Sostegno: area unica o no?
di Paolo Fasce
Pavone Risorse,
17.8.2012
Una delle tante piccole guerre che si combattono nell'ambito del
mondo del precariato scolastico coinvolge gli insegnanti di sostegno
nella scuola secondaria di secondo grado. Da un lato c'è chi
sostiene che occorrerebbe abolire le aree, dall'altro c'è chi
vorrebbe conservarle. Appare piuttosto evidente il fatto che i
sostenitori dell'una o dell'altra ipotesi, quasi sempre prediligano
quella a loro più favorevole.
Oggi la situazione è questa: nella scuola secondaria di secondo
grado esistono quattro aree. Scientifica (AD01), umanistica (AD02),
tecnica (AD03) e psicomotoria (AD04). Nella scuola secondaria di
primo grado è invece già presente l'area unica (AD00), così come
accade nella primaria.
Entrambe le fazioni hanno buoni argomenti da proporre che, prima di
indicare una possibile soluzione, provo ad elencare.
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È vero che nella scuola secondaria di primo grado l'area unica
ha di fatto consentito l'accesso all'insegnamento ad abilitati
su classi di concorso sature che, di conseguenza, hanno trovato
sbocco lavorativo sul sostegno, non avendo prospettive sulla
materia. Ne consegue il fatto che sia immaginabile una
prospettiva simile anche nel caso di Area Unica nella scuola
secondaria di secondo grado. [Nota: sarebbe utile, e
trasparente, che il MIUR pubblicasse i dati su scala nazionale,
regionale e provinciale delle classi di concorso nelle cinque
aree della secondaria per poter promuovere riflessioni e
considerazioni che si basino su documentazione certa e non solo
su percezioni] |
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È vero che lo stesso fenomeno si registra nelle aree della
secondaria di secondo grado dove, in ciascuna di queste, gli
insegnanti abilitati in classi di concorso che hanno sbocchi,
più facilmente degli altri passano alla materia. |
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È vero che la scelta delle aree disciplinari nella secondaria di
secondo grado è delegata ai dirigenti scolastici che possono
privilegiare l'una o l'altra in funzione di simpatie e non di
esigenze didattiche (sarebbe davvero più opportuno delegare tale
funzione a personale più tecnicamente preparato: ad esempio il
GLH dove il Dirigente Scolastico è una parte importante, ma non
unica |
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È vero che, anche nella secondaria di secondo grado, soprattutto
quando si seguono alunni con gravi limiti cognitivi, il ruolo
dell'insegnante di sostegno si avvicina di molto a quello
dell'educatore e la provenienza culturale dell'insegnante è
sostanzialmente indifferente. |
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È vero che le aree non esauriscono le problematiche disciplinari
essendo comunque eterogenee, in particolare l'area tecnica
(AD03) nella quale si collocano. A titolo di esempio, sia i
giuristi che gli informatici. Invero tutte manifestano questo
problema, si pensi ad un filosofo che supporti alunni
nell'apprendimento del latino o dell'inglese, e viceversa. Si
pensi ad un biologo che abbia a che fare con logaritmi o ad un
matematico che si cimenti coi segreti della cellula. L'unica
omogenea è quella psicomotoria alla quale si tende ad attingere
al fine di gestire i casi “gravi”. |
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È vero che genitori di alunni disabili hanno vinto ricorsi
giuridici vedendosi assegnare un insegnante di greco, piuttosto
che uno di educazione fisica, per il proprio figlio, alunno di
un liceo classico. |
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È vero che è importante, nel lavoro di inclusione in classe,
un'autorevolezza percepita dagli alunni di insegnanti di
sostegno che possono conquistarla anche grazie alle competenze
disciplinari specifiche sulle materie che li vedono compresenti
durante le lezioni. |
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È vero che spesso l'insegnante di sostegno, a prescindere dalle
proprie capacità, vive di luce riflessa ed è percepito essere
autorevole tanto quanto i colleghi compresenti sono capaci di
valorizzarne la presenza, al di là dei vincoli giuridici che
assicurano la contitolarità. |
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È vero che, nonostante il fatto che gli insegnanti di sostegno
abbiano un titolo in più, sono spesso percepiti dagli alunni e
dai colleghi come “insegnanti di serie B”, complice anche
l'identico stipendio a disparità di titoli di accesso, e le
mansioni a loro delegate, non sempre compatibili con la
normativa vigente. Pur tuttavia eventuali ritocchi stipendiali
avrebbero gravi conseguenze quali la delega dell'inclusione al
solo insegnante di sostegno. |
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È vero che l'autorità percepita e le capacità dell'insegnante di
sostegno non discendono solo dalle sue competenze disciplinari,
ma anche e soprattutto da quelle relazionali che riescono ad
