"Cara Gelmini, non tutto si risolve
con la managerialità nella scuola:
in 120mila sfiorano la disperazione"

di Marco Lodoli Tiscali.it, 22.3.2011

Tra le parole e la realtà a volte c’è un fossato che nessun ponte levatoio riesce a scavalcare: da un lato le enunciazioni, le promesse, le garanzie, dall’altro lo stato delle cose, inerte, brutale, stupido. Maestri in quest’arte sono ovviamente i politici al governo – qualunque sia il governo, intendiamoci, ma certo questo si supera – per i quali tutto va bene, i problemi si risolvono con un’intervista, le montagne si scalano con le funi delle chiacchiere. Seguivo qualche giorno fa il ministro Gemini alla trasmissione di Fabio Fazio. E’ una donna sicura, assertiva, implacabile: per lei tutto il male deriva dal Sessantotto e dai suoi eredi, tutto il bene sta in una visione manageriale della scuola. Bisogna risparmiare per reinvestire, dice il ministro. E allora i tagli sono obbligatori, c’è poco da fare, i soldi non escono dal rubinetto. Dunque è inevitabile, secondo il gelido ministro (o la gelida ministra? La questione è sempre aperta), potare il corpo insegnante, segare un po’ di bidelli, sfoltire gli amministrativi. Centoventimila posti in meno, non so se vi rendete conto.

Centoventimila verdi possibilità di vita che ormai sono legna da caminetto. E’ come se tre o quattro Fiat chiudessero spensieratamente. Mi dispiace, questi posti non li possiamo più mantenere, arrivederci e grazie, vi consiglio di andare per strada, mandare curriculum in giro, telefonare, aspettare fiduciosi. Ma in Italia esiste una economia privata che oggi può assorbire centoventimila persone? A me non sembra proprio, quindi si aprono i deserti della disperazione per tanta e tanta gente, la più parte laureata. Giovani che agognavano a un posto da insegnante, che hanno frequentato e pagato anche la famigerata Siss, ora stanno fotocopiando tristemente domande di lavoro che verranno accartocciate senza neppure essere valutate. Ma poi la nostra ministra (passo al genere femminile, mi sembra più onesto) ha affermato che nel reparto della scuola, a differenza di quanto deciso per gli reparti del lavoro pubblico, gli scatti di anzianità non verranno congelati per due o tre anni come prima era stato detto. Meno male, penso.

Uno scatto di anzianità vale più o meno cento euro, che moltiplicato per ventiquattro mesi, aggiungendo qualcosa per le tredicesime, produce una cifra attorno ai 2500 euro. Ogni insegnante regalerebbe questi soldi allo Stato, contribuendo nel suo piccolo a risollevare i conti. Ma non è più così, assicura la Gelmini, fiera e baldanzosa. E io le voglio proprio credere, spero tanto che abbia ragione, a me e a tutti gli insegnanti quei 2500 euro fanno comodo. E poi con il congelamento dell’anzianità rischiavo di non raggiungere il tetto massimo di stipendio prima della fine dei miei anni di lavoro, con grave danno per la mia pensione. Bene, la ministra da Fazio è stata chiara: nessun blocco degli scatti. E allora come mai secondo la mia busta paga di dicembre il mio prossimo scatto sarebbe avvenuto nel 2013, mentre secondo la busta paga di gennaio e quella di febbraio dovrò aspettare il 2015? E come mai questi due anni di fermo appaiono sulle buste paga di tutti i miei colleghi? Chi si sbaglia? I ragionieri del ministero o la nostra glaciale ministra?

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