Università senza fondi, niente posto
per quelli che hanno vinto i concorsi

I prof in pensione non vengono sostituiti. Da Bari a Roma, corsi a rischio chiusura

A. Mig. La Stampa, 23.3.2011

ROMA - Rubinetti chiusi causa tagli. Per molti giovani (e non) che hanno superato gli ultimi concorsi universitari la strada verso l’assunzione è tutta in salita: anche se sono risultati idonei per i posti messi al bando non possono prendere servizio perché le università non hanno più i soldi per metterli in cattedra. Intanto monta la rabbia dei precari di tutti i settori che il 9 aprile saranno in piazza per chiedere più certezze per il futuro. Protesteranno anche gli studenti e i lavoratori a termine dell’università. L’appello corre in Rete, il motto è “Il nostro tempo è adesso”. Nel frattempo decine di ricercatori e docenti non riescono a prendere servizio o a salire di livello causa tagli. Nel 2008 sono partiti gli ultimi concorsi pre-riforma con tempi lunghissimi per la formazione delle commissioni (sono arrivate, nel frattempo, nuove regole) e l’espletamento delle prove.

Molte procedure sono state chiuse solo qualche mese fa, altre sono ancora in corso. Nel frattempo sono scattati i tagli ai fondi degli atenei che ora non fanno difficoltà ad assumere: per volontà della Gelmini le università che spendono più del 90% dei soldi statali per gli stipendi non hanno diritto al turn over. Una misura di rigore che ormai riguarda un ateneo su due a causa della diminuzione dei finanziamenti: in molti, fino a ieri virtuosi, oggi hanno sforato il vincolo. Sono anche saltati gli sconti sulle spese del personale delle facoltà mediche. La combinazione di queste “tagliole” mette in crisi gli atenei. A Bari ci sono 25 ricercatori precari che hanno superato le prove di valutazione bandite nel 2008, ma non possono prendere servizio a tempo indeterminato: l’ateneo, a causa dei tagli, è finito fra i non virtuosi nella spesa.

Uno dei partecipanti, Luigi Roselli, 34 anni, ricercatore precario di Agraria, racconta: «Le prove si sono svolte solo nell’autunno 2010. Nel frattempo, l’ateneo è finito fra quelli che spendono troppo per gli stipendi. Ora non si sa quando prenderemo servizio». Roselli dovrà aspettare come i 19 ricercatori dell’università dell’Aquila che stanno vivendo la stessa situazione. «A Bari negli ultimi anni abbiamo assunto molti ricercatori - fa sapere il rettore, Corrado Petrocelli - grazie ad un cofinanziamento del ministero previsto dall’ex ministro Mussi. Ora, però, c’è un nucleo di giovani che hanno superato dei bandi che dovevano essere finanziati con soldi dell’università e che non possiamo assumere perché spendiamo più del 90% dei fondi statali in stipendi. Ma questo perché, nel frattempo, questi fondi sono stati tagliati. Nell’ultimo anno, nonostante il risanamento dei conti, abbiamo perso 12 milioni». A rischio non c’è solo la vita lavorativa di molte persone, ci sono anche molti corsi. «A novembre - continua Petrocelli - abbiamo avuto 351 pensionamenti. Ho diritto a operare degli innesti. Serve una deroga».

L’allarme corsi arriva anche dal rettore della Sapienza Luigi Frati: «Non poter sostituire rapidamente coloro che vanno in pensione significa avere dei corsi che potrebbero chiudere. Gli idonei degli ultimi concorsi sono caduti in pieno nella stretta alle spese imposta dal Miur e nel periodo dei tagli». Il limite del 90% «sta saltando in molti atenei - conferma Renato Lauro, rettore di Tor Vergata - per assumere i vincitori di concorso dobbiamo aspettare i prossimi pensionamenti». Il problema, aggiunge il rettore di Salerno, Raimondo Pasquino, «è che non c’è una programmazione delle risorse. Gli atenei non possono andare avanti basandosi solo sui pensionamenti. È inutile anche che si facciano le nuove idoneità previste dalla riforma in questo clima di tagli: sarà sempre più difficile fare assunzioni». Anche il Cun, Consiglio universitario nazionale, ha lanciato l’allarme chiedendo che le idoneità ottenute negli ultimi concorsi siano prorogate (durano quattro anni) per evitare che un lavoratore perda il treno del contratto. Il Cun chiede deroghe per le assunzioni perché, stando alle regole e ai paletti attuali, sarà “impossibile” anche solo assumere i ricercatori a tempo determinato previsti dalla riforma dell’università. Entro il 2018 il 50% degli ordinari e il 25% degli associati attuali andrà in pensione, al ritmo di 1500 uscite all’anno.