instaurare coi colleghi in primis, nel lavoro di supporto alla
didattica inclusiva. |
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È vero che insegnanti inseriti nella scuola da più tempo hanno
maggiore radicamento e possono attingere a maggiori risorse
ambientali anche sul piano dell'integrazione. |
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É vero che, nel mondo reale, le persone che accettano di
lavorare in funzione di quello che è disponibile su piazza
vengono reputate meritevoli in quanto duttili e capaci di
adattarsi alle condizioni date, mentre quelle che si
irrigidiscono su obiettivi legati al titolo di studio rifiutando
ogni altra ipotesi che si presenti, facilmente sono collocabili
nell'insieme dei “bamboccioni”. Nell'ambito del sostegno, vale
invece una cosa diversa: chi si adatta è ritenuto un
profittatore e non un professionista. |
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È vero che le famiglie non sono interessate a docenti di
sostegno con la “vocazione”, ma ad insegnati di sostegno
“professionalizzati” e capaci di partecipare attivamente alla
realizzazione di un Progetto di Vita che vede la scuola come
tappa fondamentale che, sostanzialmente, prepara al “dopo-la-scuola”. |
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È vero che non c'è alcuna valutazione del lavoro degli
insegnanti di sostegno, nessuna rilevazione di soddisfazione,
nessun ri-orientamento nel caso di inadeguatezza, nessun
sostegno alla professionalità nel caso di debolezze riparabili e
l'obbligo di lavorare sul sostegno per il 100% del proprio
lavoro ha per conseguenza la fuga verso la materia, mancando
alternative intermedie. |
Tutto questo considerato è vero, ma parte da una logica che occorre
sovvertire. La logica sindacale che è di certo molto importante, ma
deve soccombere di fronte al diritto dell'alunno disabile ad avere
la migliore risorsa possibile che non trasformi il sostegno in “mera
adesione formale alla normativa”.
Le possibili soluzioni ai problemi che i contendenti si rinfacciano
reciprocamente, nella limitatezza della fantasia che sono stato
capace di coltivare, mi pare siano sostanzialmente legate alla
rivoluzione copernicana che, invece di partire dalle graduatorie e
dall'insegnante, parta dalle esigenze dell'alunno.
Un primo tentativo di affrontare la questione mi pare sia emerso
dallo studio della Fondazione Agnelli che, assieme ad Erickson, ha
fatto una proposta lo scorso anno che, tuttavia, mi pare sia troppo
poco dettagliata per essere presa in considerazione come punto di
partenza.
Penso sia utile esplicitare un'utopia che funga da punto di
riferimento verso il quale tendere, altrimenti ogni intervento sul
tema diventa un semplice aggiustamento, magari sensato localmente,
ma che può anche allontanare dal modello auspicato sul quale sarebbe
opportuno trovare un consenso generale.
Immagino una scuola nella quale tutti gli insegnanti siano
specializzati sul sostegno. Il modello funziona anche quando una
buona parte di questi lo siano. Immagino quindi un organico
d'Istituto che possa assolvere ai doveri della scuola con una certa
duttilità. Immaginiamo di dover gestire l'ingresso a scuola degli
alunni disabili Giovanni, Gennaro e Antonio, che si trovano nella
scuola Garibaldi. Il Gruppo di Lavoro H della scuola Garibaldi
esamina i fascicoli, si consulta con le famiglie e i servizi
sociosanitari e stabilisce quali docenti della scuola Garibaldi
siano i più indicati per Giovanni, Gennaro e Antonio alla luce del
fatto che questi saranno iscritti in 1A, 1B e 1C. È evidente che gli
insegnanti che lavoreranno sul sostegno nelle classi di Giovanni,
Gennario e Antonio, radicati nella scuola e professionisti
autorevoli, sarebbero parzialmente impegnati sul sostegno e
parzialmente sulla materia. In questo modo verrebbero percepiti
dagli alunni delle classi nelle quali si troveranno ad operare come
“insegnanti normali” e potrebbero costruire preziose sinergie tra
colleghi, abbattendo alcuni muri tra le discipline, a beneficio di
tutti. Immagino quindi uno scenario nel quale, se questo fosse
sensato per Giovanni, Gennaro e Antonio, l'insegnante di matematica
sia compresente come insegnante di sostegno con il collega di fisica
e viceversa, cosa che renderebbe possibili didattiche partecipative
e manutenzioni disciplinari al momento impensabili per la
schizofrenia immanente nella scuola secondaria nella quale
l'insegnante X non sa e non saprà mai cosa fa l'insegnante Y.
Laddove questo non fosse utile a Giovanni, Gennaro e Antonio, gli
insegnanti scelti lo saranno per altri criteri parimenti sensati e
orientati alla qualità dell'offerta formativa di Giovanni, Gennaro e
Antonio e dei loro compagni di classe.
In questo modello, mi pare che tutte le obiezioni portate dai
sostenitori dell'area unica, come quelli che l'avversano, siano
affrontate e superate perché non ci sarebbero più le aree, ma
docenti duttili e professionali, capaci di giocare diversi ruoli
quando richiesto.
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