INEDITO
Cari maestri, certe volte
è meglio non punire
In una lettera del 1886 l'autore di Cuore, tra i
primi grandi libri dell'Italia unita, risponde a una critica e
difende i suoi principi educativi
Alberto Brambilla La Stampa,
14.3.2011
Nella formazione della gioventù dell’Italia finalmente unita è
impossibile non assegnare un ruolo fondamentale a Cuore di Edmondo
De Amicis. Un libro che sin dalla sua uscita (a metà ottobre 1886)
ha avuto un successo incredibile di vendite, suscitando ovunque
consensi. E qualche critica. Anche nel corso del Novecento il libro
ha goduto generalmente di favori, diventando almeno fino agli anni
Sessanta - nonostante il suo carattere areligioso - il dono
preferito di papà e mamme per festeggiare Cresime e Sante Comunioni
dei figli. Poi la rivolta sessantottina ha violentemente contestato
i modelli culturali e la pedagogia insita in Cuore, critica
preceduta dal velenoso Elogio di Franti (1963) di Umberto Eco.
Anche oggi Cuore continua, nel bene e nel male, a suscitare vivaci
discussioni, a riprova di un testo comunque fondamentale per la
cultura del nostro paese. A questo serrato dibattito è stato da
sempre assente, paradossalmente, l’autore De Amicis, che non è quasi
mai intervenuto in prima persona per chiarire questo e quel dubbio.
Di particolare rilievo risulta dunque una sua lettera inedita
dell’11 novembre 1886 (in questa pagina ne pubblichiamo uno
stralcio) che spiega nei dettagli un episodio importante posto in
apertura di libro, nel capitoletto intitolato «Un tratto generoso».
Qui per la prima volta si manifesta appunto la bontà e l’altruismo
di Garrone, che si assume la responsabilità dell’accaduto (una
baruffa conclusasi con il lancio del calamaio che colpisce «nel
petto il maestro che entrava») per difendere Crossi, a sua volta
provocato da «quella brutta faccia» di Franti. Interrogato da un
educatore straniero, di formazione tedesca, De Amicis cerca di
motivare il comportamento conciliante del maestro, che alla fine
decide di non punire i colpevoli.
Alberto Brambilla (Université de la Franche-Comté di Besançon) ha
dedicato all’autore di «Cuore» il saggio «De Amicis, paragrafi
eterodossi» (Mucchi, 1992) e sta per pubblicare un corposo volume
dedicato a De Amicis e la Francia
Cari maestri, certe volte è meglio non punire
EDMONDO DE AMICIS
Torino, 11 novembre 1886
E di nuovo la ringrazio, caro signore, della sua lettera, che è una
delle più cordiali e più simpatiche ch’io abbia ricevute finora.
Ella mi parla come un amico e non potrebbe far cosa che mi riuscisse
più gradita. La ringrazio in modo particolare delle osservazioni
pedagogiche. Alle quali però mi faccio lecito di contrapporre alcune
altre osservazioni.
Ella ha pienamente ragione, in generale, dicendo che anche i
castighi violenti sono necessari qualche volta. Ma su questa via,
pur troppo, i maestri non hanno bisogno d’essere né consigliati né
spinti: già soverchiamente la natura umana (e in specie l’italiana,
e come!) vi tende. Non le pare che sia più utile consigliare,
raccomandare l’eccesso opposto, per ottenere il giusto mezzo? Una
grande parte dei nostri maestri elementari non manca solo
d’istruzione, ma d’educazione e gentilezza; e si può ottener tanto
con questi due mezzi! A questo ho mirato io specialmente.
Ella ha fatto benissimo a schiaffeggiare il ragazzo che le aveva
distrutto le piante perché quello era un atto malvagio e vile. Ma
anch’io faccio che il maestro pigli per il collo e butti fuori di
peso lo scolaro Franti, che è uno scellerato; e approvo Garrone che
gli dà una solenne ceffata quando perseguita il gobbo. L’atto però
che commette il ragazzo durante la seconda lezione è una ragazzata,
la quale - tenuto conto che è il primo giorno di scuola e il maestro
vuole inaugurare l’anno con l’indulgenza, e tenuto conto della
vergogna che il ragazzo mostra subito - è perdonabile. E la prova
che il maestro non s’è ingannato è questa, che il ragazzo si pente,
è commosso da quella bontà, va a chieder perdono prima d’uscire.
E quanto alla promessa del maestro: - il colpevole non sarà punito -
io feci questo ragionamento: il maestro, vedendo che uno non
colpevole si alza e si denunzia generosamente per salvare il
colpevole vero, capisce che questi (il colpevole vero) deve avere
qualcosa di scusabile o di atto a destare compassione, se un suo
compagno s’è offerto, per così dire, in sacrificio per lui. Questo
pensiero lo disarma: egli vuol far vedere che non è mai inutile
commettere un atto generoso e cavalleresco. E se poi dice: vi
perdono, ai colpevoli, lo dice bruscamente, per far capire che
perdona in omaggio a Garrone, non per indulgenza ai colpevoli; che
anzi non perdona veramente, ma solo si astiene dal punire; e non fa
questo se non dopo aver trattato i colpevoli di vigliacchi e
mostrato loro il più profondo disprezzo.
Ma forse io ho avuto torto a pensare che il lettore dovesse fare, lì
per lì, in pochi secondi, le stesse riflessioni; e quindi lei ha
ragione. Non ho inteso di ribattere la sua osservazione, ma solo di
spiegare i perché del mio errore.
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