interattivo, per bambini ma anche per adulti. La comunità allora viene considerata un contesto ricco di risorse multiple e dislocate che vengono messe a disposizione di tutti. All’interno delle comunità di pratica le azioni socialmente orientate sono: la consultazione reciproca, la richiesta di aiuto, lo scambio di informazioni e di saperi, il porre questioni, l’avanzare domande, la discussione. In questo nodo tutti imparano da tutti ed insegnano a tutti. Sia i novizi che i docenti esperti. Al giorno d’oggi, in cui la scuola elementare farà parte, nella quasi totalità dei casi, di un Istituto Comprensivo, naturalmente le comunità di pratica dovranno essere avviate e consolidate a maggior ragione. Con l’avvertenza di costituire gruppi verticali. |