inchiesta
"Il valore delle lezioni fuori dall'aula"
Molte scuole, per favorire la socializzazione
dei loro studenti, puntano su attività ricreative che favoriscono la
riscoperta del "piacere di stare insieme"
Marco Rossi Doria La Stampa,
26.9.2011
Se parli con docenti e dirigenti prima o poi viene avanti la
questione che si ripete per ogni generazione: «i ragazzi di oggi
sono diversi». Quando si evitano saggiamente gli stereotipi e si
entra nell’argomento, si riesce a definire questa loro diversità: si
fa fatica a fare lezione come una volta perché questi ragazzini sono
qui per stare insieme e si devono conquistare all’attenzione e al
lavoro senza poter contare sulle regole che non hanno sedimentato
dentro. Atteso che ogni ragazzino è diverso, è evidente che vi è un
indebolimento di regolazioni interne, di «quella roba che
strutturava il super-io» - come ama dire un amico docente. Sono,
poi, quasi assenti, nell’esperienza dei bambini, i luoghi dedicati
alla socializzazione: cortili, paese, campagna, quartiere. Posti
dove si gioca e si scopre il mondo lontano dagli adulti e si
costruiscono comportamenti tra pari basati sul merito e la
reciprocità e dove si fa, ben prima che a scuola, l’esperienza del
piacere di stare insieme. Ma cosa stanno facendo tante scuole in
risposta alla nuova scena educativa? Lo chiedo al prof. Gustavo
Piteropolli Charmet, che è un’autorità sui modelli educativi e sulle
nuove fragilità durante la crescita e lavora da anni con le scuole.
«Tra gli indirizzi educativi che tante scuole stanno sperimentando
ne elenco tre. Accogliere il bisogno di socializzazione e lavorare a
una sua evoluzione costruttiva. Presiedere il limite con costanza e
pacatezza, ma parlandone con i ragazzi e mettendo la questione delle
regole in diretta relazione con avventure di apprendimento anche
impegnative, da fare insieme. Dedicare spazi e tempi per ragionare e
pattuire con i genitori il cosa e come fare, ognuno per la sua
competenza ma d'accordo».
Qui Trentino
Andrea Schelfi è dirigente dell’Istituto professionale provinciale
Pertini di Trento, 600 alunni che perseguono la qualifica di
falegname o quella di parrucchiere o estetista. Insieme ad altri 7
istituti professionali del Trentino ha dato vita al progetto Campus:
molte attività socializzanti dallo sport alla musica al teatro,
patti con le famiglie, tutor per ogni ragazzo il primo anno, nuove
misure contenitive, capaci di ricostruire dialogo e consapevolezza.
«Questi ragazzi spesso sono troppo soli e troppo protetti. Altre
volte conoscono realtà difficili. La prima regola è differenziare
gli interventi, guardare alla persona. I consigli di classe sono la
cellula che fa funzionare la relazione educativa e l’apprendimento.
Di fronte alle nuove fragilità c’è da lavorare sul gruppo docente,
scommettendo sulla sua capacità di coniugare attenzione
all’apprendimento e attenzione alla crescita. Non è facile. Ma un
gruppo adulto coeso e che riflette aiuta a costruire un gruppo di
ragazzi, una classe che sa ugualmente lavorare insieme. Intorno a
obiettivi, a sfide formative chiaramente definite. Poi c’è il limite
da mantenere. Non esiste accoglienza senza limite. E noi stiamo
imparando che, di fronte alle distruttività ma anche ai silenzi ci
vuole uno spazio-tempo dedicato. Dove fermarsi, riparare, ricevere
attenzione per poi ripartire. La sospensione e la nota da soli non
consentono questo. Dobbiamo favorire cambiamenti, puntare sulle
trasformazioni dei gruppi e dei singoli adolescenti».
Qui Calabria
Dall’altro capo dell’Italia e in tutt’altro tipo di scuola Saverio
Pazzano non dice cose dissimili. Docente di Italiano, Greco e Latino
nel liceo classico paritario San Vincenzo di Reggio Calabria, è
educatore e formatore nazionale scout. «Il patto con le famiglie
esiste da noi come in tante scuole pubbliche. Noi lo sottolineiamo
come un prendere un impegno. Come nelle amicizie tra persone
diverse, di età diverse. Nello scoutismo come nella vita si impara
che l’amicizia è esigente». Gli dico che molte scuole hanno
ricominciato a chiedere. E funziona. «Noi chiediamo ai ragazzi di
fare volontariato e uscire dal loro mondo protetto. Andiamo insieme
nelle mense per poveri. Si creano impegni e soprattutto relazioni,
ci si interroga. Andiamo poi a Napoli, quartiere Sanità. E lì
tengono un doposcuola per periodi estivi. E questo apprendere si
riversa anche sull’apprendimento disciplinare, non è un’altra cosa.
Anzi, gli ridà senso».
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