SCUOLA
Gli accorpamenti? intervista a Lucrezia Stellacci il Sussidiario 31.10.2011 Riusciranno le Regioni a fare il dimensionamento scolastico voluto dal governo? I tempi previsti dalla legge di stabilità (articolo 9 , legge 111/2011) sono stretti, ma ci sono novità. Infatti giovedì scorso, in Commissione cultura del Senato, è stato approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a rivedere le disposizioni relative alla dirigenza delle scuole con meno di 600 alunni, che si troverebbero ad essere guidate da un reggente invece che da un dirigente scolastico. L’Odg approvato inoltre impegna il Governo a fare ricorso ad un Fondo per ridurre il disservizio dovuto alla razionalizzazione che interverrebbe sui numeri delle scuole da accorpare e sui dirigenti interessati; questo dovrebbe anche aumentare i tempi dell’operazione, che fin da subito hanno rappresentato una delle incognite maggiori.
«Io sono d’accordo su
questa iniziativa assunta dal governo, anzi è perfino tardiva» dice
a Ilsussidiario.net Lucrezia Stellacci, direttore generale
dell’Ufficio scolastico regionale della Puglia. «Solo mi dispiace
che sia stata inserita in una manovra finanziaria, perché fare una
operazione del genere significa non solo risparmiare, ma dettare un
nuovo modello organizzativo. Ora, noi abbiamo una scuola primaria
che funziona, e questo è generalizzabile a tutto il territorio
nazionale; mentre la media è carente e non soddisfa le attese, in
particolare nella mia regione, che ha sempre fatto una scelta
contraria alla creazione di istituti comprensivi.
Sì. E ho sempre cercato
nelle conferenze di servizio dei dirigenti scolastici di muovere
tutte le loro resistenze a questo modello, che avrebbe potuto
aiutare la nostra Regione a ottenere risultati migliori.
Io posso parlare della
Puglia, dove una razionalizzazione seria non è mai stata fatta.
Furono fatti alcuni ritocchi in alcune delle province maggiori, come
Bari, Foggia o Taranto, ma accorpamenti effettivi non sono mai stati
fatti né si è mai guardato con favore al modello degli istituti
comprensivi. Fatta eccezione per Lecce, che avendo comuni molto
piccoli ha dovuto giocoforza rivolgersi a questo modello
organizzativo per salvaguardare l’autonomia delle istituzioni
scolastiche.
Questo è un elemento
che mi preoccupa. E’ il lato negativo di questo intervento, nel
quale è evidente la necessità di fare cassa. Auspico che questo
indicatore numerico abbia più un valore organizzativo che
prescrittivo, e la conferma ci è venuta dal Ministero, che per vie
formali ci ha comunicato che gli istituti di primo ciclo devono
essere ridotti di 200 autonomie scolastiche in tutta la Regione
Puglia. In altri termini: non è necessario che facciate scuole di
1.000 alunni, ce ne possono essere di 800 come di 1.300,
l’importante è che si abbia un taglio di scuole corrispondente al
numero previsto nel piano finanziario.
Non penso. Secondo me
il modello dei comprensivi può far bene alla scuola; certo è che se
ci si fissa sui numeri ponendo schemi rigidi (come la soglia di cui
parlavo poc’anzi) è facile a quel punto incorrere in operazioni
ragionieristiche che non possono portare buoni frutti per il livello
della formazione.
Il ruolo della
dirigenza è già cambiato con un regolamento qualche anno fa. Oggi i
dirigenti possono essere - secondo me inopportunamente - di ogni
grado di scuola, di circolo didattico, di scuola media come di
istituto superiore. Al che quasi tutti hanno chiesto di passare
all’istituto superiore, perché vi vedono una forma di promozione e
di gratificazione professionale. Resta il fatto che un dirigente
scolastico deve essere a capo di una istituzione scolastica
complessa. Può essere tale forse perché rimangono uguali e
diversificate le componenti della comunità, ma con 300 alunni in
verità non si può parlare di un vero ufficio dirigenziale.
Su questo non sono
molto d’accordo. Condivido la posizione del Ministero che lo si
possa fare solo in casi eccezionali - perché casi eccezionali ci
sono -, anche se le eccezioni sono molto pericolose in Italia,
perché tutti vogliono farvi parte. Però non penso che possa andar
bene, perché il primo ciclo ha molti elementi in comune, invece il
secondo ciclo è un’altra cosa, richiede un’altra mentalità: lo
sguardo è rivolto al mondo del lavoro e al territorio, mentre nel
primo ciclo sono altre le componenti che dovrebbero prevalere,
soprattutto nella didattica, inclusiva e orientativa. Nel secondo
grado questi giochi ormai sono stati fatti. O almeno così dovrebbe
essere.
In base agli accorpamenti previsti
dovremmo tagliare circa 200 autonomie: mi auguro che questo taglio
possa non necessariamente essere concluso entro l’anno, ma che ci
sia un po’ più di tempo, diciamo due-tre anni. Vedrei molto
difficile fare un intervento serio entro i due mesi che ci restano.
Sì. Prendiamo la Puglia. Se
consideriamo l’ulteriore aggravamento relativo ai 600 alunni (la
modifica introdotta successivamente alla legge di luglio, che ha
elevato a 600 la soglia di 500 alunni inizialmente prevista per
accorpare, ndr): l’aumento di 100 farebbe raddoppiare le scuole
candidate alla reggenza: sulla base di 500 alunni avremmo 180
istituzioni scolastiche, ma sulla base di 600, 330 istituzioni
scolastiche senza dirigente. Non avere il Ds per una scuola
significa non esistere, essere soltanto un plesso e non una
istituzione scolastica autonoma.
Nel fatto che un dirigente che ha la
titolarità di un istituzione corposa di mille, 1.500 alunni in più
deve farsi carico di una scuola con 590 alunni, anche di un altro
grado di scuola. La prima manovra cercavamo di realizzarla nella
maniera meno dolorosa per la scuola, ma attuare quanto previsto dal
secondo intervento legislativo ci sembra veramente irrealizzabile.
Perché l’istituzione scuola rimane
sempre un presidio non solo di istruzione, ma di legalità in molti
comuni, è una sorta di ultimo baluardo, e quindi è difficile che sia
condiscendente ad essere limitata nel suo potere di gestione. Certo,
una discriminante che si farà sentire è dovuta al fatto, e lo
ripeto, che specialmente nelle Regioni del nord il lavoro di
razionalizzazione è già stato fatto con grande competenza e senso di
responsabilità, anche se forse gli ultimi interventi avrebbero
dovuto essere condivisi con le Regioni e non decisi autonomamente
dallo Stato. Diverso è il discorso per il sud. Penso che qui lo Stato debba essere più risoluto, perché altrimenti le regioni e gli enti locali non fanno - e non faranno in questo caso - proprio nulla. |