I dirigenti scolastici siano democraticamente eletti: se ne mancano cinquemila di ruolo,
i docenti disoccupati sono cinquemila in più.
E saranno anche di più.

Polibio, AetnaNet 30.3.2011

Si sono verificate nei trascorsi anni scolastici disoccupazioni di docenti che avrebbero potuto essere evitate, e che a partire dal prossimo anno potrebbero riguardare addirittura 4.000 docenti precari, un peraltro numero destinato a crescere anno dopo anno durante i prossimi cinque anni. Lo vedremo procedendo nella lettura di questo intervento.

C’è un aspetto, infatti, che diventa sempre più consistente e al quale tuttora non è stata data adeguata attenzione, nell’epocale disoccupazione dei docenti, quale conseguenza del macroscopico taglio di oltre centomila posti di lavoro “orgogliosamente” operato dalla coppia ministeriale Tremonti-Gelmini per risparmiare sull’istruzione, risultato dell’incapacità di recuperare dalla notevolissima evasione fiscale le risorse finanziarie (sono stati tagliati più di otto miliardi di euro) necessarie alla scuola.

Migliaia di docenti in più rispetto ai centomila della sconvolgente riduzione degli organici, ed il numero è destinato ad aumentare, sono rimasti senza lavoro non per i disastrosi effetti causati dalla farisaica riforma scolastica (che di danni all’occupazione ne ha fatti tanti e addirittura irreparabili, e non soltanto all’occupazione), ma per l’esistenza di un ruolo, quello dei dirigenti scolastici, che, oltre ad essere di per se stesso parecchio costoso rispetto alle funzioni, è anche parecchio irrazionale per via delle scuole annualmente date in reggenza a dirigenti scolastici titolari in altri istituti scolastici e quindi dello svolazzare di migliaia di presidi (ricevendo un’indennità aggiuntiva di non molte centinaia di euro) da una scuola all’altra, con ripercussioni conseguentemente negative su l’una e sull’altra scuola. Su migliaia di scuola: cioè, sul doppio delle scuole rimaste annualmente senza dirigente scolastico a tempo pieno. Migliaia di scuole, numericamente crescenti di anno in anno.

Si ritiene che a settembre dell’anno in corso le scuole senza dirigente scolastico ufficiale saranno addirittura almeno 3.000 e conseguentemente le scuole con dirigenti scolastici svolazzanti saranno più di 6.000. I docenti annualmente disoccupati (quindi, quelli che sono già rimasti senza lavoro negli anni ormai trascorsi e che lo sono nell’anno in corso, o quelli che rimarranno senza lavoro sin dall’inizio del prossimo anno scolastico) si possono contare a migliaia, tanti quante sono state, sono e saranno le scuole senza dirigente scolastico ufficiale, cioè di ruolo a tempo indeterminato. A partire dal primo giorno del mese di settembre dell’attuale anno 2011, i docenti che a causa di questo dirompente andazzo rimarranno senza lavoro saranno quasi 4.000, ma forse anche di più.

Dopo le “bacchettate”, i rimproveri e le proteste di diverse tipologie e provenienze – ormai documenti utili per la ricostruzione storica (e sui quali, essendo legittimi, non si può non essere d’accordo dati gli epocali guasti causati al sistema scolastico e all’istruzione, e il disastroso tsunami che si è abbattuto sull’occupazione, provocando il licenziamento di massa di docenti e di personale tecnico-amministrativo) – nei confronti di chi ha posto in essere una traballante e scompaginata riforma scolastica, adesso è possibile individuare, col supporto di dati e di elementi incontestabili, la leggerezza o l’incapacità. E sarebbe assai grave se invece l’apparente leggerezza e l’eventuale incapacità nascondessero il furbastro intento di ridurre ulteriormente la spesa per l’istruzione, distruggendo l’organizzazione delle scuole e togliendo lavoro ad altri insegnanti precari, perché in tal caso si potrebbe parlare di insipienza, di comportamento scriteriato.

