Riflessioni vespertine
sulla valutazione e l'insuccesso scolastico

Nuccio Palumbo, AetnaNet 2.3.2011

L’insuccesso scolastico all’inizio della secondaria superiore è spesso vissuto in maniera drammatica dall’adolescente. All’origine vi stanno molte cause legate a fattori socio-ambientali di vario genere, ma anche a difficoltà maturative oggettive proprie dell’età.
Il passaggio dalla media alla secondaria obbliga lo studente a modificare la propria prestazione cognitiva e ad attivare nuove capacità di acquisire informazioni dai libri attraverso un metodo di studio più personalizzato, più ordinato e metodico, rispetto a quello che gli capita di fare alle scuole dell’obbligo, dove si richiede all’alunno più ascolto in classe e meno studio a casa. Il risultato è che al momento dell’impatto con le superiori spesso il giovine studente possiede -non certo per colpa sua - un’autonomia cognitiva insufficiente che non gli consente, per esempio, di recepire i contenuti “non spiegati”, oppure ha una insufficiente autonomia emotiva affettiva con i nuovi docenti con i quali stenta a relazionarsi positivamente. Che fare in questi casi?
Di sicuro, l’insegnante non deve lasciarsi andare ad apprezzamenti negativi e perentori; non bisogna scoraggiare l’alunno, dicendogli magari che quella non è scuola per lui, che è meglio cambiare indirizzo o, peggio, che non è portato per lo studio, ecc. ecc.

Questa tipologia di insuccesso apre problemi, oltre che didattici, soprattutto educativi su cui la scuola-istituzione ha l’obbligo di riflettere ampiamente.

Un ragazzino quattordicenne, con un giudizio di licenza “ottimo” e un consiglio di orientamento favorevole alla frequenza di un “liceo”, che improvvisamente si scoprisse “sceccu” per un giudizio improvvido, e senza appello, emesso dal suo insegnante, si disorienta, perde la fiducia in se stesso; molla tutto e rischia di chiudersi, apatico e muto, dentro il suo io mortificato!

E’ un errore che la scuola comunità educante non può permettersi nei riguardi di uno scolaretto in fase di formazione, e che si trova, per la prima volta, ad armeggiare con programmi e materie di studio abbastanza complessi, e per lui del tutto nuovi!

Un atteggiamento di tal genere non potrebbe fare altro che accrescere il divario fra la percezione di sé dell’allievo e la qualità oggettiva delle prestazioni da lui rese, troncando dolorosamente ogni possibilità di dialogo e di integrazione positiva!

Ogni essere umano custodisce dentro di sé virtualità creative, capacità intellettive, interessi e attitudini che è compito precipuo della scuola fare emergere e valorizzare.
Tommaso d’Aquino scriveva che “ la pace non è virtù ma frutto di virtù”. Così, parafrasando, - si parva licet componere magnis – si può ragionevolmente pensare che un risultato scolastico affatto fallimentare di un alunno,talvolta, non è che il frutto di un metodo didattico sbagliato, il segnale, ahimé, che qualcosa non va ma non nell’alunno, bensì nel nostro metodo di insegnamento che non ha saputo trarre frutto alcuno dal tenero alberello. Qualcosa non ha funzionato, probabilmente, anche nella “psicologia” del nostro linguaggio di adulti, nelle nostre strategie comunicative spesso inadeguate a capire e ad interagire proficuamente con la personalità dell’allievo-persona, con i suoi problemi e con i processi di crescita della sua conoscenza in una fase particolarmente difficile, complessa e problematica come è quella dell’età evolutiva.

Nuccio Palumbo
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