UNIVERSITA'
Atenei meno cari al Meridione
In Puglia la retta più bassa
Il divario tra Nord e Sud investe le tasse
universitarie, che a Parma toccano le stelle. L'associazione
Federconsumatori accende i riflettori sui costi dell’istruzione in
Italia. Un sistema in cui il figlio dell’operaio paga quanto quello
del gioielliere. E per studiare in Italia si spende di più rispetto
al resto d'Europa
Monica Rubino
la Repubblica, 3.10.2011
Laurearsi al Sud conviene. Al Meridione conquistare il fatidico
“pezzo di carta” è decisamente più economico rispetto al Nord, dove
diventare dottori può costare un patrimonio. A fare i conti in tasca
alle matricole è Federconsumatori, nel suo rapporto nazionale sugli
atenei italiani. Dallo studio (che prende in esame cinque fasce di
reddito-tipo) emerge un divario tra le due aree d’Italia: le
università del Nord sono più care, in media, del 28,3%. Distanza che
si fa ancora più evidente prendendo in considerazione l’ultima
fascia, quella per i redditi più alti: le università del Nord
risultano in questo caso più care del 68% rispetto a quelle del Sud,
di conseguenza non dover dichiarare il proprio reddito (rientrando
automaticamente nella fascia più alta) costa di meno al Sud.
TABELLE
Le più care.
L'università più cara (prendendo in considerazione la prima fascia)
è quella di Parma con una retta di 1005,87 euro annui per le facoltà
scientifiche e di 890,05 Euro per quelle umanistiche, pari al 103%
in più rispetto alla media nazionale. Al secondo posto si trova
invece l’Università degli studi di Verona (con una retta annuale di
613,18 euro per le facoltà umanistiche e 671,22 per le facoltà
scientifiche).
Le più economiche. La
palma per gli studi meno dispendiosi va invece all’Università “Aldo
Moro” di Bari, dove si applica un criterio di merito per calcolare
la retta dovuta. Se uno studente dichiara un reddito minimo, ma ha
una media bassa o è in ritardo con gli esami rispetto al piano di
studi previsti per il suo corso di laurea, dovrà pagare tasse
maggiori rispetto a un collega con lo stesso tenore di vita ma più
diligente. Al secondo posto tra le meno costose c'è l'Alma Mater di
Bologna, che per chi ha un Isee inferiore a 20mila euro applica
tasse inferiori del 35% rispetto alla media nazionale. Dato
interessante se si considera che l’ateneo bolognese è quello che
meglio si classifica nei ranking internazionali. Complessivamente,
rispetto al 2010, si registra una lieve diminuzione delle tasse
universitarie per la 1 e la 2 fascia di reddito considerata
(rispettivamente -1% e -4%), mentre i costi per gli studenti
appartenenti alla 4 e la 5 fascia aumentano, rispettivamente, del
+4% e del +10%.
Paradossi. Il dossier
fotografa la realtà delle famiglie italiane, in base alle
dichiarazioni del modello Isee. Risulta ad esempio che gioiellieri,
albergatori e macellai (nuclei di seconda fascia con un unico
reddito proveniente dal lavoro autonomo) pagano in media una tassa
di 515,82 euro annui, esattamente come la famiglia monoreddito di un
operaio non specializzato. "Anche qui, come in altri settori in cui
si utilizza come parametro l’Isee, i figli dei gioiellieri pagano
meno dei figli degli operai alla catena di montaggio", denuncia
Rosario Trefiletti, presidente Federconsumatori. "Questi dati -
continua - se affiancati a quelli della crescente evasione fiscale e
della diminuzione degli investimenti sulla pubblica istruzione,
fanno emergere un quadro drammatico: infatti si andrà sempre più
verso un aumento degli studenti che appartengono o dichiarano di
appartenere alle prime fasce, e quindi una diminuzione delle risorse
da distribuire agli studenti che realmente ne hanno bisogno".
Il confronto con gli altri Paesi.
Nel rapporto dell’OCSE “Education at a Glance 2010”
a pagina 244 troviamo un confronto tra le tasse universitarie di
diversi paesi. In particolare si legge che “Tra i paesi dell’Europa
a 19 per i quali i dati sono disponibili, solo l’Italia, l’Olanda,
il Portogallo e l’Inghilterra hanno tasse annuali al di sopra di
1100 dollari per studente a tempo pieno”. Tra le 14 nazioni
considerate nello studio (Italia, Austria, Francia, Belgio, Spagna,
Giappone, Finlandia, Islanda, Norvegia, Stati Uniti, Australia,
Nuova Zelanda, Olanda e Svezia) il nostro paese si colloca al sesto
posto come tasse universitarie, ma ultimo come percentuale di
studenti beneficiari di contributi per diritto allo studio. Inoltre
il fondo integrativo statale per le borse di studio è recentemente
passato da 246 a 76 milioni (-69%,) equivalente al taglio di 45.000
borse su 150.000 erogate (che già coprivano solo l'82.5% degli
aventi diritto). Dunque mentre le rette in Italia sono più alte di
quelle di altri paesi europei, gli studenti meno abbienti non
ricevono un aiuto rilevante a causa delle carenze strutturali di una
politica per il diritto allo studio.
L’università italiana è di buona
qualità. La ricerca italiana si colloca al settimo
posto al mondo per volume totale di citazioni. Anche considerando il
volume totale di pubblicazioni o "l’H-index" globale, l’Italia si
posiziona sempre tra le prime dieci posizioni. Questa situazione è
spesso chiamata “paradosso italiano", come la definisce
Marino Regini, prorettore dell'Università Statale di Milano
e autore del libro "Malata e denigrata. L'università italiana a
confronto con l'Europa". Nel suo studio Regini afferma:
"Considerando che l’investimento in ricerca e sviluppo, sia in
termini assoluti che come percentuale del PIL, è minore dei paesi
che ci precedono (Francia, Inghilterra oltre che Stati Uniti) si può
concludere che l’efficienza del sistema universitario e della
ricerca italiano è discreta". E conclude: "Il vero svantaggio delle
università italiane non risiede nella qualità della ricerca quanto
nella bassa internazionalizzazione dei loro studenti e docenti".