Togliendo lavoro ad altri precari come in parte è già avvenuto con le reggenze delle scuole affidate a dirigenti scolastici svolazzanti dalla scuola di titolarità ad altra scuola o ad altre scuole senza dirigente scolastico, a seguito di pensionamento per raggiunto limite d’età o per anticipato pensionamento nella preoccupazione di chissà quali sorprese in ordine alla corresponsione dell’indennità di fine rapporto. E dal primo giorno del prossimo mese di settembre a restare senza lavoro, dato che sarebbero almeno 3.000 le scuole senza dirigente scolastico titolare, quindi da assegnare in reggenza, il numero dei precari in più che resteranno senza lavoro raggiungerà – come in premessa ho già avuto modo di dire – la quota di ben di più di  3.000 unità, magari 4.000 e anche di più sulla base dei collocamenti in pensione dei dirigenti scolastici, che continueranno ad essere numerosi anche nei prossimi anni.

Infatti, se i posti di dirigente scolastico fossero stati coperti con altrettanti dirigenti scolastici ufficiali, si sarebbero liberati altrettanti posti da assegnare ad altrettanti docenti precari, con la formula del contratto a tempo determinato o con quella del contratto a tempo indeterminato. In questo caso, nella corretta considerazione e nella legittima applicazione della norma di legge, riconosciuta dalla recente sentenza del Tribunale del lavoro di Genova che ha condannato il Ministero dell’istruzione al risarcimento complessivo di 450.000 euro a 15 docenti precari, che sancisce l’occupazione a tempo indeterminato dopo tre anni di lavoro. Una sentenza, quella del Tribunale del lavoro di Genova, che ha stigmatizzato il comportamento del Ministero dell’istruzione, e quindi del ministro competente, e nella sostanza dello Stato italiano, con riferimento all’incompatibilità con una direttiva comunitaria che obbliga ogni Stato membro della Comunità europea a limitare il più possibile il ricorso ai contratti di lavoro a termine.

Risarcimenti che potrebbero ammontare addirittura a più di 500.000.000 (500 milioni) di euro (se la vertenza avesse a riguardare da 12.000 a 15.000 docenti, ma che potrebbero anche ammontare da 4 a 5 miliardi di euro se ad essere coinvolti risultassero da 120.000 a 150.000 docenti precari, sostanzialmente costretti da molti anni all’umiliazione del precariato nella sussistenza dei posti di lavoro e della loro annuale utilizzazione in regime di contratto e termine. Risarcimenti tutti a carico dello Stato che – per non avere gli attuali suoi ministri rispettato la norma di legge che obbliga il “datore” di lavoro a stipulare contratti a tempo indeterminato con coloro che continuano ad essere necessari, e quindi utilizzati, successivamente (come è accaduto e continua ad accadere per decine di migliaia di docenti, arbitrariamente lasciati nella condizione di precarietà lavorativa) – potrebbe vedere notevolmente intaccate le sue casse, che in definitiva contengono denaro pubblico.

Aggiungendosi alle centinaia di milioni di euro che di fatto, per l’utilizzazione di dirigenti scolastici a tempo indeterminato nella scuola di “titolarità” e in una seconda scuola a titolo di “reggenza”, sono stati già sottratti ai docenti precari, rimasti senza occupazione, dal prossimo mese di settembre, risultando senza dirigente scolastico da 3.000 a 4.000 delle 10.294 scuole primarie e secondarie di primo e di secondo grado (alle quali vanno aggiunti 74 C.P.I.A. e 47 tra convitti nazionali ed educandati femminili), saranno sottratti ai precari, per una mancata occupazione che sembra “costruita ad arte” proprio per sottrarglieli, 200 milioni di euro, dato che l’intera copertura dei posti di dirigente scolastico (o presidi, se viene più facile e più semplice, sbrigativamente, chiamarli) avrebbe determinato l’occupazione di circa 4.000 docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento e di qualsiasi altra tipologia.

