Pedagogia della lumaca o…
pedagogia del gambero?
di Maurizio Tiriticco ScuolaOggi,
26.3.211
Gianfranco Zavalloni fa molto bene a ricordarci che sarebbe
necessario attivare, soprattutto nei bambini più piccoli, processi
educativi, formativi e istruttivi (dpr 275, art. 1, c. 2)
all’insegna della l e n t e z z a a a !!!*
In altre parole, a fronte di una società sempre più impaziente,
malferma, incerta e liquida, certi valori…o più semplicemente certi
atteggiamenti e comportamenti da considerare “normali”, rischiano di
finire a gambe all’aria! Non so fino a qual punto sia noto il
malessere di tante maestre di scuola dell’infanzia e primaria –
purtroppo i maschi disertano questi gradi di scuola e non sanno
quello che perdono! – di fronte all’improduttiva e costante
irrequietezza emotiva e comportamentale di tanti bambini che sono
loro affidati.
Irrequietezza che fa pendant con quella di tanti genitori che
vorrebbero “tutto e subito” dai loro bambini e non sanno neanche che
cosa sia! Il fatto è che essere genitori oggi è un mestiere – perché
sempre di un mestiere si tratta – sempre più difficile! Quanti
genitori, incapaci di governare se stessi, si separano dopo due o
tre anni dal loro allora felice matrimonio e sono anche incapaci di
governare quei figli che hanno messo al mondo a volte con notevole
leggerezza, se non con alta irresponsabilità!
Insomma, i motivi delle inquietudini sono molteplici e passano
trasversalmente dai fattori puramente economici – incertezza del
lavoro, del salario, del futuro – a quelli emotivo/affettivi e, di
fatto, comportamentali. Se poi aggiungiamo tutte le perverse
sollecitazioni che ci vengono dall’esterno, dai videogiochi sempre
più accattivanti ai telefonini sempre più ricchi di possibilità
straordinarie e forse… di nulla, il gioco… perverso è fatto! E
neanche l’antico festìna lente può avere un certo fascino, in quanto
è diventato un vero e proprio festìna rapide!
Insomma, la sollecitazione del “sempre più in fretta” avrà pur i
suoi vantaggi in certi settori dell’economia, se si produce di più
in meno tempo ma… i salari restano quelli che sono! Ma qui il
discorso si fa più difficile e non ho le competenze per affrontarlo!
Resta pur sempre il fatto che questa accelerazione degli eventi e la
corrispondente contrazione dei tempi non fa affatto bene a nessuno:
gli adattamenti dell’homo erectus e poi del sapiens ai cambiamenti
del clima e delle offerte della natura sono stati sufficientemente
lenti ed hanno consentito che altrettanto l e n t a m e n t e si
verificassero e si consolidassero via via gli opportuni adattamenti.
La velocizzazione che oggi viene imposta agli umani – e dagli stessi
umani – non consente loro gli adattamenti necessari, per cui
rischiano di saltare quegli equilibri emotivo/affettivi e
comportamentali di cui invece tutti abbiamo estremo bisogno! In tale
contesto, il settore dell’educare, formare e istruire dovrebbe
essere immune, data la sua natura e i suoi fini, da tale
irrefrenabile velocizzazione, ma non è così!
Il sottosistema scuola è pur sempre una variabile dipendente dal
sistema società, per cui ineluttabilmente finisce con il soffrire di
tutti i limiti di cui questa oggi soffre!
Se da un lato i nostri insegnanti non riescono ad attuare la
pedagogia della lumaca, dall’altro
chi li governa sollecita la pedagogia del gambero! Quanto
consapevolmente non so, ma… La nostra amministrazione scolastica si
è dimostrata estremamente sollecita a recepire quanto in alcune
scuole avanzate dei Paesi ad alto sviluppo si viene realizzando,
anche con un deciso sostegno offerto dalla stessa Unione europea.
Alludo alla svolta che potremmo chiamare, anche con una certa
enfasi, epocale, quella che ci invita a far sì che i sistemi di
istruzione e di formazione non si limitino più a valutare le
conoscenze terminali raggiunte dagli alunni, ma, facendo un deciso
passo in avanti, a certificare addirittura le competenze da loro
acquisite.
Che significato assume una proposta del genere? Andiamo ai fatti.
Fino a qualche tempo fa la vita
dell’uomo era scandita in tre tempi ben distinti: il tempo della
scuola, comunque non sempre aperta a tutti; il tempo del lavoro; il
tempo della pensione e della vecchiaia. La scuola erogava
conoscenze; queste, una volta utilizzate ed esercitate in positivo
nel mondo del lavoro diventavano competenze e duravano pressoché per
tutta la vita lavorativa. Ciò non significa che la scuola e molti
insegnanti non si adoperassero anche perché le conoscenze
diventassero ibi et tunc competenze, anche se non le si chiamava
così. Un bravo insegnante di lettere si adoperava perché il maggior
numero dei suoi alunni raggiungessero la competenza linguistica, o
meglio un corretto e produttivo uso della lingua madre. Egualmente
si può dare per un valido insegnante di matematica: il saper contare
apriva la strada anche alla competenza matematica! E così via
in moltissimi casi! Va però anche considerato che gli stessi
studenti, una volta entrati nel mondo del lavoro, si rendevano
conto, nella stragrande maggioranza dei casi, che ciò che avevano
imparato a scuola era assolutamente insufficiente per affrontare la
realtà lavorativa. Quanti di loro e di noi hanno e abbiamo detto che
è nella realtà occupazionale che poi si diventa padroni del vero
“saper fare”: a volte addirittura quando abbiamo dimenticato ciò che
la scuola ci ha dato, perché è nel lavoro concreto che ci si misura
e che, come si suol dire, si impara il mestiere!
