Assunzioni bloccate per 10 anni Guerra tra poveri: sistemati gli aventi diritto, chiusa ogni possibilità per i giovani Michele Brambilla La Stampa, 10.9.2011 Quando, negli Anni Settanta, si temeva l’effetto esplosivo di una miscela fra crisi economica e terrorismo, i vecchi democristiani - che erano al governo e ne sapevano una più del diavolo - rassicuravano: «Tranquilli, finché mangiano tre volte al giorno, gli italiani non faranno mai la rivoluzione». Oggi forse i tre pasti quotidiani non li abbiamo ancora persi, ma cominciano guerre mai viste neppure negli Anni Settanta: guerre fra poveri, e soprattutto fra generazioni. Una di queste guerre è scoppiata ora nel mondo della scuola: da una parte i precari e dall’altra i disoccupati, o meglio i giovani in cerca di un primo impiego. In brutale sintesi il fatto è questo: il governo ha deciso di dare finalmente un posto fisso alle migliaia di precari che da anni popolano, tra proteste e rivendicazioni, il mondo della scuola. Benissimo. I precari sono contenti e i sindacati applaudono. Ma sono furenti i neolaureati o neolaureandi che vorrebbero diventare insegnanti: si vedono le porte sbarrate per chissà quanti anni perché la coperta è corta, e se si assumono i precari non c’è più spazio per nuove assunzioni. La protesta è partita dai giovani del Clds, che vuol dire Coordinamento liste per il diritto allo studio, e che poi vuol dire anche gli studenti di Comunione e Liberazione. Ma in un battibaleno l’onda è andata ben oltre il popolo ciellino. Sul sito www.appellogiovani. it c’è da mercoledì scorso una sorta di manifesto intitolato «L’Italia è un Paese per vecchi?», nel quale si suppplica un ripensamento da parte del governo. «Entro il prossimo mese di ottobre - è scritto nell’appello - il ministro Gelmini firmerà il decreto che avrà l’effetto di escludere per diversi anni le giovani generazioni dall’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado». In pochi giorni all’appello-denuncia hanno aderito diecimila persone, tra cui numerosi professori e rettori, ma anche direttori di giornali (Tarquinio di Avvenire e Cusenza del Mattino), scrittori (Eugenio Corti e Alessandro D’Avenia), attori, imprenditori, personalità da sempre legate a Cl come Giorgio Vittadini ma anche politici certamente non vicini a Cl come l’ex presidente della Camera Luciano Violante; e poi banchieri come Corrado Passera, e così via. I numeri in effetti non sembrano dare molte speranze a chi ha studiato, o sta studiando, per diventare insegnante: «Il fabbisogno nazionale previsto per i prossimi anni è pari a circa 230 mila insegnanti; il numero dei docenti abilitati e non ancora entrati in ruolo è di 230 mila», è spiegato in un documento del Clds. Siccome la matematica non è un’opinione neppure nella scuola di oggi, «gli accessi all’abilitazione saranno pressoché nulli fino a quando non verranno riassorbiti tutti i precari». «Per nuove abilitazioni e nuove assunzioni, insomma, ne parliamo fra dieci anni», ci spiega Francesco Magni, 24 anni, studente di giurisprudenza alla Statale di Milano e presidente nazionale del Clds. «A giugno - racconta - abbiamo visto le tabelle che stimano il fabbisogno di insegnanti, dalle elementari al liceo, per i prossimi tre anni. Facciamo l’esempio della Lombardia: a parte i precari che verranno immessi in ruolo, resteranno due posti per professori di storia dell’arte, zero per lettere, zero per greco e latino, sette per matematica». Ma a fronte delle ragioni degli universitari in fermento ci sono quelle dei precari: e sono ragioni forti di anni di attesa. Quest’anno diventeranno di ruolo 67 mila precari: 30 mila insegnanti e 37 mila bidelli. Altri sono in lista d’attesa, e che abbiano il diritto di avere finalmente un posto sicuro non è in discussione. «Non vogliamo togliere il pane di bocca ai precari - dice Magni - ma ci chiediamo se sia giusto precludere a un’intera generazione un intero settore del Paese. E se sia giusto che a pagare il conto di tanti errori del passato dobbiamo essere solo noi. Sappiamo che la nostra generazione avrà più difficoltà delle precedenti. Ma un conto è avere difficoltà, un altro e vedersi negata a priori la possibilità di giocarsela». Come finirà? I promotori dell’appello propongono di avere almeno la prospettiva dell’abilitazione all’insegnamento, per poi mettersi su un mercato che oltre ai diritti acquisiti difenda anche il merito. Dicono che se le cose non cambieranno a essere danneggiati non sarebbero solo loro, ma tutta la scuola, che finirebbe con l’avere presto un corpo insegnanti con un’età media superiore ai cinquant’anni. Per il momento in questa battaglia gli studenti-aspiranti-insegnanti sono soli. O meglio, hanno il sostegno dei molti che firmano l’appello: ma non quello della politica. La Gelmini ovviamente è furibonda, anche perché dai ciellini questo attacco non se l’aspettava; quanto ai «colleghi» studenti, quelli di destra stanno con il ministro, quelli di sinistra con i sindacati. Già, i sindacati. Ieri Massimo Di Menna, segretario generale della Uil scuola, ha detto al Giornale: «Abbiamo il dovere di non illudere i giovani». Giusto. Ma qualcuno avrà pur anche il dovere di dare loro una possibilità. |