Una sorta di furto alla povera gente, gente laureata, abilitata, precarizzata a tempo indeterminato, ridotta senza occupazione e quindi senza stipendio dalla “sbadataggine”, dalla disattenzione, dalla sventatezza (o da un disegno astutamente predisposto) di chi ben altrimenti avrebbe dovuto agire, anche perché ormai da molto tempo, e con numerose richieste e segnalazioni (un appello è stato rivolto nello scorso mese di febbraio, dai presidenti di tredici associazioni professionali – dirigenti scolastici e docenti – e di genitori degli alunni, al Presidente della Repubblica, segnalandogli 1.471 scuole con presidi reggenti – “oltre tremila hanno quindi un dirigente a mezzo tempo!” – e aggiungendo subito dopo che “con il prossimo anno più di 5.600, oltre metà delle istituzioni scolastiche statali, verseranno in questa condizione e, se passerà altro tempo, nel successivo anno scolastico la situazione si aggraverà, con il carattere di un’autentica emergenza. D’altra parte i tempi normali per l’espletamento di un simile concorso pubblico sono di solito di due anni!”. A voler essere ottimisti, aggiunge Polibio, anche tenendo presente l’attuale condizione in cui versa il concorso bandito in Sicilia nell’ormai lontano 2004!
Il dato complessivo delle scuole senza preside titolare non è tuttavia certo, ma non è inferiore a 3.000 (nel luglio dell’anno scorso, il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, promise, promessa niente affatto mantenuta, e pertanto “promessa di marinaio”, che, come ha riportato l’amico Pasquale Almirante in un suo articolo apparso sul quotidiano “La Sicilia” del 9 gennaio 2011, “entro il 2010 avrebbe bandito un concorso per 2.871 posti di dirigente scolastico”. Di qui, il legittimo sospetto, che sorge spontaneo e non si riduce, anzi addirittura cresce, che, come è stato scritto dall’ANIEF in suo comunicato del 12 gennaio 2011, “non è difficile ipotizzare che l’ostacolo all’emanazione del bando sia, ancora una volta, di carattere economico (che le scuole siano dirette in reggenza, consente all’erario di economizzare)”. Ovviamente, sulla pelle dei docenti precari, che rimangono senza lavoro e senza stipendio. In ogni caso, il numero delle scuole senza preside titolare è destinato, inesorabilmente, a crescere nei prossimi anni, anche perché l’età media degli attuali dirigenti scolastici è parecchio alta e saranno moltissimi ad andare in pensione nei prossimi anni (da due a cinque anni).

E allora l’occasione è propizia, e peraltro determinerebbe, come vedremo, un notevole risparmio economico per lo Stato, per passare dallo “status giuridico” di preside a tempo indeterminato a quello di preside eletto, mettendo “ad esaurimento” quello di preside a tempo indeterminato, dato che nel volgere dei prossimi cinque anni addirittura l’80% delle scuole potrebbe risultare senza dirigente scolastico “di ruolo”. Rispettivamente, postati il 17 dicembre 2010 e il 7 gennaio 2011 (e pertanto rintracciabili con una ricerca d’archivio su questo sito alla voce “dirigenti scolastici”), Polibio ha pubblicato sull’argomento presidi per elezione diretta due suoi interventi: “elezione del preside: le scuole non hanno bisogno di dirigenti scolastici in pianta stabile” e  “dirigenti scolastici meglio democraticamente eletti al massimo per sei anni che padroni della scuola a tempo indeterminato per concorso”.

Si pensi all’annunciata partecipazione di circa 150.000 docenti al concorso pubblico a dirigente scolastico già quando i posti che sarebbero stati inseriti nel bando di concorso “preannunciato” dal ministro Gelmini nel mese di luglio del 2010, tuttora serrato a doppia mandata in una cassaforte della quale sarà andato perduto il codice per poterla aprire, erano 2.871. Ce l’avrebbe fatta uno ogni cinquanta concorrenti a vincere il concorso. Se i posti disponibili diventassero 5.000, a vincere il concorso ce la farebbe uno ogni trenta concorrenti. Chi? Ai posteri l’ardua sentenza, soprattutto per il clima che caratterizza il sistema.