La crasi di sempre tra l’imparare e il fare, tra la scuola e il
lavoro è sempre esistita in tutte quelle società in cui i tre tempi
della scuola, del lavoro e della pensione erano ben scanditi. Oggi
non è più così! I tre tempi si confondono sempre più l’uno con
l’altro. La crescita esponenziale dei saperi e delle loro
applicazioni mette in crisi giorno dopo giorno anche le competenze
più solide, se non più solidificate! Non c’è lavoratore che,
qualunque cosa faccia, non debba costantemente misurarsi con il
“nuovo” che riguarda il suo “saper fare”, che non debba mettere in
costante discussione le competenze che possiede per acquistarne
altre, ed anche in fretta – il festìne rapide – per evitare di
essere espulso dai processi lavorativi.
E’ per questo insieme di ragioni che ai processi di educazione,
formazione e istruzione sono stati
proposti obiettivi più avanzati per i loro alunni, che vanno oltre
l’apprendimento di conoscenze per garantire anche l’acquisizione di
competenze che possano direttamente essere impiegate nel mondo del
lavoro. Si tratta di competenze che riguardano tre ampie aree:
quella civile, di cui alle competenze utili all’esercizio della
cittadinanza attiva (lavoratore sì, ma in un contesto europeo, se
non internazionale, in cui diritti e doveri costituiscono la rete
primaria in cui si vive e si opera); quella culturale (disporre di
un minimo di conoscenze che permettano di orientarsi in un mondo in
cui oggetti colti si fanno sempre più numerosi e che è necessario
comprendere per non essere emarginati e per arricchire costantemente
l’osservazione e lo spirito critico); quella preprofessionalizzante
e professionalizzante in senso stretto (vi sono studi che comportano
studi ulteriori, e studi che conducono direttamente a competenze
immediatamente spendibili).
Se questi sono, ad ampio spettro, gli obiettivi che una società non
più lineare e articolata di un tempo, ma sistemica e complessa,
propone ai sistemi di educazione, formazione e istruzione di tutti i
Paesi ad alto sviluppo, che cosa dovrebbe fare la nostra
amministrazione? Semplicemente regolarsi di conseguenza e avviare un
riordino del sistema di istruzione che sia in grado di proporsi e
realizzare obiettivi così ambiziosi: un riordino in cui, in primo
luogo, siano indicate con chiarezza le competenze terminali da
accertare e certificare e, in secondo luogo, si disegni una
strategia di insegnamento/apprendimento che sia congruente con
finalità così impegnative.
In effetti, però, come ha operato la nostra amministrazione? Per
quanto riguarda le competenze
terminali, si è limitata a rabberciare quelle di fine obbligo
accompagnate da un modello di certificazione assai discutibile; per
quanto riguarda le competenze terminali di quinquennio, le
Indicazioni per i licei glissano, le Linee guida per i tecnici e i
professionali sono ancora in elaborazione. Eppure va considerato che
una svolta di questa natura richiede una organizzazione scolastica
totalmente diversa rispetto a quella che abbiamo ereditata da un
lontano passato. La rigidità della distribuzione delle materie,
degli orari e delle classi di età non è affatto funzionale a
obiettivi così nuovi e ambiziosi. E le proposte di cui all’autonomia
e alla flessibilità sono difficilmente praticabili. Ed ancora: il
semplice fatto che l’alunno sia sempre un oggetto più che un
soggetto di apprendimento è estremamente grave. Un triennio
postobbligatorio in cui, nonostante un’apparente distinzione dei
percorsi, l’alunno è tenuto a studiare tutte le materie ed escluso
da qualsiasi scelta personale è un grosso limite: che non si
riscontra in nessuna scuola avanzata e che sia orientata veramente a
“lavorare per competenze”.
La nostra amministrazione, da un lato, tenta di proporsi obiettivi
ambiziosi solo per non farsi
bacchettare dall’Unione europea, senza però avere nessuna chiarezza
in merito (che cosa sia veramente una competenza penso che la nostra
amministrazione non lo sappia affatto: la scrive a iosa in tutti i
suoi documenti, ma non scende mai nello specifico), dall’altro,
insiste nel mantenere e consolidare l’organizzazione di sempre,
quella di gentiliana memoria che in fatto di competenze… non ci
azzecca affatto!
Insomma, l’ancoraggio al passato è ben più forte della proiezione
nell’avvenire! Altro che pedagogia della lumaca! Questa è la
pedagogia del gambero!
* Gianfranco Zavalloni, La Pedagogia della Lumaca. Per una scuola
lenta e nonviolenta, EMI Bologna 2009