La truffa della "discalculia"

 dal blog di Giorgio Israel, 19.3.2011

Non ho fatto in tempo a pubblicare questo articolo che sono iniziati a piovere i soliti insulti - non argomenti, non c'è uno straccio di argomento, sono sempre le solite tiritere a suon di indimostrate e indimostrabili asserzioni - ma soltanto insulti. Tra tutti spicca quello di "negazionista". Siccome il termine è di solito usato per denotare coloro che negano l'esistenza dei campi di sterminio, delle camere a gas e dei forni crematori, questi mascalzoni godono molto a rivolgerlo a me, all'ebreo. E così dimostrano di quale pasta sono fatti. Non credano comunque così di fare tacere me e chi la pensa come me. Leggo proprio oggi un articolo di uno "specialista" sulla "discalculia" e vi trovo degli esempi così idioti, così assurdi, così insensati e truffaldini che non mancherò prossimamente di discuterli, tanto per far vedere di quali "verità" si abbeverino questi signori. Vogliono trasformare un dibattito anche aspro in una rissa, in uno scontro tra il bene e il male, perché soltanto così possono sperare di aver ragione. Hanno avuto una legge. Dovrebbero essere contenti. Invece non lo sono. Chissà perché... Sia comunque chiaro che questo post non darà stura a valanghe di insulti. Possono star tranquilli quei signori. Stavolta cestinerò qualsiasi messaggio venga da quella parte, parlino pure di censura. I teppisti meritano soltanto di essere censurati.

 

Quando mesi fa scrissi alcuni articoli critici ed ebbi un confronto su queste pa­gine con il dottor Massimo Molteni a proposito della legge sui Disturbi Spe­cifici di Apprendimento, sapevo di dover pagare la tassa di una valanga di insulti: un giornalista che scrisse un articolo critico simile ai miei mi ha confida­to di non aver mai ricevuto tanti insulti, maledizioni e inviti a morire in trent’an­ni di carriera. Ho pagato questa tassa perché temevo che la posta in gioco non fosse quella (giusta, sia chiaro) di prendersi cura di bambini in difficoltà (come i dislessici) dopo che la difficoltà si fosse evidenziata. Temevo che la posta in gioco fosse ottenere degli screening di massa dei bambini, per infoltire l'esercito degli psicologi scolastici, con un conseguente processo di medicalizzazione a tappeto della scuola. La cosa riguardava anche un’altra “patologia” a dir poco discutibile, la sindrome del bambino agitato, indicata con l'acronimo Adhd (Attention Deficit Hyperactivity Di­sorder). Purtroppo erano timori fondati. A distanza di pochi mesi la campagna circa la necessità di diagnosticare i casi di dislessia, disortografia, discalculia, disgrafia e quelli di Adhd s'intensifica.

Giorni fa ho avuto la ventura di ascoltare alla radio una trasmissione cui partecipava uno "specialista", in cui è stata fatta la seguente affermazione: «Vi sono in Italia 300.000 casi di Adhd ma soltanto il 3 per cento è diagnosticato. Se non si fa questa diagnosi questi bambini avranno un fu­turo difficile e non troveranno lavoro». Da non credere alle proprie orecchie. Se una diagnosi non è stata fatta come si fa a dire che vi sono 300 mila casi? Estra­polando a casaccio da 9 mila casi diagnosticati? Ci hanno preso tutti per cretini al punto di digerire un messaggio non soltanto ignorante ma condito di terrorismo psicologico: se non si fa lo screening di massa il vostro bambino tra vent'anni sarà disoccupato?

Analoga pressione si esercita al livello dei Dsa: compaiono articoli sui giornali in cui s'insiste accanitamente sulla necessità di una diagnosi a tappeto, classe per classe. E girano le cifre più fantasiose: gli affetti da Dsa sarebbero il 3 per cen­to dei bambini, no il 4 per cento, anzi il 5 per cento, forse di più. Quando poi si esplora in quali mani dovrebbero cadere i bambini c'è da preoccuparsi. Uno di questi specialisti di "discalculia" mi ha detto candidamente che la tavola pita­gorica s'impara a memoria perché è una "sequenza di parole ordinate" (uno per uno uguale uno, uno per due uguale due, uno per tre uguale tre, eccetera). Ho tentato in tutti i modi di fargli capire che cosa sono le tabelline e che la loro ac­quisizione mnemonica è frutto di esercizi organizzati di calcolo mentale basa­ti sull'assimilazione della relazione tra addizione e moltiplicazione. Niente da fare. Non capiva. Ma perché mai la diagnosi di "discalculia" dovrebbe essere affidata a uno che sarà un rispettabile psicologo ma non capisce nulla di cosa sia la matematica e di come s'insegni? Uno di questi specialisti, messo alle strette, ha ammesso che i casi di "vera" discalculia sono praticamente inesistenti e che quasi tutti si riconducono alla dislessia. Una malattia fantasiosa (la discalculia) che serve a psicologi coadiuvati da qualche matematico in difficoltà a mettere in piedi attivi­tà fantasiose, che sarebbero innocue se non mirassero a stendere una manomorta sulla scuola. Sarebbe il caso di dire chiaro e forte che quello di cui si ha bisogno è di una medicina che curi i malati non la medicina del Grande Fratello, utile anche a chi tiene famiglia, nella nobile tradizione italiana degli ammortizzatori sociali.