Un concorso, dopo essere stato accertati i necessari requisiti in possesso dei concorrenti per parteciparvi, dalle modalità di svolgimento tradizionali: prove scritte, ammissioni alla prova orale  e, dopo l’esito positivo della prova orale, quant’altro è stato previsto dal bando di concorso o di corso-concorso che sia. Nella speranza che il principio della meritocrazia (con riferimento ai contenuti culturali e alle competenze professionali corrispondenti alle funzioni da svolgere e non sulla base di quiz di stampo enigmistico e da cruciverba) sia posto sostanzialmente alla base del concorso e caratterizzi tutte le prove, che il concorso si svolga nell’assoluto rispetto della normativa vigente e dei diritti individuali di ciascuno dei partecipanti alle prove concorsuali. Nella piena osservanza del piano etico e respingendosi ogni e qualsiasi ingerenza di stampo clientelare, politico-clientelare, e non soltanto tale.

Tempi lunghi, e impossibile dire quanto lunghi. Un costo enorme: nelle regioni italiane opererebbero 300 sottocommissioni, ciascuna delle quali composta, a norma delle norme vigenti (e peraltro come è stato messo in evidenza nelle sentenze del CGA per la Sicilia con le quali è stato annullato “in radice”, per vizio sostanziale insanabile, il concorso a dirigente scolastico bandito nel 2004), da tre commissari, col presidente a coordinare i lavori. Complessivamente, venti presidenti. Forse anche alquanto di più, qualora nelle grandi regioni si ritenesse di suddividere il territorio per raggruppamento di province. E inoltre l’individuazione di commissari e di presidenti supplenti. Trecentomila elaborati scritti da correggere e da valutare, corrispondenti ad almeno un milione e cinquecentomila pagine. Alla fine, sempre che si concluda il tutto (a parte chissà quanti ricorsi interverranno ad allungare i tempi, a provocare sospensioni e addirittura annullamenti), trascorreranno almeno tre anni, e chissà quanto altro tempo trascorrerà per completare e concludere il percorso, che potrebbe comprendere un corso di formazione, una prova pratica, un esame sulla conoscenza dell’inglese, un esame sulla conoscenza dei sistemi e degli strumenti informatici, la capacità di costruire progetti.

In alternativa, ma nella sostanza dicendo addio alla meritocrazia, certificata dai titoli conseguiti e dal curricolo personale, si potrebbe procedere, quale preselezione all’ammissione alle prove scritte, e quindi con la finalità di sfoltire, attuando una sorta di numero programmato, la vasta platea dei 150.000 aspiranti, con i quiz a risposta multipla (fortemente criticati e respinti perché non consentono di aversi oggettivi riscontri in ordine alla meritocrazia) dalle più svariate attribuzioni o sottrazioni di punteggi, tra le quali quella di non togliere nessun punteggio in assenza di risposta e di toglierlo nel caso di risposta errata: meglio non rispondere quando si ha ancorché il minimo dubbio tra due opzioni dopo avere scartate le altre due sicuramente sbagliate, anziché rispondere nella speranza di aver fatto centro, e così mantenere inalterato il punteggio del quale si è in quel momento in possesso. In ogni caso, anche il sistema quiz comporta tempi lunghi e costi elevati, e non soltanto per la vigilanza e per la correzione. Seguite, in tempi successivi, dalle prove scritte per gli ammessi, ancorché con un ridotto numero di commissioni e di sottocommissioni, e quindi di commissari titolari e supplenti, presidenti compresi, e da tutte le altre attività e prove previste dal bando di concorso.

