Studiare fuori sede, un salasso legalizzato L'indagine del Movimento Consumatori rivela che mantenere un figlio in un ateneo in un'altra città può costare oltre 11mila euro l'anno, il 34% del reddito medio di una famiglia. E buona parte degli affitti restano in nero di Alessio Pisanò Il Fatto Quotidiano, 25.10.2011 Per studiare in un ateneo in un’altra città ci vuole impegno, volontà e tantissimi soldi. E’ questo il risultato di un’indagine del Movimento Consumatori sui costi che deve affrontare uno studente fuori sede. In cima alla classifica troviamo Roma e Milano, dove mantenere un figlio all’università può costare anche oltre 11mila euro l’anno. Ovviamente questo considerando le strutture pubbliche (circa 1000 euro l’anno di tasse), con l’iscrizione ai grandi istituti privati, la cifra può anche triplicare. 11.400 per una camera singola a Roma (tasse, libri e utenze incluse), 10.980 euro a Milano, 10.800 a Venezia, 10.200 a Torino. I prezzi scendono un po’ se si va in doppia (7.620 a Roma, 8.360 a Milano, 7.100 a Venezia, 7.500 a Torino), ma mantenere un figlio all’università in un’altra città resta un salasso. La spesa più grossa, manco a dirlo, è rappresentata dall’affitto. Stanze in coabitazione, a volte veri e propri tuguri in edifici fatiscenti affittati a peso d’oro. Una media di 310 euro (senza spese) al mese a Roma, 370 a Milano, 260 a Venezia, e bisogna essere fortunati. A tutto questo vanno aggiunti i prezzi dei libri, stimati dal Movimento Consumatori in circa 500 euro annui negli atenei pubblici. E poi bisogna pur mangiare qualcosa. Ecco altri 2400 euro annui di vitto, una stima al ribasso visto che dividendo questa cifra per 10 mesi (togliamone 2 l’anno dove magari si torna a casa) fanno appena 8 euro al giorno, perfetti per mantenere il peso forma. La ricerca del Movimento Consumatori è stata effettuata partendo dal prezzo degli alloggi in diverse città sedi di università molto frequentate in Italia. Per ogni città è stata fatta la media tra il costo più basso e quello più alto relativo all’affitto mensile di un posto letto in camera doppia e di una camera singola. I prezzi degli alloggi sono comprensivi anche delle cosiddette “spese aggiuntive” (condominio e utenze). Ma quanto incide sul bilancio familiare un figlio che studia fuori sede? Se si prende come esempio Milano (in cui un posto letto in camera doppia costa 372 euro al mese e una camera ad uso privato ne costa 590) si calcola che un nucleo familiare con reddito medio di 32.148 euro annui (dato Bankitalia riferito al biennio 2006-2008) può arrivare a pagare dagli 8.364 euro ai 10.980 euro all’anno. La percentuale di incidenza sul reddito familiare è da capogiro: dal 26 al 34% a Milano, dal 24% al 35% a Roma, dal 23% al 32% a Torino e dal 22% al 28% a Firenze. E tutto questo, ovviamente, per un figlio solo. “Lasciando i costi dello studio a carico delle famiglie, in difficoltà per la crisi che le colpisce da dieci anni a questa parte, l’abbandono universitario, già molto elevato e nocivo per la competitività del sistema Italia, è decisamente favorito e non combattuto”, attacca Lorenzo Miozzi, presidente del Movimento Consumatori. “Con i recenti tagli alle regioni si sono inoltre penalizzati gli enti per il diritto allo studio, tagliando così ulteriori servizi”. Insomma Miozzi non ha dubbi, “In Italia, sembra ormai un triste dato di fatto, investire nella ricerca e nella formazione interessa poco ai governi. Il risultato è che registriamo zero politiche di sostegno per chi studia e zero opportunità per i rinomati “cervelli” nostrani usciti con merito da università prestigiose, che spesso sono costretti ad emigrare all’estero”. Senza contare il fatto che buona parte di questi affitti sono pagati in nero, con migliaia di studenti alla merce dei capricci dei padroni di casa e senza uno straccio di tutela legale. Un blitz della Guardia di Finanza di Padova a fine settembre ha portato al recupero di 2 milioni e 24mila euro di imposte di registro solo nella città veneta, sede di una delle università più antiche d’Italia. “Ogni 100 verifiche nel settore delle locazioni, 80 si concludono con esito positivo”, ha riferito la GdF padovana. Un passo avanti contro questo fenomeno lo si è fatto con l’approvazione del decreto legislativo 23/2011 che obbliga i proprietari che non hanno regolarizzato i propri inquilini a sottoscrivere un regolare contratto di locazione di 4+4 anni ad un canone mensile anche 10 volte più basso di quello attuale. Si tratta della cosiddetta “cedolare secca” che dava ai padroni di casa tempo fino al 6 giugno scorso per registrare il contratto d’affitto. Adesso si aspettano le denunce. Tuttavia regolarizzare i contratti di affitto darebbe più tutela agli inquilini e aumenterebbe le entrate nelle casse del Fisco, ma difficilmente diminuirebbe il costo degli affitti stessi, a meno che non si punti tutto sulla denuncia del proprio proprietario e sul relativo contratto scontato. Ma allora quel è la soluzione? Difficile a dirsi, per il momento non resta che aprire il portafogli. “Purtroppo in Italia investire nella ricerca e nella formazione interessa poco ai governi. Il risultato è che registriamo zero politiche di sostegno per chi studia” sintetizza Miozzi. |