Scuola precaria e senza merito di Andrea Ichino Il Sole 24 Ore, 13.9.2011 La scuola forma il capitale umano di un Paese, ossia uno dei motori della crescita a cui i mercati finanziari guardano con attenzione. Gli italiani e il loro Governo non sembrano invece farci caso, nemmeno in questo periodo in cui sarebbe importante mandare segnali rassicuranti a chi ha prestato risorse al Paese e teme di non riaverle indietro. È passata quasi inosservata la decisione estiva del Governo, in continuità con quelli precedenti, di stabilizzare 30mila insegnanti precari (e 37mila Ata, ossia bidelli e assistenti amministrativi) senza alcuna selezione volta a verificare la loro effettiva capacità d'insegnare (o pulire e gestire le scuole) e solo sulla base della loro posizione nelle cosiddette "graduatorie a esaurimento", determinate soprattutto dall'anzianità e non dal merito. Da circa dieci anni, la scuola italiana non cerca più di assumere i migliori neolaureati, ma pesca in queste graduatorie coloro che, dopo aver ottenuto un'abilitazione anche in tempi remoti e nei modi più strani, hanno preferito sottoporsi a una lunga gavetta in attesa di un mal pagato posto fisso, piuttosto che tentare altre strade professionali. Tutta la comprensione per chi viene sfruttato dai provveditorati per tappare buchi in cambio d'incaute promesse d'assunzione a vita che nessuno si sente poi di smentire quando la pressione dei precari monta. Ma continuando in questo modo, non può che aumentare nel nostro Paese il numero di coloro che scelgono l'insegnamento solo per ripiego e mancanza di alternative. Ci saranno ancora, per fortuna, dei santi e dei missionari attratti da questo mestiere per bravura e passione, ma saranno sempre meno. Mettiamoci nei panni di un brillante neolaureato in fisica. Ci sottoporremmo alla trafila necessaria per andare a insegnare oggi come precari in un liceo? Molto probabilmente no, a meno di essere ispirati da un'eccezionale volontà. Mettiamoci invece nei panni di un mediocre laureato senza prospettive: la ragionevole certezza di essere prima o poi stabilizzati in un lavoro che si può anche fare male senza essere licenziati e che paga uno stipendio per poche ore obbligatorie di prestazione diventa una prospettiva molto appetibile. Dagli anni 70 è stata abolita perfino la possibilità per i presidi di esprimere un'innocua nota caratteristica annuale sul merito dei docenti, nota che dovrebbe essere reintrodotta, anche solo come segnale, sia per i docenti che per i dirigenti e via via in su nella gerarchia fino al ministro! Per i molti insegnanti che fanno bene il loro mestiere, lo stipendio è talmente irrisorio da suonare quasi come un insulto. Ma nella scuola ci sono anche insegnanti che fanno poco o nulla per meritarsi lo stipendio che ricevono, per quanto basso. Chiedete a un preside qual è la sua preoccupazione in questi giorni in cui si formano le sezioni prima dell'inizio dell'anno scolastico. Come coloro che con fantasia creano nuovi strumenti finanziari mischiandone di buoni e cattivi, così il dirigente deve sistemare gli insegnanti peggiori in modo che facciano meno danni possibili, affiancandoli ai docenti bravi per creare un mix di "toxic" e "safe teachers" che non provochi troppe proteste tra le famiglie e gli studenti.
Anche per la scuola ci vorrebbe una seria agenzia di rating che
smascherasse e rimuovesse gli insegnanti "toxic", ma il corpo
docente, guidato dai suoi sindacati, si chiude spesso come un riccio
per difendere anche chi è indifendibile. E così, solo le famiglie
abbienti e informate riusciranno a mandare i loro rampolli nelle
sezioni "buone". Oggi la scuola ha bisogno di attrarre i migliori laureati alla carriera d'insegnante, e per farlo è necessario interrompere il circolo vizioso del precariato seguito dalle stabilizzazioni senza selezione. C'è un unico modo credibile per farlo: abolire i concorsi pubblici nazionali e dare autonomia alle scuole che devono essere libere di assumere gli insegnanti preferiti, pagandoli quanto meritano, e di mandare via quelli di cui non hanno bisogno o che non sanno fare il loro mestiere. Lo Stato dovrà solo valutare le scuole (e i loro dirigenti) finanziando quelle che avranno saputo sfruttare bene questo margine di autonomia. E lo faranno anche i cittadini, scegliendo per i loro figli proprio queste scuole. Se i sindacati pensano che questo sia iniquo per i lavoratori, abbiano il coraggio di spiegarlo agli studenti delle famiglie meno abbienti. I ricchi, lo sappiamo, una soluzione la trovano sempre: sono i poveri a pagare il costo di un insegnante che non sa fare il suo mestiere.
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