Intanto, ormai da tempo, molti aspiranti concorrenti hanno fatto ricorso alla preparazione al concorso, ovviamente a pagamento, naturalmente in “regime” di evasione fiscale, perché non sembra che esistano ricevute e/o fatture a tal proposito. Un sacrificio economico da parte dei docenti aspiranti ad un posto di dirigente scolastico (con retribuzione ben più consistente di quella assai magra, e mantenuta tale ormai da troppo tempo, senza che le organizzazione sindacali abbiano avuto la forza di ottenere di più). Un sacrificio economico destinato a continuare. Un mercato delle vacche grasse, nel quale si spende (per i corsi di formazione anche soltanto on line, per corsi del tutto inutili ma “necessari” all’acquisizione di punti anch’essi spesso inutili, per la preparazione al concorso a dirigente scolastico, per master di secondo livello anche in dirigenza scolastica che sono di elevata specializzazione) nella speranza di avere qualcosa, di raggiungere affermazioni derivanti dalla meritocrazia, ma alla fine non si ottiene nulla.

D’altra parte, il nostro è allo stato attuale un paese nel quale per fare il ministro dell’Istruzione, pubblica, è sufficiente una laurea (ed è già tanto, perché è anche il regno di ministri, di sottosegretari, di parlamentari e di tanti altri che occupano posti di enorme rilievo senza aver conseguito la laurea) con 100 su 110 (e il relatore ha dichiarato che la tesi non era meritevole nemmeno di un punto in più rispetto alla media degli esami sostenuti relativi alle singole discipline) seguita, anni dopo, da un percorso migratorio, con cambio di residenza anagrafica, dalla Lombardia (Brescia) alla Calabria (Reggio Calabria), per sostenere e superare gli esami per l’iscrizione all’albo degli avvocati. Il paese del “tutto va bene”, degli illusionisti (politici, ma nell’attività politica la fantasia ha grandissima parte soltanto “se ha per elementi gli uomini, la società, le necessità di vita degli uomini”) e degli illusi. Come scriveva a Torino il 13 novembre 1917 (ma sembra che sia stato scritto qualche giorno fa, o addirittura ieri, concretizzandosi l’universalità del pensiero) l’allora intellettuale giovane Antonio Gramsci (era nato nel 1891), a proposito degli “illusionisti in questo mondo”, gli “illusionisti” sono “quei politicanti i quali, come cantava il Figaro, fingono d’ignorare quel che sanno e di sapere quel che ignorano, si chiudono a doppie porte per meditare sul giornale, si atteggiano a profondi quando non sono che vuoti, pagano dei traditori o intercettano delle lettere, cercando poi di nascondere le bassezze dei mezzi sotto la nobiltà dei fini”.  

Ebbene, venendo al dunque, con l’attuazione dello status di presidi democraticamente eletti lo Stato (il ministero dell’Istruzione) trarrebbe un vantaggio economico, e potrebbe destinarlo a migliorare le condizioni delle scuole e dell’istruzione, a dare occupazione a migliaia di docenti precari. In Germania, e non soltanto in Germania, i presidi non sono del tutto esenti dallo svolgere attività didattica. Per l’attività svolta, per un tempo maggiore di quello dei docenti, ricevono un’indennità mensile niente affatto elevata: poche centinaia di euro.

Tutte le cariche delle nostre università, a partire da quella del rettore, sono elettive. Gli eletti possono chiedere la riduzione dell’attività didattica, e giammai ne sono esenti del tutto, nonostante l’enorme peso del ruolo e il dovere della ricerca scientifica, da consolidare con pubblicazioni delle quali si dà sostanziale e trasparente comunicazione (e relativo punteggio ad esse attribuito) nel catalogo d’ateneo.

Gli eletti alle diverse cariche dell’ateneo non possono superare i due mandati consecutivi: complessivamente, per l’Università di Catania, otto anni. A presentare la propria candidatura alla competizione elettorale, rispettivamente, a rettore, a preside di facoltà, a direttore di dipartimento, di centro di gestione amministrativa, di centro di servizio e a presidente di corso di studi sono generalmente più candidati, ciascuno dei quali presenta un programma da attuare, e può essere sfiduciato. La condivisione del programma, anche nella fase di attuazione di quanto in esso contenuto, risulta fondamentale.

