LEZIONI AL VIA DOMANI IN AULA La scuola dei tagli a rischio "implosione"
La cura Tremonti-Gelmini, l'esercito di precari
in attesa di un posto, Michele Brambilla La Stampa, 11.9.2011 Domani le insegnanti della scuola elementare Aristide Gabelli di Torino riceveranno un testo di Roberto Benigni. S'intitola «Amare il proprio lavoro». è il regalo di primo giorno di scuola della loro direttrice, Nunzia Del Vento, che spiega: «L'ho scelto perché noi insegnanti possiamo continuare solo se c'è quello: l'amore per il nostro lavoro. Non ci rimane altro».
L'anno scolastico che sta per partire è il primo dopo la serie di
cure - qualcuna da cavallo - somministrate da almeno tre ministri -
Moratti, Fioroni e Gelmini - con l'ausilio di uno specialista, il
dottor Tremonti. Tagli e ristrutturazioni: tutto per far quadrare i
conti che non tornano. «La cura è finita e la scuola è depressa»,
dice Nunzia Del Vento, che oltre che dirigere la Gabelli e altre tre
scuole è vicepresidente dell'Asapi, l'associazione delle scuole
autonome della sua regione. «In Piemonte», dice tanto per fare un
esempio, «mancano 182 dirigenti su 650 scuole». è l'effetto della
manovra economica di luglio: sono stati decisi gli accorpamenti di
molte scuole, così parecchi direttori o presidi ne avranno più di
una da gestire.
Se ci mettiamo a spiegare nel dettaglio provvedimenti e interventi
delle varie riforme che ora arrivano tutte a regime, non ne usciamo
più. Troppo complicato: roba da specialisti. La sintesi è che molto
è stato tagliato, per cui per forza di cose il «prodotto» offerto
dalla scuola non può essere migliorato. Anzi. «Lei mi chiede quali
sono i motivi di sofferenza che ci si presentano quest'anno?», dice
il professor Roberto Pellegatta, presidente nazionale DiSal
(dirigenti scuole autonome e libere). «Ma il suo giornale non
basterebbe a contenerli tutti!». E comincia il cahiers de doléances:
«I tagli sono stati fatti in modo indiscriminato: come se un
giardiniere tagliasse tutto alla stessa altezza, senza tenere conto
che oltre all'erba ci sono le rose e i gerani. Hanno ridotto le ore
di lezione. Hanno aumentato il numero di alunni per classe per
ridurre il numero delle classi. Hanno ridotto il numero dei
dirigenti: un terzo delle scuole italiane non avrà un preside a
tempo pieno. Tutto questo cambierà le relazioni interne alle scuole,
che da comunità educative diventeranno apparati burocratici. La
didattica ne risentirà».
Eppure questo è l'anno in cui il ministero ha cominciato davvero a
mettere a posto i precari, trasformandoli in insegnanti di ruolo.
«Sì - dice Pellegatta - ma il numero dei messi in regola corrisponde
a quello di coloro che sono andati in pensione, anzi il saldo del
turn over è negativo. In Italia 137.000 cattedre restano coperte da
precari. Vuole un esempio concreto? Io sono preside di un istituto
professionale, il Meroni di Lissone: su 102 insegnanti, 42 sono
supplenti. è come se un'azienda cambiasse ogni anno un terzo del suo
personale. Che qualità potrebbe garantire un'azienda del genere?».
Il Berchet è uno dei due (l'altro è il Parini) licei classici più
noti di Milano. «La triste verità - dice il preside, Innocente
Pessina - è che tutti gli interventi fatti in questi ultimi anni
sulla scuola hanno avuto una sola finalità: tagliare i costi.
Nessuna decisione è stata presa per una preoccupazione pedagogica».
Taglia di qua e taglia di là, la scuola statale sta sempre più
diventando, secondo il professor Pessina, come una scuola privata:
«Nel senso che se lo studente vuole un servizio, deve pagarlo. Prima
ad esempio avevamo una psicologa, e le assicuro che gli studenti che
hanno bisogno di un'assistenza di quel tipo sono tantissimi: bene,
adesso la psicologa ce la dobbiamo pagare. Dobbiamo chiedere agli
studenti contributi per servizi che un tempo riuscivamo a far
rientrare nel budget: come il gruppo teatrale. E ormai dobbiamo
chiedere un contributo volontario - 125 euro all'anno - anche per
coprire i costi di gestione ordinaria». E beato lui che se lo può
permettere perché sta in centro a Milano, pensa Nunzia Del Vento. La
sua scuola Aristide Gabelli è a Barriera Milano, uno dei quartieri
più difficili di Torino, da sempre popolato da immigrati: prima
quelli che venivano dalle campagne, poi quelli del Veneto, poi
quelli del Mezzogiorno. Adesso arrivano da tutto il mondo. «Io certo
non possono chiedere 125 euro all'anno di contributo volontario. Due
anni fa ne chiesi 13 e quasi mi crocifiggevano, metà delle famiglie
non pagò, e ora non chiedo più niente».
Le varie riforme, dice, hanno acuito il divario tra zone ricche e
zone povere. «Io per fare il tempo pieno avrei bisogno di 60
insegnanti, e ne ho 58: sembra una piccola differenza, ma due in
meno fanno saltare tutto. Tre anni fa avevo 108 insegnanti nei miei
quattro plessi, ora ne ho cento. Stanno saltando i modelli
pedagogici, presto le famiglie avvertiranno il calo del servizio».
Enzo Pappalettera è il responsabile della scuola per la Cisl
piemontese. Prevede una grossa delusione da parte dei lavoratori
della scuola: «C'è l'idea, sbagliata, che la situazione si sia ormai
assestata perché i tagli sono finiti. Ma ci si accorgerà presto che
l'effetto delle "cure" degli anni scorsi si sta allargando a tutte
le classi. Ad esempio, alle elementari non ci sono più i numeri per
fare come prima né il tempo pieno né il tempo normale. Prima c'era
un insegnante per le materie letterarie, uno per quelle scientifiche
e uno per quelle artistiche. Adesso quasi tutti devono fare quasi
tutto, e si perde qualità dell'insegnamento». Molte scuole dovranno
accorparsi perché per mantenere l'autonomia (che vuol dire: avere un
preside e un bilancio proprio) dovranno diventare istituti
comprensivi di medie e di elementari, e avere almeno mille studenti.
«Sarà come comporre un puzzle - dice Pappalettera -, molte scuole
per accorparsi dovranno prima smembrarsi. Insomma partirà un taglia
e cuci che provocherà un caos pazzesco. E ci sono solo quattro mesi
di tempo per fare tutti gli accorpamenti». Sarà un anno di grandi proteste? Un nuovo Sessantotto? «Temo che più che una ribellione ci sarà un'implosione», dice Pessina, il preside del Berchet di Milano. Eppure, tagliare bisognava. La scuola era diventata, come si dice spesso, un ammortizzatore sociale. «Sì, gli sprechi c'erano - dice Pessina -, ma non sono stati tagliati gli sprechi, sono stati tagliati i servizi. Ed è un grave errore di prospettiva, perché la scuola non può essere considerata solo un capitolo di spesa». Dice che la scuola è invece il miglior investimento per il futuro di un Paese, e lo dicono un po' tutti, ma sembra che non ci creda più nessuno. |