IL CASO

"Io educo, non inculco"
Scuola, le parole della protesta

Le esperienze, le citazioni. "Un presidente immorale non puo' dare giudizi di questo tipo". Critiche alla Gelmini

di Carmine Saviano la Repubblica 2.3.2011

ROMA - Migliaia di commenti inviati a Repubblica.it. Le voci e le storie. L'indignazione e la rabbia. Dei cittadini che avvertono come un'offesa le parole pronunciate da Silvio Berlusconi sulla scuola pubblica. Di più: che nelle argomentazioni del premier leggono una rischio. Quello di essere derubati da un diritto fondamentale, garantito dalla Costituzione italiana: la scuola aperta a tutti. Lo Stato garante dell'educazione, della conoscenza, della diffusione della cultura. A scrivere a Repubblica sono insegnanti e studenti di ogni ordine e grado. Poi famiglie preoccupate per l'avvenire dei propri figli. E tanti semplici cittadini. Una lunga e articolata testimonianza dell'attaccamento degli italiani all'istruzione pubblica.

Le parole sono importanti. Ad essere messe sotto accusa le parole utilizzate da Silvio Berlusconi. Per tanti uno specchio dell'ideologia del premier. Inculcare. Indottrinare. Fornire valori sbagliati. "Sono un insegnante che ha sempre mirato al perseguimento dello sviluppo delle capacità logiche dei propri alunni. Altro che indottrinamento!". E ancora: "Per quarant'anni ho cercato di educare all'impegno, al confronto e al rispetto nella scuola pubblica. Unica, vera, palestra di democrazia". In tanti scelgono la strada del commento lapidario, secco. "Educo non inculco". "Insegno a criticare, non dogmi e dottrine".

Senti chi parla. In tanti mettono in discussione il premier. "Il Silvio che disse: Romolo e Remolo fondatori di Roma aveva di certo studiato molto... Dove non si sa, ma possiamo immaginare come avrà superato gli esami". Poi il caso Ruby e il clima da conflitto permanente innescato dal premier con gli altri organi dello stato. Fattori che, agli occhi di molti, sottraggono legittimità alla parole di Berlusconi: "Un presidente immorale non può dare giudizi sulla scuola. Se Berlusconi potesse farebbe postriboli per se stesso, Mora e Fede. E le aule diventerebbero Olgiatine". Per altri, quello di Berlusconi è un vero e proprio "attacco allo stato, che mira a destabilizzare la democrazia del nostro paese".

Gelmini, dimettiti. Altro bersaglio delle critiche, il ministro dell'Istruzione. Ovvero l'autrice di una riforma che mira a indebolire la scuola e l'università pubblica. "Signora Gelmini, prenda esempio dal suo collega tedesco e si dimetta. Perché lei ha sulla coscienza illeciti molto più seri. La scuola pubblica le sarebbe grata". Nelle parole del premier e in quelle del ministro, alcuni intuiscono il vero spirito della riforma dell'Università. "Sono a favore degli insegnanti, la Gelmini sta facendo di tutto per distruggere il futuro dei nostri figli". Poi le critiche rivolte all'attegiamento del governo nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche. E testimonianze in prima persona dalle scuole private: "Insegno in una scuola paritaria. Le paritarie non sono vere scuole, ma diplomifici, dove gli alunni si sentono clienti. Tremendo vi assicuro".

Amarcord. Ma nei commenti arrivati a Repubblica c'è tanto altro. Storie di ordinario attaccamento ai propri insegnanti. Alle persone che hanno contribuito a formare e a gettare le fondamenta di intere esistenze. "Sono uno dei 'disgraziatì passati per la Scuola Pubblica: ringrazierò sempre la Maestra ed tutti i professori per tutto ciò che mi hanno dato". E ancora: "Mio padre ha insegnato nella scuola pubblica per più di 40 anni. Ancora oggi i suoi ex alunni lo fermano per strada per ringraziarlo di quanto ha fatto per loro". E in tanti riconoscono alla scuola di essere l'unico fattore di mobilità sociale: "Sono figlio di operai. Sono stato ricercatore in Gran Bretagna. E ho appena ricevuto un'offerta dalla NASA. Ciò che sono è grazie alla scuola pubblica".

L'indignazione diffusa. Partecipare alle proteste di piazza. Sembra questo il sentimento generale. Che accomuna tutti. Dagli studenti ai professori. L'obiettivo è dare visibilità alla stanchezza per il logorio causato dai continui strappi di Berlusconi. Si va da "Bisogna reagire con fermezza all'ennesimo tentativo di demolire la scuola pubblica", a "questo governo vuole ridurre gli italiani in un branco di pecore ignoranti facili da sottomettere: difendiamo la scuola pubblica, svegliamoci". E gli appuntamenti si moltiplicano. Dalle micro iniziative nelle città italiane alla manifestazione "A difesa della Costituzione" in programma a Roma il 12 marzo.

La differenza. Poi i contenuti. Le piccole citazioni. A mostrare la differenza tra la profondità dello studio e dell'apprendimento e la patinata e vuota superficie del berlusconismo. Tacito, Voltaire, Neruda. Parole che rimbalzano ovunque. Adottate come simboli della resistenza di coloro che ormai si definiscono partigiani della conoscenza. In tanti ricordano Piero Calamandrei e il suo discorso in difesa della scuola nazionale. Roma, 11 marzo 1950: "Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina"
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