Ciascuna unità operativa è composta da un numero di docenti e di personale tecnico-amministrativo e ausiliario ben più elevato di quello di una singola istituzione scolastica dimensionata tra 500 e 900 studenti. Ben poca cosa rispetto alle migliaia di studenti (tra 5.000 e 10.000) in ciascuna delle attuali facoltà, per complessivi 65.000 studenti nell’intero ateneo, nel quale si contano 1.500 docenti, 1.600 non docenti, parecchie centinaia tra dottorati di ricerca, specializzandi, assegnisti di ricerca, ecc.

Le attuali indennità di carica, detratti gli oneri a carico dell’ateneo e dell’aliquota Irpef, sono di poca entità, e differenziati rispetto al ruolo ricoperto, mentre l’impegno e le responsabilità derivanti dalla carica da ciascuno degli eletti ricoperta sono incomparabili e incommensurabili rispetto a quelli dei dirigenti scolastici. L’attuale indennità mensile è compresa tra circa 700 e 200 euro, transitando per i 350 e i 300 euro, a seconda che si tratti del rettore, dei presidi di facoltà, dei direttori di dipartimento, dei presidenti del centri di gestione amministrativa, dei presidenti dei centri di servizio.

Non si vede perché a dirigere le scuole non possano essere presidi democraticamente eletti, che si confrontano apertamente per ottenere il consenso degli insegnanti e dei non docenti elettori, tutti in grado di valutare oggettivamente i requisiti professionali del candidato (dei candidati) per potere svolgere correttamente e adeguatamente, durante gli anni del mandato conferitogli, la funzione di preside (dirigente scolastico), scaturita da una democratica competizione elettorale. La durata del mandato potrebbe durare tre o quattro anni, eventualmente da rinnovare, per una sola volta, con una nuova elezione.

Non c’è alcun dubbio sul fatto che gli elettori saprebbero scegliere bene il loro preside, e peraltro l’elezione del preside potrebbe fare da drenaggio alla “fuga” dei docenti – e sono di ampia e di diffusa conoscenza le scuole dalle quali i docenti “fuggono” annualmente “in massa” – che caratterizza non poche scuole. Inoltre, a presentare la propria candidatura alla carica di dirigente scolastico (preside) saranno sempre gli insegnanti migliori (cioè, preparati alla gestione della scuola, disponibili a svolgere l’attività di gestione in un tempo di 36 ore settimanali aggiungendo allo stipendio da insegnante un’indennità di funzione di poche centinaia di euro), che si confronteranno apertamente per ottenere il consenso degli insegnanti e dei non docenti elettori, che a loro volta sapranno scegliere bene. E non si dica che il preside democraticamente eletto non può garantire una gestione ottimale perché viene ad assumere quella carica all’inizio di un determinato anno scolastico. Lo stesso avviene quando si tratta di un docente (o di una docente) che ha vinto il concorso a dirigente scolastico e che viene a trovarsi per la prima volta in una determinata scuola. Assolutamente nuova per lui, o per lei, mentre il preside democraticamente eletto conosce nei minimi particolari la scuola nella quale ha prestato per molto anni servizio e soprattutto conosce benissimo i colleghi e le colleghe che in quella scuola si sono trovati con lui per lungo tempo. L’apprezzamento è testimoniato dal successo elettorale, ovviamente concretizzatosi con la maggioranza assoluta dei voti a lui (o a lei) attribuiti.

Naturalmente, l’elezione del preside dovrebbe avvenire sulla base di un protocollo di titoli e di regole. Titolo di notevole rilievo, oltre alla laurea e all’abilitazione, potrebbe essere il master di secondo livello in dirigenza scolastica (1.500 ore complessive, una parte delle quali in lezioni frontali), titolo di elevata specializzazione successivo alla laurea, conseguito in una delle università italiane. E in aggiunta, altre lauree e altre abilitazioni, corsi di formazione, funzioni svolte nelle scuole e ruoli ricoperti nelle stesse, non meno di cinque anni di servizio scolastico con contratto a tempo indeterminato.

