Da Presidi a dirigenti (a proposito del concorso per dirigenti scolastici) di Franco Buccino ScuolaOggi, 21.10.2011 Anche alcune migliaia di docenti della Campania hanno partecipato alla snervante prova preselettiva del concorso a dirigente scolastico: nella nostra regione e, molti, in altre regioni d’Italia. Le motivazioni che li spingono a partecipare sono parecchie e di diversa natura. Intanto per i docenti è l’unico sbocco di carriera, poi da presidi si guadagna di più, si svolge un ruolo di direzione, si occupa una posizione strategica per intervenire nei processi di riforma. Tutti validi motivi che rendono gli aspiranti determinati e insieme indifferenti a ogni polemica. E il concorso, per la verità, ancor prima di cominciare, è balzato agli onori della cronaca per fatti poco edificanti: i test della preselezione erano noti prima della pubblicazione, molti erano sbagliati o equivoci nella formulazione (per cui mille su cinquemila sono stati eliminati); il Ministero ha reso noto l’elenco degli autori dei quiz e si è scoperto che diversi di loro hanno preparato candidati al concorso. Assieme ai preparatori si arricchiscono, ormai è un destino dei concorsi a preside, gli uffici legali. Un numero incredibile di docenti, pur non avendo i requisiti previsti dal bando, fa domanda, viene escluso, ottiene la sospensiva del Tar e partecipa con riserva al concorso stesso. Quanti superano scritto e orale neanche arrivano a dimostrare le loro ragioni davanti al giudice che un comma di un decreto tipo “milleproroghe” sana la situazione, e passano di ruolo anch’essi. Presidi e direttori didattici hanno fatto una lunga battaglia, dagli anni Ottanta, per ottenere la dirigenza. Un po’ in nome della complessità del loro lavoro, delle responsabilità, del numero di persone che dirigono, e un po’ perché facevano il confronto tra loro e altri funzionari pubblici, che la dirigenza man mano l’ottenevano. Non ci sarebbero mai arrivati, e per il loro numero imponente e per la specificità dell’intero mondo della scuola, se non fosse che a metà degli anni Novanta ci fu una breve ma intensa stagione di riforme durante la quale la dirigenza scolastica si sposò con l’autonomia scolastica: autonomia didattica, organizzativa e finanziaria. Un binomio vincente: nel sistema delle autonomie l’autonomia delle scuole, tra le dirigenze pubbliche la dirigenza scolastica. Scolastica sta a significare che nel profilo competenze didattiche ed educative e quelle amministrative si fondono. Il destino dei dirigenti scolastici si è legato così al destino dell’autonomia delle scuole. Un destino infelice, fino ad oggi, infelice assai. Perché, cambiati i timbri e le targhe e migliorata la retribuzione rispetto ai docenti (non certo rispetto agli altri dirigenti pubblici), i dirigenti si son visti colpire le proprie scuole, per un interminabile periodo, da tagli di risorse e di personale, da pseudo riforme che ne hanno cambiato i connotati impoverendole e stravisando tanti modelli didattici faticosamente costruiti, hanno assistito a continue limitazioni dei diritti del personale. Siamo tornati a un governo centralistico del sistema scolastico attraverso il ministero e le direzioni regionali. Riducendosi enormemente gli spazi dell’autonomia, è venuto meno il terreno sul quale affermare e praticare la dirigenza. Una dirigenza rimasta incompiuta. Per questa dirigenza dimezzata, mentre la scuola autonoma agonizza, verrebbe voglia di dire che non è il caso di affannarsi tanto. E che i vincitori di concorso, ordinario o riservato, i recuperati a seguito di contenzioso, i beneficiari del fatidico comma del decreto milleproroghe, vanno bene allo stesso modo. Ma la presenza tra i candidati di tante persone giovani dentro e generose, che in questi anni bui attraverso la quotidiana pratica didattica non hanno abbassato la guardia a difesa degli studenti e dei loro diritti, di tanti docenti che mirano insieme al recupero del meglio messo inopinatamente da parte e al rinnovamento, tiene viva la speranza del cambiamento. |