SCUOLA

Perché da un docente malvestito
si impara meno?

di Luigi Ballerini il Sussidiario 30.11.2011

I professori sono i peggio vestiti del reame. Quantomeno di quello britannico. Lo rivela il Daily Mail presentando un sondaggio condotto in Gran Bretagna su duemila intervistati riguardo l’abbigliamento di diverse figure professionali. Il dato è eclatante: addirittura in mille hanno identificato gli insegnanti come i lavoratori dall’abbigliamento meno curato in assoluto. I diretti interessati, poi, a loro volta interrogati hanno candidamente ammesso nel 20% dei casi di indossare la stessa camicia o camicetta per tre giorni di fila. Questo il dato Oltremanica.

Ma come, con la crisi che c’è in giro e le difficoltà del mondo della scuola proprio di queste sciocchezze ci si deve occupare? - qualcuno potrebbe obiettare. Abbiamo ben altro cui pensare! Eppure la survey, più o meno discutibile nella sua conduzione e negli esiti, ha almeno il pregio di nascondere in sé e porre indirettamente sotto i riflettori una questione centrale per la scuola oggi: quella dell’appuntamento.

Ogni mattina, in ogni aula di ogni ordine e grado, a qualsiasi latitudine, si rinnova una straordinaria serie di appuntamenti. In fondo, i ragazzi e chi li accompagnerà nell’affascinante percorso di scoperta del reale e di apprendimento - inteso come facoltà di prendere ciò che viene offerto dentro l’idea di potersene fare qualcosa - sono buttati giù dal letto dalla sveglia, si lavano i denti, fanno la doccia e si vestono per presentarsi a un incontro. Il fatto che vi sia più o meno consapevolezza di ciò nulla toglie al fatto che di incontro su appuntamento, rinnovabile e rinnovato di giorno in giorno, effettivamente si tratti.

È per questo che non si può essere sciatti: perché qualcuno ci sta aspettando. Vestirsi, innanzitutto da parte dell’adulto, non è affatto coprirsi, ma curare la presentazione di sé in modo da tornare gradito a un altro, allievi o colleghi che siano. Un modo per onorare l’altro che incontro e con cui condivido il tempo.

È inoltre più facile trasmettere bene la storia, la geografia, l’inglese o la matematica se vestiti bene, perché la propria materia, cui molto è stato e viene dedicato da parte dell’insegnante, è parte di sé tanto quanto i vestiti che si indossano. Il fascino per la materia raramente può essere scisso dal fascino di chi la veicola, non dobbiamo negarlo. Un professore mal vestito è solitamente meno credibile e più difficile da seguire.

Si badi bene, non si tratta di pensare i corridoi della scuola come una passerella, né di dare il primato al fashion; ma di considerare che forma e sostanza non sono mai scindibili, vanno a braccetto. Accade in casa tra l’uomo e la donna, e nelle classi tra insegnante e discente.

Inoltre non è solo per questa forma transitiva – ossia relativa all’altro – che vale la pena vestirsi bene, è anche per se stessi. L’habitus è in primo luogo mentale, solamente dopo viene cucito in sartoria. Avere coscienza di sé e del proprio valore, anche professionale, suscita la voglia di presentarsi bene e di curarsi. Trattarci bene è un segno di rispetto personale in qualche modo dovuto a noi stessi. Nuovamente, non si tratta certo di investire un patrimonio nello shopping né tantomeno di agghindarsi; ispirare dignità e rispetto è oggi alla portata del portafoglio di qualunque professionista. A proposito di professionista, se proprio vogliamo passare anche a un piano sovra-individuale, certo meno interessante del precedente, non possiamo non spendere qualche parola su come veda se stessa la categoria degli insegnanti. Prima ancora che su come sia vista dall’esterno. Il terzo “Rapporto sulla scuola in Italia 2011” della Fondazione Giovanni Agnelli in uscita a dicembre, fra altri aspetti, ci dirà anche qualcosa circa la scarsa autostima degli insegnanti italiani.

Il ridotto riconoscimento sociale che ha purtroppo investito la classe insegnante necessita, per essere ribaltato, innanzitutto l’alzare la testa da parte dei professori stessi, un riprendere consapevolezza della dignità e dell’imprescindibilità del proprio ruolo per la società tutta. Essere dimessi dentro, e poi fuori, è il primo passo verso le dimissioni dal compito. E nel caso si alzi la testa è bene che la piega sia recente, se non fresca, e la barba ben rasata.

Siate ambiziosi, è forse questo l’invito da rivolgere agli insegnanti oggi. Proprio nel senso di riappropriarsi di un ambito in cui stare bene e a cui presentarsi anche con una certa eleganza. Dall’ambitus all’habitus il passo è infatti breve, e leggero. Con beneficio di tutti.