Per quanto concerne le regole: valutazione annuale, nelle sedi del Collegio dei docenti e del Consiglio d’istituto, dell’attività svolta nella funzione di preside eletto, e valutazione complessiva alla conclusione del mandato sempre nelle stesse sedi collegiali. Essendo stata costruita la maggioranza sul proprio programma, ne scaturisce per il preside eletto l’obbligo dell’assoluta trasparenza e del confronto costante. Conseguentemente, anche “in itinere” in ordine a quanto possa comunque riguardare il programma, con conseguenze tali, nel caso di giudizio negativo alla valutazione annuale (o per negatività in corso d’anno), da determinare la sfiducia, le dimissioni in seguito alla sfiducia, l’elezione di un nuovo preside che sia sempre rispettoso della legge e dei diritti dei lavoratori-elettori. Nel caso di esito negativo alla valutazione annuale, di sfiducia in corso d’anno, di valutazione negativa alla fine del primo mandato, è impossibile presentarsi per un secondo mandato. Le valutazioni (annuali e/o conclusive del mandato) potrebbero svolgersi entro la prima decade del mese di giugno e le elezioni  potrebbero svolgersi alla fine dello stesso mese di giugno, con decorrenza della carica di preside dall’inizio dell’anno scolastico successivo.

Per quanto concerne la spesa pubblica, dal sistema presidi eletti (complessivamente sarebbero 10.415) deriverebbe un notevole risparmio, quale conseguenza del fatto che lo stipendio dei docenti maggiorato dell’indennità mensile di funzione sarebbe alquanto inferiore a quello attualmente corrisposto, pur nell’articolazione degli aumenti periodici e con riferimento agli anni di servizio, ai dirigenti scolastici assunti o da assumere per concorso. D’altra parte, sempre facendo riferimento all’università, le figure sopra indicate, titolari di cariche d’ateneo per competizione elettorale, continuano a percepire lo stipendio di docenti maggiorato delle poche centinaia di euro mensili quale indennità di carica. E si tratta di professori di ruolo di prima fascia, cioè di professori ordinari.

Tra l’altro, e addirittura soprattutto, scomparirebbero le ingenti spese per i concorsi con oltre centoventimila concorrenti. A meno che non si avesse in mente (sul piano governativo e ministeriale) di bandire un concorso a dirigente scolastico riservato ai docenti con contratto a tempo indeterminato che hanno frequentato e che hanno positivamente superato gli esami intermedi, il tirocinio formativo e l’esame conclusivo del master di secondo livello in dirigenza scolastica, titolo di specializzazione (iscrizione che viene a costare più di tremila euro, e che sarebbe una spesa inutile se non scaturisse un adeguato riconoscimento del titolo e della specializzazione conseguiti, anche con riferimento alla meritocrazia). Il numero dei concorrenti risulterebbe parecchio ridotto rispetto agli attuali 150.000 circa ormai in lunga attesa di un bando di concorso a dirigente scolastico che non si concretizza. Si tratta, però, di un’ipotesi provocatoria.

In ogni caso, sempre che si voglia insistere sul dirigente scolastico assunto per concorso a svolgere una funzione che invece, come accade per le università, potrebbe essere attribuita per elezione democratica, si proceda con la pubblicazione del bando di concorso promesso. Vi parteciperanno 150.000 insegnanti Va benissimo. Passeranno da tre a cinque anni per giungere alla conclusione. Va benissimo anche questo. I posti messi a concorso saranno 3.000, 4.000 o 5.000. Non ha importanza quanti saranno e non importa nemmeno se durante gli anni che verranno se ne renderanno disponibili altri. Anche questo va benissimo. In definitiva, a superare il concorso, e quindi ad essere idonei alla funzione di dirigente scolastico, oltre a quelli che vinceranno, potrebbero essere anche in 50.000. Benissimo anche questo, perché verrebbero iscritti in una graduatoria (una delle tante, perché non fa niente averne una in più o una in meno rispetto a quelle, di diverse tipologie, esistenti, indistruttibili nei decenni) a tempo indeterminato, meglio dire (ma soltanto per dire) “ad esaurimento”, dalla quale attingere immediatamente dopo i pensionamenti o le dimissioni dei dirigenti con contratto a tempo indeterminato.

I posti sono complessivamente poco più di 10.000 e il tempo che abbiamo davanti è abbastanza ampio da poterne sistemare altri 10.000 nei prossimi venti o addirittura trenta anni, naturalmente in età cresciuta di tanti anni quanti saranno stati gli anni di attesa, magari un anno prima d’essere collocati in pensione. Va benissimo anche questo. Ma sempre che di concorsi a dirigente scolastico non se ne facciano altri durante i prossimi trenta anni. Questo, però, potrebbe incorrere in dissensi e in proteste, non soltanto dei docenti attualmente in servizio con contratto tempo indeterminato, ma anche e soprattutto degli insegnanti che avranno la “fortuna” di ottenere un contratto a tempo indeterminato nei decenni futuri. Non andrebbe nella sostanza diversamente, anche se le entità numeriche risultassero di dimensioni più ridotte, nel caso di concorso preceduto dalla selezione dei concorrenti a suon di quiz a risposta multipla.

Se le cose stanno così, l’elezione del preside potrebbe risultare una soluzione con aspetti positivi, non soltanto per le casse dello Stato, perché è del tutto evidente che le lunghe promesse e i ritardi che hanno fino ad oggi riguardato la pubblicazione del bando di concorso a dirigente scolastico non sono stati del tutto casuali e non calcolati.

Tutt’altro. Bisognava fare cassa, e la si è fatta con le reggenze e sulla pelle dei docenti precari, rimasti senza occupazione perché le reggenze affidate a dirigenti scolastici vaganti da una sede all’altra (come i monaci vaganti del medioevo) hanno eliminato una notevole quantità di posti di lavoro da assegnare per contratto sia pure a tempo determinato a chi è rimasto (e continuerà con molti altri a rimanere) senza occupazione e senza stipendio.

Se non si vuole procedere immediatamente con il concorso, o si voglia rinviare “sine die”, si provveda a rendere le scuole sostanzialmente dirette da un preside incaricato, eletto o non eletto che sia, proveniente dai ruoli del personale docente con contratto a tempo indeterminato. Se non si vuole procedere con lo status del preside democraticamente eletto, si potrebbe operare sulla base dell’attribuzione della funzione sulla base di graduatorie provinciali per titoli professionali e di specializzazione, ricordandosi che le scuole senza dirigente scolastico cresceranno notevolmente durante i prossimi cinque anni, fino a risultare il doppio e forse anche di più del doppio delle attuali 3.000. Così operando, ne trarrebbero considerevole vantaggio le scuole per quanto concerne l’organizzazione e la gestione, e si renderebbe giustizia ai docenti ai quali è stato negato il diritto all’occupazione (un diritto negato e arbitrariamente violato) e a tutti gli altri che altrimenti si vedrebbero a partire dal prossimo anno scolastico privati del lavoro pur avendone assoluto diritto. Se il diritto continuerà ad essere violato, allora si potrà oggettivamente dire che quanto è già accaduto e quanto di negativo accadrà per la mancata attribuzione del lavoro a chi ne aveva e ne avrà diritto rientrava, e continua a rientrare, nella volontà occulta (ma non più occulta) di chi non si è fatto e continua a non farsi scrupolo di puntare sul taglio irrazionale dei posti di lavoro per i precari della scuola nell’abito di un’epocale riforma distruttiva del sistema scolastico. 
 
Polibio